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Aggressione fascista al Pigneto

Publie le martedì 27 maggio 2008 par Open-Publishing
3 commenti

Aggressione fascista al Pigneto

Ieri pomeriggio, alla fine della presentazione della mozione Acerbo, sono stato avvicinato da una compagna del mio circolo che mi ha informato di un’aggressione ai migranti del Pigneto. Era ancora una notizia da confermare, ma ci siamo immediatamente recati sul posto per capire cosa stava succedendo. Lo spettacolo che ci si è presentato davanti in via Ascoli Piceno, una traversa di via del Pigneto, è stato per me un colpo durissimo.
Non tanto per i vetri infranti (i fascisti hanno fatto anche molto peggio) quanto per l’impressione, mai provata nel nostro quartiere, di essere sotto attacco da parte dei fascisti.

Vivo questo quartiere da quando sono bambino e ne sono sempre andato fiero. E’ stato un quartiere che ha attraversato un
lungo periodo di degrado, è vero, ma episodi del genere non erano mai accaduti. Quando tre anni fa avvenne la serie di attacchi neofascisti al quartiere Centocelle e al centro sociale Forte Prenestino ho ingenuamente creduto che il mio quatiere fosse immune da tutto questo, ma è stata, appunto, un’ingenuità. Sono arrivati anche qui. Dalle prime ipotesi sembrerebbe che si tratti di un gruppo noto nel quartiere per altre bravate (mai di questo livello però) che si colloca allo stadio vicino al gruppo ultras della Roma dei Padroni di Casa, frangia della curva Sud della Fiamma Tricolore.

Tentare, nel nostro piccolo, di fare un lavoro di inclusione sociale, coinvolgendo i migranti nelle iniziative del nostro circolo territoriale, tentare di ricreare una forte coscienza antifascista, come fa il centro sociale SNIA o tentare di migliorare la vivibilità del quartiere, convinti che in questo modo si possa arrestare la spirale di violenza xenofoba di questa città, come fanno i comitati di quartiere della zona, non è bastato. I fascisti si sono inseriti nelle contraddizioni di un tessuto sociale meticcio ma non ancora integrato.

I residenti storici spesso mal sopportano gli studenti universitari o i migranti e i fascisti hanno creduto di potersi incuneare scatenando, come l’ha definita il presidente del municipio, arrivato ieri sera appena avuta la notizia, una guerra tra poveri. L’intento dei fascisti è di mettere tutti contro tutti per tornare al degrado degli anni ottanta. La guerra tra lavoratori italiani e lavoratori stranieri, tra migranti con il permesso di soggiorno e migranti senza, tra residenti storici e nuovi arrivati deve essere evitata a tutti i costi.

E’ da qui che deve ripartire il nostro lavoro sociale: dalla realizzazione dell’integrazione sociale tra residenti storici, migranti e studenti, sapendo che solo così potremo isolare la minaccia fascista che prospera e si sviluppa solo dove esistono ferite e divisioni sociali. Lavorare all’integrazione non è quindi solo un lavoro fine a se stesso, anche se già così varrebbe la pena di farlo.

Da oggi ancora più di ieri dobbiamo convincerci che solo con l’integrazione sociale non sarà più necessario correre ai ripari su singoli eventi, ma riusciremo ad estirpare il fascismo dai nostri quartieri una volta per tutte.

No pasaran!

Lorenzo, militante dei circolo di Torpignattara del PRC

PS: Oggi pomeriggio alle 18 all’isola pedonale del Pigneto ci sarà
un’assemblea pubblica per decidere le modalità della risposta da dare. Chi
volesse partecipare è ovviamente il benvenuto.

Messaggi

  • invece di gridare al lupo al lupo, pensa prima di scrivere
    invece di rinchiuderti nella tua demagogica propaganda pseudo-pacifista: informati!

    il capo di quella infelice ed illegale spedizione non è un fascista (la fonte è l’espresso)

    parli di clima violento dei fascisti, ma sei tu il primo ad alimentare il fuoco dell’odio inneggiando all’aggressione fascista.

    • Non montiamo storie, in stile Gasparri, sulle questione Pigneto.

      E’ vero, come ha rilevato Repubblica e non L’Espresso, che il capo-spedizione punitiva è un tizio con tatuato Che Guevara sul braccio, titolare di una palestra e pluripregiudicato che, secondo lui, voleva vendicare ( prendendosela con la persona sbagliata) un furto di portafogli ad una sua amica.

      Ma lui stesso sostiene che la decina di giovinastri che l’hanno seguito nella spedizione punitiva ( tutti clienti della sua palestra ed alcuni con fazzoletti sulla faccia con dipinta la svastica) sono un’altra cosa da lui ed infatti si dissocia dal successivo sfascio delle vetrine di altri due negozi gestiti da stranieri che con la storia del portafoglio rubato non c’entravano nemmeno da lontano.

      Non mi sembra che la sostanza della cosa cambi di una virgola.

      Per quanto riguarda l’università, la dinamica è chiarissima : aggressione armata, alcuni feriti di sinistra anche con armi da taglio, reazione e fascisti finiti a mal partito ....

      Quella di Verona, con tre elementi su 5 dei picchiatori già più volte inquisiti per episodi simili ( uno nella stessa serata), è stata una "ronda" autogestita da parte di neonazisti da stadio.

      Ma, al di là delle differenze tra i tre episodi, è innegabile che sono uniti da un clima più generale dovuto anche ai risultati elettorali .....certo non c’entrano direttamente nulla nè Alemanno nè Berluskoni ( il sindaco leghista di Verona invece molto di più).... ma il rapporto causa/effetto sul piano politico mi sembra del tutto innegabile ..

      Ma è arcinoto che chi semina vento raccoglie tempesta ...

      P.S. Io sono inguaribilmente di sinistra, ma questo non mi ha impedito di astenermi nel voto alle politiche e per il sindaco di Roma ed addirittura votare, per questioni locali, il centrodestra nel mio municipio romano ... da questo però ad essere fesso e da non riconoscere un "clima", ce ne corre ...

      Aladino Govoni

    • Testimone, la giornalista conferma Raid Fascista al Pigneto

      Raid del Pigneto. «Non era Chianelli il capo della banda: il capo era un nazista»

      L’unica testimone ripete: «L’ho già detto alla Digos: il capo era giovane, aveva una bandana, un foulard con la svastica».

      di Anna Tarquini

      Simona, la giornalista dell’Agenzia Italia testimone diretta del raid xenofobo al Pigneto, ha ancora «l’immagine chiara» davanti a se. «Quell’uomo - racconta a l’Unità - avrà avuto sui 25 anni e aveva la svastica, era lui che guidava i violenti». Eppure tutta l’attenzione si è spostata sul pregiudicato Dario Chianelli, e sulla sua versione dei fatti: «Non è razzismo, ma la vendetta di quartiere contro uno scippo». Ma tante cose in questa ricostruzione non tornano: «Ha detto che avevano tutti il casco, ma stranamente - prosegue Simona - quello che ho visto io il casco non ce l’aveva. Dicono che c’era anche un ragazzo di colore tra gli aggressori, ma certo l’avrei notato». Ma forse per tanti - anche giornalisti - è più comodo credere a un balordo...

      Ripartiamo dalla svastica. L’aggressore del Pigneto aveva o non aveva la svastica? Simona, la cronista dell’Agi che in diretta, seduta sul sellino del suo motorino, ha dettato il primo lancio di agenzia sul raid ancora oggi è sicura di sì, c’era. Ed è certa anche di un’altra cosa: questa storia è molto brutta e si sta dando più credito alla versione di un uomo che ha pure più di un precedente penale rispetto a quella di una giornalista che suo malgrado è stata testimone diretta. «Io ho visto quello che ho scritto, né più né meno. Ho visto questa bandana o questo foulard con dei segni tra cui la svastica. L’ho già detto anche alla Digos». Simona, lo diciamo subito noi, è stata minacciata. In questi giorni ha mantenuto un rigoroso silenzio sulla vicenda, anche se il suo mestiere è raccontare. Lo ha fatto perché è testimone, naturalmente, ma anche perché qualcuno le ha detto papale papale: «Al Pigneto è meglio che non ti fai rivedere per un po’». Simona non crede alla versione di Dario Chianelli, non ricorda di averlo visto davanti all’alimentari del bengalese. Dice: «può essere pure che ci fosse, ma io ho denunciato un’altra cosa, ho descritto un altro uomo come capobanda».
      Ripartiamo dai fatti. La rabbia del quartiere, la violenza, l’intolleranza. Poche ore dopo il pestaggio già gira una versione che dice: «Non è razzismo, ma la storia di uno scippo vendicata dal quartiere». Ma in quelle stesse ore e ancora oggi c’è un altro fatto incontestabile: Simona, sabato 24 maggio, alle 17.15 è seduta sul motorino davanti all’alimentari del bengalese e vede arrivare un uomo seguito da altri dieci ragazzi urlanti. Alza il telefono e cerca, invano, di chiamare il 113. «L’immagine è ancora chiara davanti a me. Avrà avuto 20 forse 25 anni e aveva la svastica». Ecco il suo racconto: «Io in questi giorni non sono intervenuta. Ho fatto il mio dovere di cronista, l’ho detto alla Digos, loro hanno detto la loro verità va bene così. La cosa più bella è che per alcuni giornali, come dire, quello che ha detto una persona che comunque ha precedenti penali è oro colato. È arrivato là da solo, c’era casualmente, insomma. Ha detto che avevano tutti il casco, ma stranamente quello che ho visto io il casco non ce l’aveva. Poi ora dicono che c’era anche un ragazzo di colore tra gli aggressori, ma forse l’avrei notato invece non l’ho notato. Insomma una serie di cose che mi lasciano francamente perplessa. Però, siccome io non faccio la commentatrice, e siccome mi hanno fatto capire che devo stare attenta e non avvicinarmi al Pigneto, allora il mio profilo è ancora più basso. Dopodiché magari venisse fuori, ma a questo punto secondo me non verrà mai fuori». Per carità. Tutto può essere. «Magari - dice Simona - quelli erano veramente un’accozzaglia di gente del quartiere, magari la svastica non sanno nemmeno che vuol dire. Boh. Però so che la svastica uno ce l’aveva, poi figurati se può venir fuori, evidente che no».
      Il giorno dopo il pestaggio la Digos offre la sua versione: la politica non c’entra. È uno sgarro mischiato all’intolleranza del quartiere che non ne può più di spaccio e risse. Il responsabile - dice sempre la Digos - è un uomo che cercava di riavere il portafogli da un certo Mustafà. Poi è la vendetta verso i bengalesi a colpi di bastone e di sloga: «Immigrati bastardi».

      L’altra versione. Niente slogan, niente frasi come «negri bastardi». I dieci, quindici energumeni che hanno preso a mazzate le vetrine dei bengalesi non parlavano, urlavano, come se la spedizione punitiva fosse studiata da tempo a tavolino e dovesse essere rapida e precisa. Già una settimana fa Simona era stata precisa su questa circostanza. Oggi lo è ancora di più. «Sì, urlava e chiamava gli altri. Tra l’altro io ho letto che quello con la magliettina rossa, quello che si è costituito, Chianelli, dice che era il primo. E che poi gli altri sarebbero arrivati dopo. Ora, io ero seduta sul mio motorino, quindi se lui è venuto, a volto scoperto, passeggiando tranquillamente e si è messo davanti all’alimentari può anche essere che io non l’abbia visto. È possibile. E poi sono arrivati gli esagitati dietro, può essere. Detto questo io però ho davanti l’immagine del primo che arriva urlando come un pazzo, arrivano tutti urlando e insieme come massa di dieci persone, quindici persone si gettano contro quello là, contro il bengalese». Il primo che arriva davanti all’alimentari, il capo, secondo Simona non è Chianelli. «Mi sembrava un giovane. Io ho detto anche alla Digos che, considerato che era abbastanza snello, poteva avere sui 25 anni. Però questa è proprio una deduzione. Non era assolutamente Chianelli, anche perché la magliettina rossa mi avrebbe colpito, no? Invece proprio no, non aveva la maglietta rossa. Chianelli dice che è arrivato da solo, questi non li conosceva, giusto? Però poi lui dice: “però io sono di sinistra quindi non c’entra questo fatto della svastica, il razzismo non c’entra”. Però se tu non li conosci non sai quelli come si sono bardati, no? O forse li conosci perché hai visto che possono essere ragazzotti del quartiere, ma tu, se non li conosci, non lo sai quello che si sono messi addosso. Almeno dovrebbe essere così. C’è qualcosa che non mi torna, dopodiché...». Dopodiché Dario Chianelli si offre alla stampa. Racconta il raid, dice: «Sono stato io e la politica non c’entra». Giovedì 29 a mezzogiorno si costituisce. Viene interrogato e poi viene lasciato libero di tornare a casa, accolto tra gli applausi dal Pigneto. Di più. Ormai rinfrancato il quartiere confessa che tra i mazzieri c’è anche un immigrato. «La cosa più grave è la strumentalizzazione - dice Simona - , nel senso che tu fai una cosa, per me è stato uno choc terribile, e tu vedi poi che i colleghi credono più a un balordo che dice delle cose piuttosto che a una persona che non ha motivo di dirti una cazzata. Perché c’era la svastica o non c’era la svastica, sempre quello è. Sempre violenza è. Quindi non capisco perché se c’è la svastica allora è fascista ed è più grave? Io non scrivo per l’Unità, io lavoro per l’Agi quindi... non avrebbe proprio senso. Una storia proprio brutta, proprio brutta».