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Die Linke e la sinistra italiana

Publie le sabato 24 settembre 2005 par Open-Publishing

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di Ok. Tober

Il risultato delle elezioni tedesche ed in particolare il successo del partito della sinistra alternativa tedesca “Die Linke.PDS” ha fornito l’occasione per diversi commenti. Come spesso accade in questi casi, in molti hanno cercato di tirare la coperta dalla propria parte per adattarla alle rispettive scelte. In diversi casi questi commenti ignorano completamente la politica e la strategia che la PDS è venuta sviluppando a partire dalla sua rifondazione sulle basi del vecchio partito unico della Germania dell’Est.

Le analisi provenienti da Rifondazione Comunista (Bertinotti, Migliore, Armeni) hanno evidenziato gli elementi di convergenza strategica piuttosto che gli aspetti specifici inquadrabili nel contesto della situazione tedesca.

Un primo elemento riguarda la connessione tra il successo della sinistra alternativa tedesca e la vittoria del “no” al trattato costituzionale europeo nei referendum francesi e olandesi. Sulla costituzione europea la sinistra alternativa si è differenziata dalla sinistra moderata, aprendo uno spazio a quello che è stato definito un “no” europeista e di sinistra. La PDS come Rifondazione Comunista e il Partito della Sinistra Europea si sono collocati unitariamente all’interno di questa prospettiva.

La differenziazione con la sinistra moderata sul trattato costituzionale viene interpretata come uno degli elementi di differenziazione tra le “due sinistre”. Bertinotti nel suo commento riprende questa formulazione. Anche all’interno di una possibile convergenza di governo, resta aperta la competizione tra sinistra alternativa o radicale e sinistra riformista o moderata. Il ruolo della prima non è interpretato come mero supporto inevitabilmente subalterno alla seconda. La sinistra alternativa può e deve aspirare a guidare la costruzione di una alternativa al liberismo, delineando la costruzione di una alternativa di società.

Viene inoltre sottolineato il forte impegno comune di entrambi i partiti nella costruzione del Partito della Sinistra Europea. La PDS tedesca ha avuto ed ha un ruolo fondamentale nell’opera di rafforzamento di questo progetto che è visto come centrale nella strategia politica di questo partito. All’interno dell’SE, Rifondazione e PDS hanno costituito una sorta di “nocciolo duro”.

Segnalati questi aspetti non c’è una immediata identificazione nello specifico progetto di costruzione del nuovo partito, né delle sue scelte sul piano delle alleanze di governo con l’ex-alleanza di governo rosso-verde.

Le altre letture che sono circolate danno valutazioni diverse dell’esperienza tedesca.

La posizione dell’Ernesto si è rivelata finora piuttosto incerta. Il direttore della rivista ed esponente di questa corrente, Fosco Giannini, era intervenuto con un lungo articolo su Liberazione a fine luglio. Giannini, polemizzando con il responsabile esteri di Rifondazione Gennaro Migliore, assumeva un atteggiamento critico verso il nuovo partito e soprattutto sull’idea di importarne il modello in Italia. Per il direttore dell’Ernesto, “Die Linke” è sostanzialmente un “partito socialdemocratico di sinistra”. Con esso si rimuoverebbe la questione “dell’autonomia comunista”, quando i comunisti dovrebbero invece “rilanciare il loro progetto rivoluzionario” attraverso la “riassunzione piena dell’azione soggettiva , leninista”.

Siccome “l’autonomia culturale, politica e organizzativa” del partito comunista è assunta come criterio assoluto, è evidente la lontananza dal progetto su cui si basa “Die Linke” che si propone di unire all’interno di un unico partito comunisti rinnovati, socialdemocratici di sinistra, sindacalisti, partecipanti del movimento altermondialisti e altre personalità. Il punto di convergenza per i tedeschi è il progetto politico, non una identità metastorica. Sono convinti che queste diverse esperienze si possano ritrovare in un percorso di rinnovamento della sinistra anticapitalistica. Questo “processo storico”, dicono i dirigenti di “Die Linke”, con una certa sobrietà “può interessare anche al di fuori dei confini tedeschi”.

Al di là delle critiche teoriche, politiche ecc. che si possono fare all’impostazione di Giannini essa si scontra innanzitutto con il principio di realtà. Anziché confrontarsi con i soggetti reali nei quali si articola la sinistra alternativa, e non solo in Europa, ripropone l’idea di un unico modello di partito, costituito “a priori” e inserito nelle diverse realtà nazionali. Questo porta a valorizzare la presenza di gruppuscoli ideologici, irrilevanti sul terreno del conflitto politico, sociale, culturale, ma “identitariamente” corretti.

Il sito dell’Ernesto ha dato però rilievo anche ad una analisi diversa sul voto tedesco ed in particolare sul ruolo di “Die Linke” ospitando con evidenza un articolo di Franco Astengo. A differenza di Giannini, Astengo ritiene che il risultato di “Die Linke” vada “valorizzato” in particolare perché esso “rappresenta il successo di una sinistra davvero non governativa”. Dopo avere svolto alcune considerazioni sulle elezioni in Germania, peraltro interessanti e in buona parte condivisibili, e aver avvertito del pericolo di impossessarsi del successo del partito tedesco ai fini delle vicende italiane, incorre nello stesso errore.

Analizza “Die Linke” non per ciò che esso è, ma ai fini della sua critica alla partecipazione della “sinistra radicale” italiana a progetto di governo dell’Unione. (Immaginiamo che sia questo il motivo del rilievo che a questo intervento fornisce l’Ernesto, dato che per il resto non ha quasi nulla a che spartire con l’intervento di Fosco Giannini). La PDS prima e “Die Linke” poi non si sono mai posti sul terreno pregiudiziale del rifiuto dell’alleanza con la sinistra moderata. In alcune regioni importanti governano insieme (a Berlino e nel Mecklemburgo-Pomerania occidentale) anche con scelte difficile e criticate all’interno. Al centro hanno sempre posto le scelte politiche e il rapporto con i soggetti sociali di riferimento.

Pertanto la definizione di “sinistra non governativa” non regge all’analisi. Se si vuole fare un paragone con l’Italia, introducendo inevitabilmente una forzatura, occorre considerare che la posizione di “Die Linke” è semmai simile a quella con cui si confrontò Rifondazione nelle elezioni del 2002, quando si usciva dall’esperienza dei governi di centro-sinistra, subalterni al liberismo, da cui occorreva marcare una differenza politica e sociale per non essere inghiottiti in una condizione di subalternità e poter intercettare i movimenti critici. Oggi in Italia veniamo da cinque anni di governo di destra e da una situazione di ripresa di movimenti di lotta che richiedono una diversa collocazione della sinistra alternativa. Le diverse scelte di Rifondazione Comunista e “Die Linke” mi pare derivino in parte da specificità nazionali, in parte dalle differenze del ciclo politico in cui esse agiscono. Non da una distinzione fra una sinistra “governativa” ed una “non governativa”.

Un altro tentativo di italianizzazione ancora più forzato della vicenda tedesca è quello operato da Radio Città Aperta in un suo editoriale del 19 settembre scorso. In questo si riprende il nesso tra il referendum francese e il voto tedesco, per arrivare a conclusioni affini a quelle dei “pidiccini”. “Die Linke” avrebbe unificato varie anime della sinistre tedesche (PDS, DKP, Sinistra della SPD e pezzi di sindacato) dando vita ad un raggruppamento politico che esprime “l’esigenza di rappresentanza politica dei lavoratori, dei precari, dei disoccupati e dei settori popolari in Germania”. In realtà il DKP, il tradizionale PC tedesco-occidentale di matrice filosovietica non si è unificato nel nuovo partito, ma ha solo inserito qualche candidato nelle liste.

Aggiunge Radio Città Aperta che questa unificazione “ha consentito di ottenere un risultato politico ed elettorale vincente che separatamente non sarebbe stato possibile”. Affermazione indiscutibile, ma aggiunge poi l’editoriale “sarà bene che il segretario del PRC Bertinotti colga il segnale e l’occasione e cessi di contrapporsi da solo all’esigenza diffusa e reale di unità delle forze politiche della sinistra alternativa e dei movimenti sociali”. La parola non compare, ma aleggia lo spettro della lista Arcobaleno, alla quale Bertinotti si opporrebbe “da solo”. Questa coalizione “può condizionare seriamente un futuro governo dove abbondano blairiani e liberalriformisti o se ne può smarcare con un progetto politico e sociale indipendente non più minoritario”. In realtà i soci fondatori della lista Arcobaleno non sono affatto interessati alla seconda ipotesi. Il PdCI è nato con una scissione di Rifondazione proprio per connotarsi strategicamente e identitariamente come forza interna al centro-sinistra “perinde ac cadaver”. A questo punto o Radio Città Aperta non si riferisce alla lista Arcobaleno e abbiamo capito male o questa lista si basa su presupposti talmente vaghi da potere essere qualsiasi cosa per ognuno dei suoi sponsor.

Radio Città Aperta introduce “innuendo” il tema della lista Arcobaleno che invece è il cuore delle dichiarazioni dei dirigenti del PdCI. Cossutta, Diliberto e Jacopo Venier hanno posto un segno di eguale tra il progetto “Die Linke” e la lista Arcobaleno. Jacopo Venier, responsabile esteri del PdCI sul suo sito, esalta “il coraggio politico” di PDS e WASG di saper realizzare l’unità “nei tempi e nelle forme che la politica rendeva necessarie”. Immancabile arriva l’anatema: “tutto ciò non è ancora accaduto in Italia dove un partito della sinistra, Rifondazione, impedisce per egoismo di partito e narcisismo del suo leader, la nascita di quella Confederazione della sinistra che da noi potrebbe raggiungere cifre ancor più rilevanti di quelle tedesche”.

Venier deve spiegare la mancata alleanza tra Die Linke, SPD e Verdi, attribuendola alle divisioni del passato. Ma le parole del leader della PDS Gregor Gisy che cita (“oggi non ci sono le condizioni ma adesso è necessario che si sviluppi un processo”) lasciano “ben sperare” che un domani ci siano in Italia e Germania maggioranze “omogenee”. Questa necessaria convergenza si può vaticinare - secondo Venier - sulla base di una “profezia” di Cossutta del 1998. Al momento della scissione il fondatore del PdCI affermava che la scelta di stare nel centro-sinistra “non derivava solo da una esigenza democratica legata alla situazione italiana ma corrispondeva ad una esigenza storica europea se non mondiale”. Quindi dove Astengo vede una identità “non governativa”, Venier scorge già in marcia il processo di costituzione dell’Unione “in salsa di wurstel”.

L’unico elemento su cui si può concordare in questa analisi è che sia “Die Linke” che la “lista Arcobaleno” sono l’unità di qualcosa con qualcos’altro. Per il resto è difficile intravedere reali similitudini. In Germania abbiamo il principale partito della sinistra alternativa che diventa punto di riferimento per altri settori della sinistra, in particolare quelli derivanti da una scissione della socialdemocrazia. “Die Linke” è una forza politica inequivocabilmente rossa, anche se pluralista al suo interno. Riconosce la diversità delle tradizioni e delle identità del movimento operaio, considera fondamentale la ricerca e l’innovazione teorica e politica e pone alla sua base la rottura con lo stalinismo. E’ un partito che riconosce le correnti interne, la libertà di pensiero e di parla dei suoi militanti, e si confronta alla pari con i movimenti in quanto soggetti indispensabili alla costruzione di un progetto di emancipazione e di liberazione.

La lista Arcobaleno, è tutt’altro: fondamentalmente una convergenza elettorale di soggetti politici eterogenei, ognuno dei quali persegue un proprio percorso politico. (Non ho indagato, ma dubito che Pecoraro Scanio, che è elettoralmente il socio di maggioranza della lista, possa sostenere di essere impegnato a costruire in Italia l’equivalente della tedesca “Die Linke” che è molto critica nei confronti dei Verdi tedeschi). Il PdCI, come abbiamo già avuto modo di esplicitare in precedenti articoli, considera questa lista come il passaggio nella costruzione della Confederazione della sinistra con i DS. A nessun tedesco verrebbe in mente di proporre una simile idea a Schroeder. Non ha una dimensione europea anzi Cossutta ha dichiarato che il Partito della Sinistra Europea, centrale nel progetto politico del PDS prima e di “Die Linke” adesso, è una “farsa”. E così via.

L’esperienza di “Die Linke” merita di essere analizzata a fondo. E’ un partito che, anche attraverso la Fondazione Rosa Luxemburg, produce moltissimo materiale di analisi politica e di riflessione, forse più di qualsiasi altro partito europeo della sinistra alternativa. Vale la pena di confrontarcisi e di tenerlo sotto osservazione. Basta ricordare di togliersi prima il paraocchi.