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PER RICORDARE WALTER RICERCHIAMONE GLI ASSASSINI

Publie le mercoledì 26 settembre 2007 par Open-Publishing
3 commenti

Dazibao Movimenti Storia Enrico Campofreda

de Enrico Campofreda

Immaginate come potrebbe essere oggi Walter Rossi, uno splendido cinquantenne come molti dei ragazzi dei Settanta sanno ancora essere. Con qualche naturale biancore, qualche sciatalgia ma uno spirito mai domo. Nonostante repressione, droghe prime, droghe seconde, rampantismo, italiadabereedarubare, politica come carriera, seconda repubblica e fascisti postfascisti a governare lo Stato nato dalla Resistenza. Nel settembre 1977 l’ultimo partigiano che abbiamo recentemente pianto, Giovanni Pesce, aveva cinquantanove anni. Un uomo appena più maturo di quello che sarebbe oggi Walter.

Un uomo accantonato come i valori antifascisti da quell’Italia che aveva fatto libera, nonostante l’anno successivo allo strazio di Rossi un altro uomo simbolo della Resistenza qual era Pertini diventasse Presidente. Eccola l’Italia passata e presente. L’Italia di facciata e di sostanza. A parole democratica e cosciente dei passi oscuri compiuti, di fatto serva d’un realismo politico da far paura. Non scomodiamo la Storia per ripetere cose notissime, di come il fascismo nel Belpaese non sia mai morto. Addirittura con la creazione d’un partito nostalgico coacervo di criminali di guerra e giovani fanatici, ma soprattutto mai morto negli apparati statali e nello spirito di quanti sedevano sotto altre sigle sugli scranni del Potere.

Naturalmente c’è stata un’altra Italia. Quella ideologica e passionale che non si svendeva, non comprendeva l’amnistia Togliatti e più tardi il compromesso storico, scendeva in strada e lasciava morti a Reggio Emilia, insorgeva a piazza De Ferraris. Dall’epoca delle stragi di stato - che sottoponevano i cittadini a un clima sudamericano con bombe seminatrici di morte e una destra militare che fremeva per il golpe - l’altra Italia riprese a cacciare i fascisti dalle sedi da dove partivano raid assassini.

All’inizio dei Settanta l’antifascismo militante fu un modo per resistere alla politica dell’assassinio che vedeva il fascismo di Stato armare la mano degli squadristi di Almirante, Fini e Rauti mentre costoro sedevano in Parlamento. Una petizione popolare per la messa fuorilegge del Msi raccolse centinaia di migliaia di firme e venne pesantemente boicottata a sinistra dal Pci. Accanto a essa c’era la difesa di cortei, comizi, propaganda, iniziative di lotta al carovita come occupazioni di case e autoriduzioni delle utenze. Un amplissimo movimento di popolo che del piombo era solo bersaglio. Piombo fascista e poliziesco.

I discussi “anni di piombo” hanno avuto questo prodromo, decine e con le stragi centinaia di vittime, e quel che sono stati l’impegno e la lotta per la democrazia e la partecipazione sociale in quegli anni non possono essere catalogati come adesione al partito armato. Una sorta di revisionismo storico passa anche su questa fase più recente della politica italiana. L’esperienza, pur conclusa e sconfitta della sinistra extraparlamentare che diresse lotte storiche nel decennio successivo al Sessantotto, viene rimossa per parlare solo di bierre e lottarmatismo. Gli anni Settanta non furono questo. Non lo furono i movimenti operaio, studentesco, dei disoccupati, delle donne da Torino a Palermo.

I cortei di Mirafiori, i Cub della Pirelli, i caschi gialli dell’Italsider, le occupazioni a Fulvio Testi, San Basilio, Casalbruciato. Le ribellioni antifasciste all’omicidio Varalli, il corteo romano del 2 febbraio da cui nacque il movimento ’77. Formidabili quegli anni scriveva un ex leader sessantottino quando cominciò a vivere di rendita di posizione. Furono formidabili per una generazione che non voleva chinare la testa nonostante il fuoco nemico. E rispondeva con la baldanza dell’utopia e la voglia di sovversione. Rispondeva con la lotta collettiva, non certo pacifica perché non credeva nei “We shall Overcome” dei campus statunitensi.

La ribellione italiana, pur vivace e creativa, non riparava nelle comuni lisergiche, cercava di entrare nei problemi sociali, si ricollegava alle contraddizioni classiste del capitalismo, al mondo di sfruttatori e sfruttati riproposto in Italia dopo le sciagure del fascismo e l’illusione del boom economico. La bella bandiera d’un mondo nuovo, che il Pci aveva abbandonato per incamminarsi su una via che non è mai stata neppure socialdemocratica, veniva ripresa dai ragazzi dalle magliette a strisce, dalle tute blu dell’autunno caldo, dai sessantottini e settantasettini. Walter era uno di loro. Questo abbiamo il dovere di raccontare ai ragazzi di Genova e di dopo Genova. A chi ha ancora voglia di non chinare testa e schiena.

E per non ricordare la morte ma gli ideali che animavano Walter e i suoi compagni, per andare oltre la testimonianza un primo obiettivo praticabile può essere quello di richiedere alla magistratura di cercare i suoi assassini. Che sono magari presenti nei ricordi dei tanti Cuori neri adagiati sugli scaffali delle librerie italiane. Ricordi della pubblicistica postfascista e neanche tanto post che discetta dalle poltrone parlamentari e istituzionali ricevute in regalo nell’ultimo quindicennio. E’ uno dei servizi che possiamo rendere alla memoria di Walter e di chi crede a una società che possa liberarsi dal cancro fascista.

Messaggi

  • Chi sono stati gli assassini di Walter è stranoto.

    Lo ha detto in un aula di tribunale nientemeno che Giusva Fioravanti e la cosa è stata confermata da altri neofascisti ed anche da altri testimoni.

    Sono stati il fratello di Giusva, Cristiano Fioravanti, e Alessandro Alibrandi, figlio di un giudice del Tribunale di Roma poi consigliere comunale di AN ; l’arma fu fornita da Massimo Sparti, falsario interno alla parte più legata ai "servizi", i cosiddetti "testaccini" di De Pedis ( assurdamente sepolto in una basilica romana), della Banda della Magliana.

    E i due fascisti agirono con la piena copertura di un drappello di poliziotti che coprirono alla vista dei compagni che volantinavano i due attentatori e poi si guardarono bene dall’inseguirli.

    Alibrandi, poi passato ai Nar ed addirittura arruolatosi nella Falange libanese per combattere i palestinesi, morì in una sparatoria con la polizia 5 anni dopo.

    Cristiano Fioravanti e Sparti ( poi morto per malattia), essendo i principali ( e quasi certamente falsi) accusatori di Giusva Fioravanti per la strage di Bologna hanno invece ottenuto, in quanto "pentiti", una specie di impunità anche per i delitti precedenti l’attività dei Nar e della stessa Banda della Magliana.

    Questa la intricatissima situazione che ha impedito nei fatti ( tra l’altro Cristiano era all’epoca dei fatti minorenne) qualsiasi riapertura del processo.

    K.

    • Ricercare gli assassini era detto in senso più ampio perché al di là di quel che si sa (e di quanto comodo abbia fatto ad altri missini, andava bene accusare un minorenne e dire che a premere il grilletto fu chi non c’è più), altri fascisti erano dietro quel blindato e altrettanti poliziotti. Pari è il loro coinvolgimento per un concorso all’omicidio. Come ricordi gli sparatori non furono fermati e vennero addirittura protetti. E che dire dei caporioni che difendendevano gli squadristi? I Buontempo, Storace, Alemanno, Gasparri, Gramazio che rivendicano il proprio passato nostalgico dovrebbero rispondere almeno politicamente del sangue versato dal partito che li raccoglieva, che li ha transitati nell’attuale organizzazione postfascista e anche ai vertici delle istituzioni. Il senso della rapida e limitata carrellata sull’antifascismo dei Settanta era questo.

      ecam

    • Non mi fraintendere, sai bene che ho anche contribuito ad una più ampia diffusione di questo articolo.

      Volevo soltanto chiarire a chi frequenta queste pagine che degli assassini materiali si sa praticamente tutto.

      Soltanto che due sono morti ed il terzo è un "collaboratore di giustizia" dello stato, rifugiato chissà dove sotto falso nome e quindi oggettivamente impunibile ( ed uno dei due morti aveva le stesse caratteristiche fino a che appunto è rimasto vivo).

      Poi sulle responsabilità più ampie sono ovviamente d’accordo.

      La oggettiva complicità dei poliziotti presenti ( ed allora governava un centrosinistra con nella maggioranza anche il Pci !), che oltretutto crearono ritardi anche nei soccorsi, è un dato indiscutibile.

      Come il fatto che Fioravanti ed Alibrandi non erano all’epoca "terroristi" ma militanti della sezione Monteverde del Msi-Fdg, organizzazione di cui Bontempo era il segretario romano e Fini quello nazionale.

      Per non parlare poi del ruolo di Sparti, più volte utilizzato anche in seguito in provocazioni "di stato" gestite dai servizi segreti.

      Che dire poi di Alibrandi, fermato pochi giorni prima a Piazza Risorgimento con addosso addirittura un mitra e, grazie anche alle influenze paterne, incredibilmente subito rilasciato ?

      Insomma è evidente che ci troviamo di fronte a qualcosa di ben diverso e maggiormente preordinato rispetto anche allo stillicidio delle aggressioni fasciste di quegli anni .....

      E dove le complicità e la vera e propria regia, a vario titolo, "di stato" fanno addirittura passare in secondo piano la diretta responsabilità di due pur pessimi ( e lo si vedrà in seguito) fascistelli pistoleri ......

      Che saranno comunque "scaricati" da Msi ed apparati statali solo quando, anni dopo, cominceranno a prendersela non più coi compagni, ma con guardie e magistrati .....

      K.