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L’Aquila: l’inferno del 41bis

Publie le mercoledì 26 marzo 2008 par Open-Publishing

Entrare nel carcere de L’Aquila è un po’ come entrare in un cimitero, nessun rumore, tutto immobile, la sensazione è anche quella di un labirinto.
Nei primo e secondo piano le sezioni a 41 bis dove ci sono 140 detenuti, al piano terra le due aree riservate maschili e quella femminile.
Li ci sono i più e le più pericolose, ancora maggiori restrizioni del 41 bis. Nella sezione femminile però c’è una detenuta Nadia Lioce sottoposta oltre che al 41 bis e alle aree riservate anche all’isolamento diurno. Applicato anche in una forma illegale con il blindato della cella chiuso sempre.
Un anno fa fu messa da sola dentro questa sezione ora addirittura peggio, chiusa sempre dentro lo spazio ristrettissimo della sua cella, non vede, non sente, non parla con nessuno. La sua quotidianità è fatta di questo. Su di lei si stanno sperimentando le forme detentive più estreme, nessuno è trattato come lei.

Questa situazione mi induce ad alcune riflessioni cioè che di questo passo si può arrivare come in America a legalizzare la tortura.
Denunciamo giustamente Guantanamo, con le gabbie esposte al sole, con i trattamenti disumani e poi non diciamo una parola su forme detentive illegali come quelle nella sezione femminile del carcere de L’Aquila. Il rispetto dei diritti umani, dello stato di diritto, va sviluppato sempre. Scontare la pena non può e non deve mai diventare l’essere sottoposti a gravi livelli di tortura psicologica.
Un trattamento prolungato nel tempo nelle forme di isolamento come applicato alla Lioce non può che portare a livelli di forte destabilizzazione. Fermare la tortura è un imperativo di tutti i garantisti e democratici.
La civiltà di una nazione non è un optional da esibire sulla carta, ma nei fatti la civiltà si vede dalle condizioni delle carceri e delle forme detentive.

Giulio Petrilli
(comitato nazionale per l’abolizione del 41 bis)