Home > Un governo fallimentare (e fallito)

Un governo fallimentare (e fallito)

Publie le giovedì 5 febbraio 2004 par Open-Publishing

Governi Rina Gagliardi

di Rina Gagliardi

Se in politica valessero i fatti concreti, il governo Berlusconi dovrebbe «logicamente» dichiarare
fallimento e quindi proclamare lo stato di crisi. Ma, in tutta evidenza, non ha alcuna intenzione
di farlo, almeno prima delle elezioni europee. Con la crisi, intanto, proprio come col terremoto,
questo governo si è ormai abituato a convivere. E poi, come ci ha spiegato l’illustre dottor
Scapagnini, Berlusconi è ormai un uomo «immortale» (ha detto proprio così): è lui l’unico soggetto che
conta e che pesa, è lui che, solo tra i suoi alleati, potrà recuperare quell’affetto delle masse
che gli è venuto meno.

Ciò non toglie che lo stato del centrodestra sia penoso.

Primo: non dispone più di una vera maggioranza politica. Al contrario, la coalizione che si
autonomina «Casa delle libertà» è ormai un campo di battaglia aperto, dove le forze del governo
«ufficiale» (Forza Italia e Lega) si scontrano senza esclusione di colpi con le forze del subgoverno
ufficioso (An e Udc). Tanto è aspra la tenzone - nominata col singolare eufemismo di «verifica» - da
vanificare anche ogni appartenenza partitica. Ieri, alla Camera, non sono stati pochi i deputati di
An che hanno consapevolmente deciso di impallinare una legge - la Gasparri - redatta, almeno
formalmente, da un ministro di An. Una legge ormai assurta a simbolo "eccellente" dell’arroganza
berlusconiana, perciò oggetto di un vero e proprio braccio di ferro, interno ed esterno al Polo. Una
controriforma che adesso va a fare compagnia alle proprie "consorelle" bloccate o contestate -
pensioni, riforma Moratti, risparmio. devolution.

Secondo: questo governo è riuscito a coalizzare contro di sè tutti i «corpi intermedi» e i poteri
istituzionali di un qualche peso del Paese. Dal Quirinale (che ieri ha sparato a zero, da capo,
contro la devolution) alla Corte costituzionale, dalla Magistratura alla Corte dei conti, il
dissenso ha ormai assunto le dimensioni di una crisi istituzionale strisciante. Ora vi si aggiunge (si fa
per dire) la crisi del Cda della Rai, con lo "sfiduciamento" (annunciato) della presidente
Annunziata.

Terzo e non ultimo: mentre il centrodestra blocca il lavoro del parlamento nella strenua difesa
degli interessi e del potere del premier e nell’attesa di un «chiarimento del quadro politico», il
paese reale si esprime attraverso una sequenza impressionante - e relativamente inedita - di
conflitti, vertenze, proteste. Nella sola giornata di ieri, erano in lotta i dipendenti dell’Alitalia,
gli operai delle acciaierie di Terni (che hanno simbolicamente assediato palazzo Chigi), i
lavoratori del petrolchimico di Gela, i «senza casa» di un quartiere di Roma organizzati insieme a un
comitato contro l’alta velocità, mentre gruppi di lavoratori di una multinazionale occupavano
l’autostrada Napoli-Caserta e a Pisa si abbattevano sul movimento dei giovani i colpi di una repressione
tanto brutale quanto ingiustificata. Vertenze diverse l’una dall’altra, unite finora solo
dall’asprezza del disagio che vivono milioni di persone (e che il rapporto Eurispes fotografa con
drammaticità impressionante). Ma che valgono una bocciatura secca del governo, almeno quanto i franchi
tiratori di Montecitorio.

Eppure, pur in questa condizione di isolamento e di assedio, il Governo resiste al suo posto. E
mette in atto la regola fondamentale della seconda Repubblica: per governare, il consenso non è più
necessario, basta un Sovrano determinato ad andare dritto per la propria strada. Non sarebbe ora
che le opposizioni, tutte, si dessero una sveglia?

LIBERAZIONE