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Günter Grass analizza la situazione tedesca alla luce degli incerti esiti elettorali

Publie le lunedì 19 settembre 2005 par Open-Publishing

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Il premio Nobel per la letteratura (1999), Günter Grass, analizza la situazione tedesca alla luce degli incerti esiti elettorali di ieri.

No alla destra, sto con Schröder

di Günter Grass

Viviamo in un tempo che non lesina crisi. Sia quelle veramente minacciose che quelle solo chiacchierate ci vengono proposte giornalmente o propinate come spauracchi. Alcuni cittadini hanno difficoltà a distinguere tra ciò che è veramente serio, e la notizia orripilante di un demagogo dotato, il quale pensa di poter racimolare voti per un partito che si dichiara di «sinistra» ma che in verità a destra pesca nel torbido.

Pesca nel torbido, mettendoci in guardia da una marea di «lavoratori stranieri» (citazione) dell’Europa dell’est.

Ed eccomi arrivato al tema, le elezioni anticipate per il Bundestag. Per dirla subito: per quanto possa essere difficile raggiungere questo obiettivo elettorale, io sono comunque per un proseguimento del lavoro governativo rosso-verde con il cancelliere Gerhard Schröder e il ministro degli Esteri Joschka Fischer. Entrambi hanno avuto il coraggio di fare riforme difficili; entrambi hanno dimostrato un’azione responsabile dinnanzi a crisi reali e non chiacchierate, sia adesso che in un passato recente.

Ricordiamoci: quattro anni fa, l’attacco terroristico alle Torri gemelle del World Trade Center ha sconvolto non solo l’America ma anche noi. Allora il cancelliere promise agli Stati Uniti piena solidarietà nella lotta al terrorismo. Ma preventivamente aggiunse che la Germania non si sarebbe fatta trascinare dentro alcuna avventura. Questo avvertimento era più che giustificato. Poco dopo, nelle parole del presidente americano, l’Iraq venne dichiarato stato canaglia numero uno. L’ex alleato degli Stati Uniti, il dittatore Saddam, divenne l’incarnazione del male. Con la motivazione labile già allora che in Iraq si stava preparando la produzione di armi nucleari, si chiamò ad una guerra che nella maniera terribile che tutti conosciamo fece tante vittime civili e che ancora non è terminata. Oggi sappiamo che allora gli Stati Uniti ingannarono i loro alleati con bugie e documenti falsificati; e alcuni alleati si sono fatti gabbare come volenterosi di guerra. Ma l’attuale governo tedesco, il cui predecessore era noto per una dipendenza cieca spesso dimostrata, ha avuto il coraggio di contraddire il presidente della Grande Potenza. Willy Brandt lo aveva chiamato «coraggio di fronte all’amico». La Cdu-Csu si è dichiarata sconcertata. Come era possibile essere tanto temerari da usare senza ritegno la propria sovranità? La partecipazione a questa guerra non doveva essere negata. Il cancelliere e il suo ministro degli Esteri non si sono fatti fuorviare. Fino ad oggi, entrambi sono rimasti fedeli a questo atteggiamento responsabile, dimostrandosi leali nei confronti delle Nazioni Unite. Se tre anni fa, e anche allora vi furono elezioni federali, avesse vinto il duo Stoiber-Merkel, soldati tedeschi sarebbero stati coinvolti, con tutte le conseguenze, in una guerra che la popolazione dell’Iraq e gli alleati «volenterosi» soffrono tuttora. La signora Merkel non ha capito e voluto correggere ancora la valutazione politicamente sbagliata di questa situazione tuttora ampiamente critica. Eleggere lei come cancelliere sarebbe colposo; una guerra tra «bene e male» alla quale saremmo costretti sarebbe micidiale. E chi dovrebbe prendersi la responsabilità per la politica estera? Quel tipo che si reputava tanto divertente di nome Westerwelle?

Ed eccoci arrivati a un partito che, a favore di coloro che guadagnano bene, si è sottomesso al dogma del neoliberismo. Con piani assurdi per una riduzione delle tasse, insieme alla Cdu, cerca di accattivarsi la benevolenza dell’associazione degli industriali. So che questo errore è stato fatto anche da altri. E perciò non voglio sminuire le passate valutazioni sbagliate del governo federale e del cancelliere. È evidente che troppo facilmente e per troppo tempo ci si è fidati delle promesse dei datori di lavoro. I guadagni sono stati incassati ma non sono stati investiti per creare nuova occupazione. Per se stessi, i consiglieri delle banche e della grande industria decretavano stipendi e liquidazioni astronomiche. Contemporaneamente, con mezzi ricattatori costringevano gli operai e gli impiegati a rinunce di stipendio. Con la minaccia costante della perdita di posti di lavoro, era possibile intimidire i sindacati e rendere arrendevole la popolazione lavoratrice.

Spesso, i socialdemocratici e i verdi hanno ceduto a questa pressione; dicevano di dover cedere assicurando la propria totale impotenza. Ma questa scusa non fa bene alla democrazia. Dove andremo a finire se lobby extraparlamentari influenzano le leggi mettendo in forse l’indipendenza dei rappresentanti eletti del popolo? E così i costi delle riforme necessarie sono stati addossati soprattutto ai lavoratori, ai disoccupati e ai pensionati. Tardi, il governo rosso-verde ha capito che le conseguenze finanziarie delle riforme inderogabili devono essere sopportate anche e in maniera giusta da quei cittadini che sono avvantaggiati da alti redditi e ricchezze. Io faccio parte di quella fascia di reddito che non si può lamentare. Da quando ho 30 anni, cioè da quasi cinquant’anni, con la pubblicazione dei miei libri in Germania e all’estero e grazie al favore dei lettori ho guadagnato bene. Giustamente, per decenni, ho dovuto pagare tasse del 53%. Ma per questo, né io né la mia famiglia ci siamo mai lamentati. E anche se il pagamento di tasse elevate non è piacevole, sono dell’opinione che questa quota per i redditi più alti andava mantenuta. Per ragioni di giustizia, se questa parola desueta ha ancora un suo peso. Ora però, per volere della Fdp, questa quota dovrebbe essere ridotta al 35%. E questo dovrebbe succedere a braccetto con la Cdu-Csu. Ma il bambino prodigio della signora Merkel, il professore Kirchhof, vuole andare oltre l’ingiustizia sociale della Fdp: la formula magica «25% per tutti» è il suo pezzo forte di neoliberismo. Si può solo sperare che molti cittadini riconoscano questo imbroglio prima che diventi governativo. Così andrebbe al potere l’ingiustizia totale.

Alcuni si chiederanno come mai uno scrittore, di età avanzata per giunta, si intrometta nella campagna elettorale. Molti giornali importanti consigliano agli autori, specie a quelli giovani, di non immischiarsi con la politica. Tanto si sa che la politica da sempre è un mestiere sporco che rovina lo stile. L’arte deve mantenersi pura. Bene, questa litania la conosco da decenni. Ma chi, come ho fatto io, si chiede le ragioni della caduta della Repubblica di Weimar e della presa di potere dei nazisti, sa che la democrazia resta vitale solo quando un numero sufficientemente grande di cittadini si erge a sua difesa. Cioè se sono pronti a immischiarsi e non lasciano la politica solo ai partiti e alle loro scaramucce studiate. Perciò vi parlo contemporaneamente da scrittore e da cittadino. E questo lo faccio instancabilmente dalla metà degli anni sessanta in poi.

La democrazia non dispone di diritto più grande del diritto insostituibile del libero voto. Farne uso dovrebbe essere ovvio. La storia tedesca lo dimostra. Quante lotte sono state necessarie prima che ai cittadini venisse concesso il diritto di voto. E come miserevolmente è andato perso. E sin dall’inizio di questa lotta, sono stati i socialdemocratici a battersi per questo diritto fondamentale, fino al diritto di voto per le donne. Questo mi fa stare dalla parte dei socialisti. Vorrei che i nostri socialdemocratici di adesso prendessero maggiore coscienza della storia di quasi 150 anni del loro partito. Li renderebbe più sicuri della vitalità della democrazia sociale, proprio perché è stata tante volte soppressa e dichiarata per morta. Chi ha letto l’autobiografia del grande segretario della Spd August Bebel «Della mia vita» sa che tutte le leggi sociali che oggi ci sembrano ovvie sono state conquistate con fatica strappandoli ai conservatori e alla reazione. Oggi queste leggi sono messe chiaramente in pericolo dalla destra. E non ci si dica che i grandi partiti sono tutti uguali, intercambiabili persino. Sinistra e destra non esisterebbero più. Queste sono chiacchiere che servono solo a confondere le idee sulle differenze. Sono i socialdemocratici e i verdi che difendono la tutela sui licenziamenti per operai e impiegati contro la mania di annullamento dei democristiani e della loro appendice liberale. Sono i socialdemocratici a battersi da decenni per la scuola a tempo pieno per tutti; sono i Verdi a battagliare contro la lobby degli agricoltori e a impegnarsi con successo per la tutela dei consumatori. Sono stati insieme i Verdi e i socialdemocratici, durante 7 anni di governo, a creare condizioni favorevoli per le energie rinnovabili abbandonando nel contempo il nucleare. E sono stati i socialdemocratici e i Verdi ad avere, dopo 16 anni di governo Kohl, il coraggio di mettere in campo le riforme per evitare il collasso dei sistemi sociali tedeschi. Loro si sono dati dei compiti che hanno sofferto dell’ostruzionismo dei democristiani e che devono essere continuati da un governo rosso-verde. E da chi, se no!

Da sempre, gli elettori hanno dato la responsabilità di governo ai socialdemocratici solo quando tutto era diventato immobile e il carro si era impantanato. Lo abbiamo vissuto quando Willy Brandt è diventato cancelliere e quando poi con il suo «coraggio delle riforme» e con la sua politica di pace e tedesca dei «piccoli passi» ha contribuito all’unità statale della Germania. È vero che le riforme iniziate dal governo rosso-verde erano piene di errori e sono state per questo giustamente criticate; ma si è vista la volontà di imparare dagli errori. In parallelo a questo sforzo, la Cdu fa di tutto per parlar male della Germania soprattutto come luogo per investimenti economici. Il nostro paese non deve affogare nella palude delle lamentele e ritornare alla stagnazione dei tempi di Kohl. Al contrario. Continuiamo ad aver bisogno del coraggio dei cambiamenti, anche di quelli che fanno male. In una società che rischia di invecchiare troppo bisogna osare nuove vie. Perché è vero che noi tedeschi, in tempi di benessere economico, abbiamo costruito innumerevoli villini unifamiliari, ma mancano i bambini che danno vita a queste case e ai giardinetti ben curati, cioè mancano i bambini che poi assicureranno il sistema pensionistico. Non è che io, patriarca di una famiglia numerosa e sempre più vitale, voglia lanciare un appello affinché in tutta la Germania si facciano allegramente figli, ma se fare figli continuerà a non esserci, allora bisognerà riconoscere che la Germania è un paese di immigrazione che ha bisogno dell’aiuto di molti cittadini nuovi e giovani.

Grazie a una legge del governo rosso-verde, centinaia di migliaia di nostri concittadini stranieri hanno avuto la libera possibilità di sentirsi cittadini dello Stato tedesco. Sono una ricchezza per il nostro paese e in presenza di più tolleranza potrebbero, con la moltitudine dei loro figli, aiutare se stessi e noi in maniera ancora maggiore. Nessuno dovrebbe costringerli a rinunciare alla loro cultura, perché anche essa è parte della nuova ricchezza di colore e diversità. E solo se rispettiamo la loro cultura saranno pronti a riconoscere la cultura tedesca e a vivere l’apprendimento della lingua tedesca come loro arricchimento. Per questa ragione bisogna contraddire tutti i demagoghi xenofobi, sia quelli che provengono dalla destra che quelli che si mascherano da «nuova sinistra». Il presidente della Baviera, noto per le sue frasi contorte che non solo fanno male alla lingua tedesca ma che ledono anche il precetto di tolleranza della società civile, parla chiaro ogni volta usa i cittadini stranieri che da noi hanno trovato rifugio, per dipingere scenari dell’orrore. Recentemente ha addirittura allargato la sua fobia verso gli stranieri negando ai cittadini della Germania dell’est il diritto di decidere con il loro voto chi deve diventare cancelliere. La sua frase dell’anno: «Purtroppo non abbiamo ovunque popolazioni così intelligenti come in Baviera», continuerà a ronzarci a lungo nell’orecchio.

Forse è più corretto il contrario. Mi chiedo: per quanto tempo ancora i bavaresi si permetteranno come presidente una persona politicamente pazza come Edmund Stoiber? Questo uomo che per stupidità o premeditazione ha offeso tutti i tedeschi dell’est, non dovrebbe più essere eleggibile. Ma la signora Merkel in quanto ex tedesca dell’est, pare non sia in grado ad evitare che a un Schönbohm faccia seguito uno Stoiber. Il suo tentennare ed indugiare può avere ragioni a noi nascoste. Però lei è tenace, laboriosa e sicuramente capace d’imparare. In futuro non scambierà netto per lordo. Però, a volte, il suo zelo saccente, è esagerato. Non si accede alla Cancelleria con questo sorriso devoto.

Ma torniamo a Gerhard Schröder e al suo ministro degli esteri Joschka Fischer. Entrambi sono cresciuti con il loro lavoro e la loro carica. Entrambi sono capaci di ammettere errori e di correggerli. Ad entrambi, a volte, vengono rimproverati puro attivismo e arroganza. Bene, se si intende l’energia dell’uno e la sicurezza dell’altro, soprattutto nel rapporto coraggioso con i media, potremmo anche continuare a conviverci. Perché dobbiamo proprio alla loro energia, il fatto che ai nostri soldati è stata risparmiata la partecipazione ad una guerra in Iraq che lede i principi del diritto dei popoli. La loro azione ha rafforzato la considerazione che all’estero si ha della Germania. Chi, all’interno dello schieramento dell’opposizione, potrebbe essere capace di tanta tenacia, circospezione per esperienza e coraggio dell’azione, specie in situazioni di crisi che non mancheranno? Credete davvero che possano essere la signora Merkel e il signor Westerwelle?

Per questo ho dato al mio discorso il titolo «Che cosa è in gioco in queste elezioni?». Alcuni esempi dovranno chiarirlo.
In accordo con l’Onu, diecimila soldati tedeschi si trovano all’estero per tutelare la pace. Hanno compiti difficili che richiedono una guida responsabile. Qualcuno, al posto del ministro della Difesa Struck può immaginarsi il signor Schönbohm o qualcun altro del genere? Il mio discorso «Che cosa è in gioco in queste elezioni?» deve essere completato con la domanda: che cosa è in gioco con il predominio continuo del capitale? Con un tale predominio incontrollato, quanto spazio, o meglio quanto poco spazio hanno a disposizione tutti i governi liberamente eletti? Si deve accettare la globalizzazione come un diktat e come una sorte alla quale non si può sfuggire? Questa domanda va posta quando si deve decidere. E in questo senso va continuato anche il dibattito sul capitalismo, con o senza cavallette. Franz Müntefering ha criticato inconvenienti che nessuno può seriamente negare: la distruzione di imprese mediante i Hedge-Fonds che, come i pirati navigano sotto la bandiera neoliberale porta quotidianamente alla perdita di posti di lavoro.

A partire dalla fine degli anni ottanta, il capitalismo addomesticato a fatica, ha nuovamente fatto ricorso a quei metodi che un tempo erano propri del capitalismo feroce del quale si voleva credere che fosse stato superato con l’economia di mercato sociale. E ancora peggio: quel che la borsa attualmente ci offre sotto forma di speculazioni e cosiddetti «prese di possesso nemiche» lede le leggi di mercato, distrugge volutamente mercati, evita investimenti che potrebbero comportare una maggiore occupazione e aumenta il valore delle azioni ogni qualvolta sono stati decisi dei licenziamenti. Così si distrugge del capitale. Così si disprezzano gli uomini. E se i promotori del sistema capitalistico non si ravvedranno, l’autodistruzione dell’ideologia che ha regnato fin qui avrà conseguenze inimmaginabili. Può suonare assurdo: chi vuole salvare il capitalismo dal collasso deve nuovamente civilizzarlo, cioè costringerlo nuovamente alla responsabilità sociale nel senso si una economia di mercato sociale. Bisogna esigere questo contributo alla pace sociale dalle potenti associazioni dell’industria e dell’economia, dalla banche e dai grandi gruppi energetici, eventualmente anche con una legge.

Chi potrebbe farlo? Non un governo nero-giallo. A quel punto si potrebbe dare la responsabilità di governo anche alla Confindustria tedesca. Una grande coalizione? È discutibile e poco augurabile. E quel che oggi si chiama Nuova Sinistra soffre ancora delle conseguenze del capitalismo di stato comunista, ha solo richieste e non offre soluzioni. E così rimane soltanto il governo rosso-verde che molti media avevano già dato per morto o del cui si erano augurati il decesso. Da Schröder e Fischer ci si può aspettare che non temano il confronto; perché solo così potrebbero continuare il lavoro riformatore già iniziato.

Io voto per Rosso-verde perché ci ha salvato dalla guerra, perché ha dimostrato il coraggio di riforme dolorose e perché all’orizzonte non c’è proprio nulla di meglio.

Io voto per i socialdemocratici perché stanno dalla parte dei socialmente deboli e perché ci sanno preservare da una caduta verso rapporti di classe all’americana.

Inoltre, so per esperienza che cosa significherebbe una Germania nuovamente tinteggiata di nero. Per questo ho abbandonato per un po’ di tempo il mio manoscritto sul leggio per immischiarmi, da cittadino e da scrittore, in questa campagna elettorale. Noi abbiamo un voto. Usiamolo!

Günter Grass (Traduzione di Esther Koppel)

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