1. 12 dicembre 1991, da movimento povero e senza
sede a partito vero e proprio
Il III Congresso nazionale del partito della Rifondazione
comunista (Prc), si inaugura a Roma, nello stesso giorno
- il 12 dicembre - in cui si aprì, cinque anni or
sono, il Congresso di fondazione del Partito. Prima di
quella data, Rifondazione era vissuta per dieci mesi come "movimento" (Mrc),
in condizioni molto difficili: senza mezzi per l'iniziativa;
senza sedi negate dal Pds; senza un giornale; oggetto dell'ostracismo
generale e di una rigida censura da parte dei grandi mezzi
di comunicazione di massa.
Si trattò di dieci mesi difficili, che furono tuttavia
molto importanti, se si considera la passione dimostrata
dai militanti e l'impegno profuso nella costruzione di
un embrione di organizzazione nazionale, che giungerà all'appuntamento
con il I Congresso avendo realizzato notevoli obiettivi:
oltre 100 mila iscritti; centinaia di Circoli di base e
113 Federazioni che costituivano una rete organizzativa
in quasi tutto il Paese; un giornale, Liberazione, che
dall'ottobre 1991 uscirà ogni settimana (fino a
compiere il salto di qualità, nell'aprile 1995,
da settimanale a quotidiano). Si inizieranno a svolgere,
in numero via via crescente, le Feste di Liberazione, che
raccolgono masse sempre più vaste di cittadini e
di giovani; e sin dal 1992 si terranno le Feste nazionali
del giornale (a Viareggio, a Marina di Carrara, a Reggio
Emilia, a Livorno, a Milano, a Pisa).
Da piccolo gruppo di militanti che rifiutavano di recidere
le radici con la propria storia, riproponendo una identità comunista
che i più ritenevano non avere futuro, il Prc è diventato
il quarto partito italiano (dopo Pds, Fi, An); votato da
3.215.960 elettori, poco meno del 9%; presente nel Parlamento
europeo e in quello nazionale (35 seggi alla Camera dei
Deputati; 11 al Senato); conta 66 seggi nei Consigli regionali;
164 consiglieri provinciali, alcune migliaia di consiglieri
comunali, 30 sindaci.
L'atto di nascita del "movimento" porta la data
del 3 febbraio 1991. Quel giorno, una novantina di delegati
al XX Congresso del Pci, che rifiutavano l'adesione al
partito della Quercia, si riunirono a Rimini con Armando
Cossutta, Sergio Garavini, Lucio Libertini, Ersilia Salvato,
Rino Serri (il cosiddetto "gruppo dei cinque")
per rivendicare l'identità comunista e riaffermare
il grande valore, storico e politico, dell'esperienza dei
comunisti italiani.
Il rifiuto opposto alla nascita del Pds e la costituzione
del Movimento per la Rifondazione comunista (Mrc), non
furono un atto scissionistico: il distacco dalla storia
e dalla politica dei comunisti italiani non veniva da chi
si riprometteva la rifondazione, bensì da coloro
i quali davano vita, con il Pds, a un partito non comunista.
Del resto fu proprio Achille Occhetto, al termine del Congresso,
ad affermare ai giornalisti: "D'ora in avanti non
chiamateci comunisti!".
Sempre in quel giorno, a Rimini, i "cinque" insieme
a Guido Cappelloni e Bianca Bracci Torsi, si recarono presso
la sede di un notaio per depositare e registrare l'atto
di rifondazione del Partito Comunista, assumendone il nome
e il simbolo, il quale ultimo, dopo una intricata vicenda
giudiziaria con il Pds, fu lievemente modificato, non più con
la scritta "Pci" ma con quella di "Partito
comunista". Sergio Garavini viene designato all'unanimità Coordinatore
nazionale.
Appena sei giorni dopo Rimini, il 9 febbraio, i senatori
Libertini, Cossutta, Salvato, Spetic, Serri, Tripodi, Meriggi,
Crocetta, Dionisi, Vitale, Volponi, costituirono il primo
gruppo parlamentare di Rifondazione, denominandolo "Gruppo
comunista". Lucio Libertini ne fu eletto presidente.
Le prime manifestazioni dimostrarono quanto grande fosse
l'attesa dei comunisti: prima il tripudio delle bandiere
rosse al Teatro Brancaccio di Roma e al Lirico di Milano
(il 10 e il 24 febbraio), poi il grande corteo di Milano
(29 giugno) e la manifestazione tenutasi a Roma (5 maggio)
in un Palazzo dello Sport gremito, in cui l'identità comunista
si esprimeva nel motto "liberamente comunisti" e
si coniugava con la difesa della Costituzione contro il
disegno della "nuova destra" che aveva incominciato
l'attacco per lo sfascio istituzionale.
Il "Movimento" era ancora una speranza quando,
nel maggio 1991, dovette affrontare - senza organizzazione,
senza Tv, senza giornale - la sua prima battaglia elettorale.
Si votava in 28 comuni, ma Rifondazione fu in grado di
presentare la propria lista solamente in 9 località.
Ciononostante il risultato fu molto di più che un'affermazione.
Se si fosse proiettato quel voto su scala nazionale, i
comunisti avrebbero ottenuto certamente una percentuale
non inferiore al 6%. Cioè ben oltre i più favorevoli
pronostici, anche se l'emorragia dei voti ex comunisti
delusi dalla costituzione del Partito della Quercia era
ben più vasta del voto riportato da Rifondazione.
(pubblicato su Liberazione del 10 dicembre
1996)
2. L'opposizione torna in piazza
In pochi mesi seguirono altre tre impegnative prove elettorali
(6 e 16 giugno, 24 novembre) dalle quali vennero segnali
inequivocabili di una forza comunista in crescita: da Andria
(dove Rifondazione realizzava il sorpasso dei voti della
Quercia), a Brescia e in varie altre località medie
e piccole, in ogni parte del Paese. Solamente le elezioni
siciliane furono deludenti (3,2 su scala regionale) a causa
della particolare situazione di Palermo. Ma nelle singole
località dell'isola l'affermazione fu pari alle
altre parti d'Italia.
Si aveva, così, attraverso il consenso popolare
nel voto (e non solamente nella coscienza dei militanti)
la riprova dell'oggettiva necessità di una presenza
comunista nella realtà italiana, dopo che era stata
posta la parola fine alla storia del Pci. Quando più tardi
si andò al voto nelle grandi città, ciò emerse
in modo ancora più evidente, nonostante fosse entrata
in vigore la nuova legge "sui Sindaci" che limitava
fortemente la possibilità di una forza politica
nelle condizioni di Rifondazione. In quella occasione,
a Roma come a Napoli, senza l'apporto del voto comunista
il Msi avrebbe realizzato il suo sogno di conquistare il
seggio di primo cittadino, a Milano e a Torino Rifondazione
diventa il primo partito della sinistra, superando il Pds.
In questo lasso di tempo si erano intanto verificate nuove
adesioni, provenienti dall'interno del Pds o da altre esperienze
della sinistra.
Nel maggio è il regista Francesco Maselli ad aderire
al Movimento, abbandonando il Pds. Contemporaneamente lasciano
il Partito della Quercia Lucio Magri, Luciana Castellina
(la quale è parlamentare europea), e altri appartenenti
al cosiddetto gruppo "ex Pdup - Manifesto". Assumeranno
ruoli di direzione importanti e Lucio Magri sarà eletto
presidente del gruppo parlamentare alla Camera dei Deputati.
Democrazia Proletaria, per parte sua, aveva dichiarato
il proprio scioglimento per partecipare al processo della
Rifondazione comunista.
La decisione dello scioglimento di Dp era stata presa
nel Congresso tenuto a Riccione (dal 6 al 9 giugno). Tra
i principali esponenti che aderiscono a Mrc, il Segretario
Giovanni Russo Spena, Luigi Vinci e altri.
Il 12 ottobre, sotto la parola d'ordine "l'opposizione
torna in piazza", si snodò lungo le strade
di Roma, da Piazza Esedra, al Colosseo, fino a Piazza Santi
Apostoli, un "serpentone rosso", costituito da
centomila manifestanti comunisti. Il corteo dei centomila,
il 12 ottobre, fu decisivo per spingere alla richiesta
dell'impeachment di Cossiga (cui anche il Pds sarà indotto,
dopo non poche titubanze) e per rompere gli indugi delle
ultime perplessità circa la possibilità di
costituire il partito. Mentre si preparava il Congresso
di fondazione per il 12 dicembre, si stabiliva - su proposta
di Armando Cossutta - che sulla tessera sarebbe stata stampata
l'affascinante e significativa frase di Marx su ciò che
si intende per comunismo: "Il comunismo non è per
noi uno stato di cose che debba essere instaurato, un ideale
al quale la realtà dovrà conformarsi. Chiamiamo
comunismo il movimento reale che abolisce lo stato di cose
presente".
Con il I Congresso il partito assume il nome di "Partito
della Rifondazione Comunista". Al palazzo dei Congressi
dell'Eur, sono presenti 1300 delegati eletti nei Congressi
di 113 federazioni. Apre i lavori con uno splendido discorso
di saluto, il grande scrittore comunista Paolo Volponi.
Ad assistere sono state invitate tutte le forze politiche
e sindacali, molte personalità antifasciste e democratiche:
la delegazione del Pds è guidata da D'Alema (a quel
tempo direttore dell'Unità); partecipano molti dei
compagni che all'ultimo Congresso del Pci, a Rimini, avevano
costituito il cosiddetto "fronte del No", tra
questi Pietro Ingrao e Aldo Tortorella, mentre Natta, impossibilitato
ad essere presente, invia un caloroso messaggio. Unici
esclusi dall'elenco degli invitati sono il Msi di Fini
e la Lega di Bossi, incompatibili con Rifondazione, per
la natura fascista dell'uno e il carattere eversivo dell'altra.
Nonostante il forte impegno politico, si verificarono
nel Congresso delle tensioni, e preclusioni che fecero
rischiare una crisi, al limite della lacerazione. Ci volle
qualche settimana di paziente ricucitura unitaria prima
di giungere (il 18 gennaio), con una nuova seduta del Congresso,
alla elezione del Segretario, Sergio Garavini, che aveva
minacciato le dimissioni, e del Presidente, Armando Cossutta,
il quale scriverà su "Liberazione" un
editoriale per spiegare che "abbiamo dovuto superare
difficoltà di non poco conto, in parte previste
e in parte no. Ma le abbiamo superate".
D'altra parte la situazione politica incalza. Il clima è pesante
e difficile, l'attentato alle istituzioni coincide con
una offensiva padronale e una linea di governo che è stata
bollata come un "massacro sociale" (contro l'occupazione,
il salario, quel che resta della scala mobile, contro il
valore e il diretto delle pensioni, la sanità limitata
dai ticket). In queste condizioni si va alla campagna elettorale
politica.
Il primo atto del governo è di una gravità estrema:
il ministero degli Interni rifiuta di ammettere alle elezioni
il simbolo comunista (lo stesso che era stato accettato
nelle tre competizioni elettorali del 1991). E' un segnale
inquietante, perché dimostra che si vuole impedire,
con mezzi "amministrativi", che in Italia esista
un partito comunista. Ma la reazione è così forte
e vasta, che il veto viene revocato. Il 5 aprile, 2.202.574
italiani (5,6%) votano comunista; saranno eletti 35 deputati
e 20 senatori. Alle successive elezioni politiche, il 27
marzo 1994, i voti saranno 2.343.946, pari al 6,0%; saranno
eletti 39 deputati e 18 senatori.
(pubblicato su Liberazione dell'11 dicembre
1996)
3. I primi successi elettorali e la scomparsa
di Lucio Libertini
Il 12 giugno 1994 si vota per le elezioni europee: la
percentuale del 6,1% consente l'elezione di 5 parlamentari
europei. Alle elezioni regionali del 23 aprile 1995 il
balzo in avanti è notevole, oltre l'8%; i seggi
conquistati sono 52. Infine le più recenti elezioni
politiche (21 aprile 1996): il partito della Rifondazione
comunista ha un incremento superiore ad ogni altro partito,
un milione di voti in più (+3%) rispetto alle elezioni
politiche di quattro anni prima; raggiunge l'8,6%, ottiene
3.215.960 voti, conquista 35 seggi alla Camera e 11 al
Senato.
Il 1993 è l'anno in cui sopravviene improvvisa,
nel cuore dell'estate, la morte di Lucio Libertini, inattesa
per la vitalità che lo distingueva; una perdita
dolorosa è grave proprio durante un passaggio delicato
e difficile della vita del partito, quando a seguito delle
dimissioni del segretario, Garavini, si decide la convocazione
del II Congresso. Al momento della sua scomparsa, Libertini
stava lavorando sui contenuti delle tesi che sarebbero
state presentate al Congresso. Egli non riuscirà purtroppo
a parlare, in settembre, alla fortissima e unitaria manifestazione
operaia e popolare che aveva personalmente proposto e tenacemente
voluto e che si conclude nella "riconquistata" Piazza
S.Giovanni, dinanzi a una marea di lavoratori e soprattutto
di giovani, che, nell'estate del '94 iniziano il processo
di costruzione dell'organizzazione giovanile del partito
che approderà, nel gennaio '95, a Firenze, alla
costituzione dei "giovani comunisti".
Nel 1993 la situazione italiana è in grande movimento,
la condizione sociale peggiora e la crisi politica si è fatta
più pericolosa, dopo che il voto referendario del
18 aprile ha portato al successo la proposta di Segni di
modificare il sistema elettorale abolendo il sistema proporzionale.
Rifondazione rivendica la tradizione proporzionalista del
movimento operaio e dei comunisti italiani e denuncia la
truffa che si sta preparando attraverso un sistema elettorale
che trasforma la minoranza in maggioranza, come aveva già fatto
Mussolini nel 1924, e come aveva tentato la Dc nel 1953.
Nel 1993 accadono avvenimenti di segno opposto. Il 6 giugno
si verifica l'affermazione del Prc alle elezioni amministrative,
in particolare nelle città di Milano e di Torino
(nelle quali Rifondazione sorpassa il Pds), ma dovunque
nel nord e in gran parte del centro e del Mezzogiorno.
A luglio i sindacati accettano il deprecato accordo sul
costo del lavoro. La protesta è enorme. Si apre
una crisi seria nel Pds. Una quarantina di sindacalisti
si dimettono dal partito a vari livelli. Tra essi vi è Fausto
Bertinotti, leader della corrente della Cgil "Essere
Sindacato", il quale aderisce al Prc. Anche Pietro
Ingrao abbandona il partito della Quercia, come atto di
ribellione all'arrendevolezza del Pds di fronte al "governo
del Governatore": il governo cosiddetto "tecnico",
presieduto dal Governatore della Banca d'Italia, Carlo
Azeglio Ciampi.
Contraddittoriamente con tutto ciò, mentre si porrebbe
il problema di una più vasta unità, Sergio
Garavini provoca in Rifondazione comunista la crisi della
direzione del partito, esasperando i contrasti interni
anziché comporli. Criticato dalla stragrande maggioranza
del Comitato Politico Nazionale, finirà con il dimettersi
e con l'estraniarsi dalla direzione stessa. Si apre a questo
punto una nuova, difficile fase: una direzione collegiale
guiderà il partito al II Congresso (20-23 gennaio
1994). Lo svolgimento della relazione introduttiva è affidato
a Lucio Magri. Le conclusioni sono tratte con un discorso
di Armando Cossutta che, al termine del Congresso, è confermato
presidente. Su sua proposta, Fausto Bertinotti viene eletto
nuovo segretario, ottenendo la stragrande maggioranza dei
consensi: il voto di 160 dei 193 membri del Comitato Politico
Nazionale.
Lo stesso Bertinotti scriverà nel libro "Tutti
i colori del rosso": "Il Congresso, aperto da
una relazione di Lucio Magri, si concluse appunto con la
mia elezione, quale espressione di una linea politica che
si può sintetizzare nella formula "unità e
alternativa", che significava la ricerca di quell'intesa
con le forze della sinistra che portò poi anche
all'alleanza dei Progressisti nella battaglia elettorale
contro Berlusconi. Secondo questa linea, l'unità della
sinistra non andava intesa come una mossa tattica, né solo
come una emergenza per fronteggiare le elezioni, ma come
parte di una ricerca strategica per dislocare la sinistra
sul terreno della alternativa di governo".
"A tale prospettiva", prosegue Bertinotti, "si
opponevano da una parte una posizione più radicale,
che negava la possibilità stessa di allearsi con
il Pds, e dall'altra una posizione critica - all'interno
dell'ipotesi dell'alternativa - sull'assunzione della prospettiva
di governo; l'unità si deve fare, sostenevano questi
compagni, ma deve essere solo un fatto elettorale".
(pubblicato su Liberazione del 12 dicembre
1996)
4. Il piombo nelle ali dei progressisti
Quanto è accaduto dopo, è storia recente,
ed è già parte del dibattito del III Congresso
sui due documenti preparatori, l'uno di maggioranza, l'altro
di minoranza.
Innanzitutto le memorabili battaglie di massa contro il
governo Berlusconi, al quale era stata contrapposta una "alleanza
dei progressisti" che risultò capace di gettare
in campo il grande potenziale unitario della sinistra e
spingerlo verso l'alternativa: con una lapidaria definizione
Bertinotti motivò, in quella occasione, le ragioni
della sconfitta: l'alleanza dei progressisti "aveva
il piombo nelle ali", era cioè frenata dalla
rincorsa al centro da parte del Pds nella illusione della
conquista dell'elettorato moderato.
Quando si verificò il famoso "ribaltone",
Rifondazione chiese, vanamente, che si andasse alle elezioni,
perché a giudicare fosse il popolo democraticamente.
Si diede vita, invece, al "governo tecnico" di
Dini, che si caratterizzerà per la sua controriforma
delle pensioni, in sostanziale sintonia e continuità con
la linea moderata e conservatrice del governo Berlusconi.
Il Pds fu ancora una volta determinante nel fare nascere
e sostenere questo governo - prima, con il pretesto che
doveva essere compiuta la riforma elettorale prima che
si andasse a votare; poi, sostenendo che non si sarebbe
potuto votare fino a che non fosse terminato il semestre
di presidenza italiana dell'Unione Europea. La verità era
ben altra. Sta di fatto che il Pds consentì a Dini
di varare una legge finanziaria pesantemente iniqua.
Rifondazione, che rifiutava condizionamenti che sarebbero
stati pagati dai più deboli, andò ad uno
scontro interno al partito. Non si trattava più della
difficile convivenza, o dell'impossibile amalgama tra le
varie esperienze che sono confluite nel processo di rifondazione,
ognuna con le proprie appartenenze passate o anche con
le nostalgie, sempre dure a morire. Questa volta lo scontro
era sulla linea politica - e si può dire anche sull'esistenza
stessa di Rifondazione - davanti al Paese. Nel Parlamento
vi era l'opposizione di Rifondazione al governo Dini ed
una opposizione allo stesso governo, ma per ragioni ben
diverse, veniva dalla coalizione di centrodestra, guidata
da Berlusconi e Fini. Quando il governo pone la questione
di fiducia, il Comitato Politico Nazionale di Rifondazione
respinge il ricatto, confermando la linea del voto contrario,
ma i gruppi parlamentari si spaccano. Alla Camera 14 deputati,
tra i quali Garavini e il capogruppo Crucianelli, votano
la fiducia al governo. Crucianelli si dimette da capogruppo
e viene sostituito da Oliviero Diliberto (che lascia la
direzione di Liberazione a Lucio Manisco).
Nonostante si trattasse di un fatto di evidente gravità,
senza precedenti nella storia dei comunisti italiani, venne
proposta la soluzione detta del "confronto".
Non si adottavano cioè provvedimenti disciplinari,
ma si avviava un confronto politico di merito per un superamento
unitario della divergenza. Il confronto fu presto interrotto,
però, dalla decisione dei dissenzienti (cui si aggiunsero
altri membri della direzione, tra i quali Lucio Magri e
Luciana Castellina) di abbandonare il partito per dare
vita al gruppo dei "Comunisti unitari". Il Paese
va al voto il 21 aprile 1996 e la carta vincente risulta
la cosiddetta "desistenza" avanzata da Rifondazione
allo schieramento dell'Ulivo guidato da Romano Prodi. Il
significato di questa proposta viene spiegato a viso aperto
agli elettori nel corso della campagna elettorale. E anticipando
i tempi, con una manifestazione grandiosa, il 24 febbraio
a Roma, alla quale partecipano oltre 200 mila persone che,
dopo un lunghissimo corteo, si radunano nella gremitissima
Piazza del Popolo. "Rinasce la speranza" è il
motto dei discorsi di Cossutta e di Bertinotti; diviene
il motivo dominante di tutta la campagna elettorale che
porta alla vittoria contro le destre ed alla nuova avanzata
di Rifondazione comunista.
Sulla base di quello stesso accordo elettorale di desistenza,
Rifondazione fa nascere il governo Prodi, pur non entrando
a far parte - per evidenti divergenze programmatiche -
della compagine di governo, ed inizia ad operare nel nuovo
quadro democratico che viene a determinarsi per far prevalere
le ragioni di una politica sociale che ponga, al primo
posto, il lavoro (attraverso il recupero del salario falcidiato
dall'inflazione e la lotta alla disoccupazione) e la difesa
dello stato sociale, a partire da sanità e pensioni.
Temi ed argomenti di oggi, dunque, che animano l'ultima,
in ordine di tempo, iniziativa significativa del Partito
della Rifondazione comunista: la lunga "Marcia per
il lavoro" attraverso tutto il Mezzogiorno, conclusasi
con una imponente manifestazione di popolo, lo scorso 9
novembre, a Napoli.
(pubblicato su Liberazione del 13 dicembre
1996)