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Dopo tre mesi di carcere Judith Miller rivela il nome della sua fonte sulle "balle dell’uranio"

Publie le domenica 2 ottobre 2005 par Open-Publishing

Dazibao Stampa Giustizia Governi USA

Libera la reporter del New York Times

di FRANCO PANTARELLI

Judith Miller, la giornalista del New York Times che si era rifiutata di nominare la fonte dell’amministrazione con cui aveva parlato, è stata scarcerata ieri grazie al fatto che la fonte medesima l’ha autorizzata "per telefono e per lettera" a fare il suo nome. La fonte è Lewis Libby, il capo della staff del vice presidente Dick Cheney. È stato lui a dirle che Valerie Plame era un’agente della Cia e che era stato grazie ai suoi buoni uffici se suo marito, l’ambasciatore Joseph Wilson, era stato scelto dalla Cia per andare a indagare sulla presunta "ricerca di uranio arricchito" che l’Iraq di Saddam Hussein stava facendo nel Niger.

Wilson era tornato dal Niger dicendo pubblicamente che la storia dell’uranio arricchito era una bufala e la Casa Bianca era sprofondata in un grande imbarazzo perché poco prima lo stesso Bush aveva detto - per di più nell’occasione più solenne del cerimoniale politico americano: il messaggio sullo stato dell’unione - esattamente il contrario. Alla Casa Bianca si posero il problema di come «punire» quel guastafeste di Wilson e di come parare il danno che lui aveva procurato al falso castelletto che stavano costruendo. E il fatto che sua moglie Valerie fosse un’agente della Cia serviva egregiamente ai due scopi. Così ecco Lewis Libby e Karl Rove, il consigliere numero uno di Bush, «soffiare» l’informazione a vari giornalisti e aspettare l’effetto che fa.

Sono almeno cinque i giornalisti che loro contattano, ma solo uno - Robert Novak, un amico dell’amministrazione - pubblica la loro soffiata. Non lo fa Judith Miller, non lo fa Matt Cooper del settimanale Time e non lo fanno gli altri rimasti senza nome, presumibilmente perché tutti si rendono conto della manovra - del resto piuttosto scoperta - orchestrata dalla Casa Bianca. L’effetto che la rivelazione fa è dunque scarso, ma ce n’è un altro, di effetto, che la Casa Bianca chiaramente non si aspettava e che invece fa rizzare molte orecchie, e cioè il fatto che la rivelazione dell’identità di un agente segreto è un reato federale punibile fino a otto anni di prigione.

Molti cominciano a sognare una riedizione del Watergate, magari con le rivelazioni che Bush in persona ha ordinato la «soffiata» e le sue dimissioni per evitare l’impeachment come fece Richard Nixon. Bush dice pubblicamente di avere interrogato tutti i suoi collaboratori e accertato che nessuno di loro è l’autore di quella soffiata-reato. Nessuno è soddisfatto di quella dichiarazione, né dell’indagine che viene promessa dal ministero della Giustizia e così si arriva a nominare uno special prosecutor indipendente nella persona di Patrick Fitzgerald, magistrato di Chicago.

Lui comincia a interrogare i gionalisti per scoprire il colpevole. Matt Cooper, al quale l’informazione era stata passata da Rove, accetta di fare il suo nome dopo che lo stesso Rove lo «autorizza». Judith Miller, che invece non riceve nessuna autorizzazione da parte di Libby, tace e va in galera. Degli altri a cui la soffiata è stata fatta non si sa mentre dell’unico che l’ha utilizzata in un suo articolo, Robert Novak, non si capisce se è stato interrogato e se ha fatto nomi. Una stranezza che forse un giorno il prosecutor Fitzgerald spiegherà. Dopo l’arresto della giornalista del New York Times è possibile che Lewis Libby si chieda se «autorizzarla» come il suo compare Karl Rove ha fatto con Matt Cooper di Time. Ma il tempo passa e nulla accade. Solo ieri, dopo 85 giorni di carcere, ecco la Miller anunciare che l’autorizzazione di Libby è arrivata e che quindi lei è pronta a testimoniare.

Ora è da supporre che il cammino verso l’incriminazione vada avanti spedito: c’è il reato, ci sono i colpevoli indicati e ci sono i testimoni. Ma nessuno si aspetta il Watergate. Le «autorizzazioni» date da Rove tre mesi fa e da Libby adesso - dicono un po’ tutti - sono state frutto di laboriosissimi «negoziati» fra i loro avvocati e il prosecutor Fitzgerald per trovare una formula che li salvi. E il fatto che sono state scritte vuol dire probabilmente che la formula è stata trovata.

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