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Paolo Ferrero: ricominciamo dai quartieri. Il Prc non archivi il comunismo

Publie le mercoledì 11 giugno 2008 par Open-Publishing

Rifondazione: VII congresso

Paolo Ferrero: ricominciamo dai quartieri. Il Prc non archivi il comunismo

Intervista a Paolo Ferrero pubblicata su L’Unità del 11/06/2008

di Simone Collini

PARLA tre quarti d’ora di una sconfitta «sottovalutata» e del fatto che «il problema oggi non è la costruzione di un nuovo centrosinistra», dell’errore commesso entrando nel governo Prodi «con i rapporti di forza a noi così sfavorevoli» e della necessità di «ricostruire un’utilità sociale della sinistra», dell’operazione «politicista» dell’Arcobaleno che ora rischia di ripetersi col processo costituente proposto da Vendola, del comunismo che «non è una tendenza culturale ma una forza materiale», della pericolosità di «abbandonare i punti di riferimento tradizionali quando non se ne hanno altri con cui sostituirli». Poi fa un esempio, Paolo Ferrero, per difendere la sua proposta politica per il congresso di Rifondazione comunista: «La Chiesa cattolica, dopo aver perso i referendum su divorzio e aborto, ha ricominciato dagli oratori, non da Ruini», dice il valdese Ferrero. «Di fronte a una società che le ha detto “non ci rappresenti”, non si è arroccata, ha ricominciato su un altro terreno. A Ruini ci è arrivata. Dopo 30 anni. Ma ci è arrivata».

Bertinotti domani spiega quelle che per lui sono le ragioni della sconfitta. Lei che dice?

«Che non siamo riusciti a dimostrare l’utilità sociale della sinistra. La gente ha pensato che non servissimo a niente».

Motivo?

«I due anni di governo, il fatto che il Pd invece di applicare il programma concordato ha mediato su ogni punto con i poteri forti».

Sempre colpa del Pd, voi non avete sbagliato niente?

«Noi abbiamo sbagliato l’analisi del congresso di Venezia, e quando dico noi dico che io sono responsabile di questa sconfitta quanto Fausto Bertinotti e Franco Giordano».

Dov’è stato l’errore, porvi la questione del governo?

«L’errore è stato pensare che nonostante fossimo sconfitti nella società, potessimo nel cielo della politica fare un’operazione di costruzione del programma e di condizionamento dell’Ulivo. Siamo stati velleitari, pensavamo con una lametta da barba di riuscire a fare un buco in un muro d’acciaio. Il progetto è fallito e ha determinato la rottura del rapporto tra la sinistra e la società. Per questo ritengo sbagliato, come fa Fava, proporre una ricostruzione del centrosinistra».

Qual è allora la priorità oggi?

«Costruire una sinistra di alternativa che faccia fino in fondo i conti col suo radicamento sociale e la sua utilità sociale. Perché a questo punto dobbiamo dare una risposta a chi si domanda chi sono quelli di sinistra. Io dico che sono quelli che quando una famiglia è sotto sfratto vanno a fare picchetto, perché se non sono questo sono soltanto un pezzo di ceto politico che quando va al governo fa cose non così dissimili dagli altri e con un’utilità marginale rispetto agli altri».

Per superare questa marginalità non è meglio dar vita a un processo costituente, come propone Vendola?

«No perché è un’operazione politicista, dall’alto, proprio come la Sinistra arcobaleno. A chi dice che ci dobbiamo unire per non scomparire ricordo che noi ci siamo uniti e siamo scomparsi dal Parlamento. Ora vediamo di non scomparire anche dalla società. Anche perché il problema adesso non è serrare le fila e prepararci al voto tra cinque anni. La destra sta lavorando a smontare ulteriormente i legami sociali. Se vanno avanti così sul mondo del lavoro, sulla sicurezza, sull’uso delle emergenze per smontare l’ordinamento giudiziario, tra cinque anni ci saranno le basi per impedire politicamente, culturalmente e socialmente la possibilità di costruzione di una sinistra. Oggi dobbiamo fare opposizione alle politiche della destra con un lavoro capillare, costruendo case della sinistra in tutti i quartieri, per discutere non di come fare le liste per il mese dopo, ma di come si riesce a mettere assieme comitati e associazioni per costruire sul territorio vertenze, fare esperienze di mutualità».

Non si possono fare insieme, costituente e ricostruzione dell’utilità sociale?

«Primo, a seconda di dove si punta il riflettore si determinano particolari esiti. Secondo, tra di noi dobbiamo dirci con chiarezza se Rifondazione comunista serve per l’oggi e il domani o se è una forma politica e un progetto politico che deve andare a chiudersi. Perché per me il Prc è utile, per chi parla di costituente diventa dannosa per processi cosiddetti più avanzati».

Vendola e i sostenitori della sua mozione negano che vogliano sciogliere il partito.

«Nella mozione si parla di nuovo soggetto politico unitario. Che vuol dire? E poi si parla di costituente della sinistra, quindi non si chiama più comunista. Con due effetti. Il primo: apre lo spazio per una costituente comunista, e quindi divide e non unisce il campo della sinistra. Il secondo: si chiude l’ipotesi politica di fondo del Prc, che è quella di tenere assieme l’appartenenza a un filone politico, il comunismo inteso come idea della rivoluzione, di critica radicale al modo di produrre ricchezza, con l’innovazione. Comunismo e rifondazione, le due cose stanno assieme. Se parli di costituente di sinistra le separi, con l’innovazione che va da una parte, non si capisce bene dove, e il comunismo da un’altra, verso una caricatura».

Non è tempo di archiviare falce e martello?

«Io sono protestante e quindi tendenzialmente iconoclasta. Però l’idea che si possa aggregare chi subisce sfruttamento in assenza di punti di riferimento è priva di fondamento».