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NON BUSSARE ALLA MIA PORTA - Paris, Texas del XXI secolo.

Publie le sabato 1 ottobre 2005 par Open-Publishing

Dazibao Cinema-video - foto

Il viaggio nel tempo del cowboy stanco Wenders nel cuore d’America: Sam Shepard, eroe e cosceneggiatore di Paris, Texas del XXI secolo.

di R.S.

Don’t come knocking, titolo scorsesiano per un buon Wim Wenders americano. Una storia, con il plot costruito dai personaggi, e non viceversa, sul vuoto di paternità nel mondo d’oggi (che potrebbe abolirla per legge)... Un uomo ricco e famoso, attore di western, e da sempre solitario, a sessant’anni e qualcosa può decidere di diventare socievole, e per questo si mette in marcia, cambia giacca e stivali, si apre all’on the road e al caso, torna molto indietro nel passato, per costruire un altro futuro... Howard si chiama, che fa rima con "coward" (codardo), le urlerà il suo ex grande amore ritrovato.

Era tanto grande, quell’amore che fu interrotto per paura, per evitare, chissà, il dolore di una fine insostenibile. Resta però un figlio cantautore con band, da qualche parte. E se ha il caratterino del cowboy individualista celibe, sarà difficile farli comunicare, quei due. Gli attori sono più che perfetti, Jessica Lange, Tim Roth, Sarah Polley e Eve Marie Saint... immersi ognuno in un mondo di segni tutto proprio e non sempre decifrabili. Immagini stupende, poi, di Franz Lustig, pensate già per il televisore al plasma e il 16:9 e per essere competitive con i campi lunghi di Rio Bravo e Ombre rosse.

Ma Joseph Biroc le avrebbe amate molto, perché nitide ma inquietanti. Come se Corman avesse avute tre settimane di tempo in più nelle riprese per ritoccare ombre e focali. Una ventina i riferimenti colti all’iconografia del passato, classica e del crepuscolo, da Hooper a John Sturges, dalla main street intatta, iniziosecolo (scorso), negli stati del «middle», che in realtà non esiste più ma grazie ai mall-center post moderni oggi stanno rifiorendo, alle vecchie automobili verdi pastello e tutte curve, agli alberghi cadenti e screpolati simili a Million Dollar Hotel, alle cine-roulotte e agli altri non luoghi (nel senso di non usurati dal cinema): la cittadina di Butte (in Montana), perché Dashiell Hammett la chiamò Poisonville in Red Harvest; e l’altro centro abitato di Elko, Nevada, dove si mangia un’ottima cucina basca e l’eroe ritrova le sue radici dimenticate, una madre che non gli ha insegnato le buone maniere e le origini dei suoi sensi, «spiritati» e onnivori. Ma anche Moab, segnale fordiano forte del paesaggio primordiale della lotta epica, ma non «malboro dipendente» (e dunque intossicato) come la Monument Valley.

Quelle piccole, autobiografiche cose che misteriosamente riescono a dare al tutto un tocco di verità e allo stile un marcato retrogusto europeo, da premio Phoenix, da Strasburgo Found. «Mi ha salvato il rock», disse Wim Wenders, ma, una volta salvo, fu Hawks e Walsh e Tashlin a praticare la respirazione bocca a bocca per non fargli mai più venire la voglia di farla finita. Ma un cineasta della modernità critica ha qualche strumento di analisi e combattimento in più, studia ossessivamente lo sguardo come violenza subita quotidianamente nelle nostre città, la paranoia dell’essere scrutati ovunque da occhi non indifferenti, misteriosi, ostili e indiscreti... Tutto questo conduce il film all’elogio finale del toccare virtualmente, del toccarsi per capirsi, ma attraverso le immagini non la carne, in una sorta di manifesto per un «cinema osteopatico» più realista ancora perché non statico ma dinamico. E la musica di T-Bone Burnett ovvero del country cool rock a tutto spiano (più Cassandra Wilson)...

Insomma: cosa possiamo pretendere di più da un film del sabato sera? Non è sempre il momento della rottura epocale, di un Nel corso del tempo che dichiarò finita la contestazione generale e iniziata l’era del narcisismo in crepuscolare stato d’allarme. Anche il clima di L’ultimo spettacolo, o di Il temerario o di un film serio come ne facevano ancora negli anni 80 Walter Hill, Don Siegel o Sam Peckinpah, entra in questo parco a tema sull’America oggi. Don’t come knocking, non bussate alla mia porta, o «Non disturbare» è l’ultimo film di Wim Wenders, un omaggio ai drammi ambientati nel rude Montana di Sam Shepard, l’unico corpo cowboy credibile della modernità.

Infatti i western non li producono più, se non per vincere Leoni d’oro. Parto lungo, budget imponente, si iniziò nel 2002, poi stop per il no budget Land of Plenty che non è bastato a fermare Bush jr. e poi altri soldi, altri partner, altri «colori aggiunti». Come dice Wenders, però: «come per un buon vino è bene che un buon film invecchi un po’ più a lungo». Shepard, ora che il suo viso da sempre perfettamente fordiano è segnato dalle rughe come quello di Harry Dean Stanton, è anche il protagonista e il cosceneggiatore di questo Paris, Texas del XXI secolo. Dunque dopo venti anni, un divo del cinema, inguaribile dongiovanni, cento yard di coca e rye whiskey a fiumi, dice basta a tutto, mentre è su un set nel deserto, diretto da George Kennedy, prende un cavallo e scappa, prosegue a piedi, poi in autobus, poi trova la mamma che non sentiva da un secolo e che le dice che da qualche parte c’è un figlio suo riapparso dal nulla. Forse è un bene che non tutti usino la pillola. L’integralismo è degli altri. E se lo tengano.

http://www.ilmanifesto.it/Quotidian...

Don’t Come Knocking

Drammatico, Germania/USA, 2005

Regia Wim Wenders

Cast
Sam Shepard, Jessica Lange, Tim Roth, Gabriel Mann, Sarah Polley, Eva Marie Saint

Distribuzione Mikado

Uscita 30/09/2005

Non bussare alla mia porta

Don’t Come Knocking. Non andate a bussare alla roulotte di Howard Spence, il famoso attore di film western, perché Howard non vi aprirà. Non bussate a Howard: lui non c’è mai per nessuno, neppure per se stesso. Ormai sulla sessantina, sulla cresta di un successo che ha i giorni contati per un genere cinematografico in declino, Howard Spence (Sam Shepard) un giorno fugge a cavallo dal set dell’ennesimo film nel deserto di Moab, nel parco Nazionale The Arches, nello Utah, location storica dei film con John Wayne.

Cowboy del tempo che fu, improbabile e tuttavia credibile in quella giubba di camoscio a frange, negli stivali a punta ricamati, il cappello Stetson e gli speroni, Howard cavalca come un disperato sotto il sole cocente: baratta i suoi vestiti con il primo tizio che incontra in una fatiscente catapecchia nel nulla e prende un treno per Salt Lake City. Getta il cellulare, fa a pezzi le sue numerose carte di credito e con un pacco di contanti raggiunge in autobus la cittadina di Elko, in Nevada, dove abita la disincantata e pratica madre (Eva Marie Saint).

Non sappiamo perché fugga e dove voglia andare, ma solo che vuole cancellare ogni traccia di sé, fare piazza pulita con il passato e forse ritrovare le sue orme perdute. Quale posto migliore della sua stanza da ragazzo di trent’anni prima, con l’album dei ritagli di giornale conservati dalla madre che testimoniano una vita sregolata tra donne, alcol, droghe e piccoli arresti?

Intanto è sulle sue tracce il tenace detective dell’assicurazione della produzione del film, il cinico e inamidato Sutter (Tim Roth). Howard deve finire il film e deve essere trovato. La madre rivela al figlio la sua paternità: da qualche parte nel Montana Howard ha un figlio mai conosciuto, avuto da una donna che forse neppure rammenta. Howard trova un appiglio per dare un senso ai suoi giorni e raggiunge Butte, nel Montana, dove incontra la sua vecchia fiamma Doreen (Jessica Lange), cameriera conosciuta durante le riprese di uno dei tanti film e il figlio Earl (Gabriel Mann). Non è facile però riannodare dei fili mai esistiti e fare ordine in un caos esistenziale, le sorprese potrebbero essere tante: chi è la dolce Sky (Sarah Polley), una bionda ragazza che gira con le ceneri della madre appena morta e segue ogni passo di Howard?

Wim Wenders con Sam Shepard inventa questa storia, sceneggiata poi dall’attore: l’incontro, seconda collaborazione tra i due dopo Paris, Texas (1984), non può che essere fortunato, tra due personalità similari, riservate, ruvide e avvezze a una narrazione scarna, asciutta, fatta più di impressioni che di spiegazioni.
Don’t Come Knocking è un sunto di 122 minuti di tutte le tematiche del cinema di Wenders, ma va oltre. É un canto d’amore dolente a una certa America che non c’è più: il tedesco Wenders non trova più il West, la frontiera, gli USA ’on the road’, ma scova l’indifferenza, l’involgarimento, il moderno pacchiano, il nonsenso. Howard Spence è un paradosso, che si trova a girare prima a cavallo e poi sulla vecchia auto azzurra del padre in un nostalgico road movie: osserva il mondo intorno ma, di colpo, come risvegliandosi da un sonno di anni, pare non comprenderlo.

Sam Shepard delinea fortemente questa figura solitaria di uomo in declino, che ha trascorso l’esistenza a nascondersi, che passa da un set all’altro, da una finzione all’altra. Butte, la meta del suo cercare, lo rappresenta bene: fiorente nei primi anni del Novecento, è ora un’enorme città fantasma, decadente, senza speranza.

Wenders insiste sulla tematica genitore/figli, sul bisogno di radici, sul tema a lui caro del viaggio e ci offre un film che ha una fotografia, a opera di Franz Lustig, con cui ha lavorato anche in La terra dell’abbondanza (2004), che è un capolavoro. Satura di colori, quasi finta e ’scenografica’, evocativa e simbolica, rammenta i quadri di Edward Hopper, di cui ricalca la solitudine esistenziale. Ogni inquadratura è un dipinto che non ci si stanca di guardare. Se aggiungiamo l’elemento essenziale dei film di Wenders, la musica, qui firmata da T-Bone Burnett, con sigla finale di Bono Vox nell’edizione definitiva che uscirà nelle sale, otteniamo un’opera di grande fascino, che non può non catturare.

Tuttavia ci rimane l’impressione di un vuoto e di una vaghezza, di un ricercare invano: lo script accenna e non scava, noi vorremmo sapere di più, andare oltre e leggere nelle rughe profonde di Howard Spence.
"Chi è Howard, dov’è Howard, quando ha smarrito se stesso?" cantano in coro i suoi figli in viaggio e noi ci auguriamo che lo stiano raggiungendo.

http://www.cineclick.it/recensioni/archiv/dontcomeknocking.asp


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