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L’amara ammissione di Nichi

Publie le domenica 27 luglio 2008 par Open-Publishing

Rifondazione: VII congresso

L’amara ammissione di Nichi

di Frida Roy

Riconosce la sconfitta di fronte all’area compattata delle minoranze e di Ferrero-Grassi. Lo fa, dice, da comunista da sempre vicino ai vinti. Ora si attende il voto del Cpn che eleggerà il segretario, ma i numeri non gli giovano a favore

Ratifica la realtà. Elegantissimo, come sempre, vestito di nero, sale sul palco dopo la presentazione dei documenti, prima della chiamata nominale dei delegati per votarli, e di fatto ammette la difficoltà della corsa alla segreteria. I numeri gli sono avversi, la compattazione delle minoranze intorno al compagno valdese è un muro di gomma che non potrà che respingerlo indietro.

Certo, appare commosso, scuro in volto, arrabbiato. Non accetta infatti che il congresso ancora in corso si sia trasformato nella "fine della storia di Rifondazione comunista", ma soprattutto non ammette, pur dovendolo fare in questo mezzogiorno di fine luglio, di aver perso. "Sono sconfitto ma sono sereno perché da comunista ho imparato ad essere sconfitto e a stare con gli sconfitti".

E’ un amaro calice quello che gli tocca di bere. Forse non preventivato totalmente: che l’assise e la battaglia per la segreteria fossero difficili lo sapeva, ma che rischiasse di finire così, ecco questo non lo aveva completamente compreso. Fino all’ultimo la sua mozione, lo stesso Bertinotti anche personalmente, si è tutta spesa per sostenerlo, per centrare l’obiettivo di vederlo segretario. Anche con rinunce non semplici da digerire, ma che pure ferrariani e grassiani gli chiedevano come prova da portare al tavolo della trattativa, adesso naufragata: in primis rinnegare l’esperienza del tentativo unitario, chiudere completamente al Pd e corsa solitaria alle europee. Ma lo ha fatto e lo hanno fatto anche i suoi, che oggi probabilmente finiranno a bocca asciutta nonostante lo sforzo.

La rinuncia non è però l’abbandono della sfida, della casa in cui da anni milita e che ha contribuito a fondare, tanto da sceglierne il nome diciotto anni or sono: Partito della Rifondazione Comunista. Proprio perché è la sua storia quella a cui gli toccherebbe rinunciare nel momento in cui decidesse di sbattere la porta ad un partito consegnato ad altri, Vendola comunque annuncia battaglia: "Compagni della mozione 2 ci vediamo nell’area politico-culturale Rifondazione per la sinistra". "La seconda mozione - annuncia il governatore della Puglia - non abbandona Rifondazione ma è qui per continuare la battaglia perché siamo il 47,3% del partito".

Vendola rivendica poi la politica comunista nel Sud Italia, di cui lui è stato sicuramente protagonista, soprattutto dopo aver conquistato la poltrona di governatore in una terra particolare, dove tutto si poteva forse pensare tranne che un presidente rosso, omosessuale, cattolico. Del resto, come ricorda spesso lui stesso, l’eresia è stata la cifra della sua vita politica. In fondo, il passaggio sul partito nel Sud è anche una risposta alla polemica precongressuale che ha visto la mozione 1 accusare i suoi, quindi lui stesso, di aver gonfiato il tesseramento proprio nel meridione. Sfida i compagni del nord, infatti, "a venire a vedere al sud come si combatte l’illegalità e come si sfida la mafia a viso aperto". Il riferimento geografico è più che una rivendicazione del merito, ma anche un attacco diretto agli avversari politici, visto che proprio al nord la mozione Ferrero-Grassi-Acerbo-Mantovani si è imposta.

Un risultato, quello del mezzogiorno italiano, che però non copre l’amarezza per "un congresso che sta scegliendo la strada di composizione di una maggioranza che esiste solo in alchimie ricercate pazientemente, senza respiro né prospettive che non danno futuro a Rifondazione". Commuove i suoi che lo applaudono, ma solleva la polemica degli altri che lo fischiano.

Tutti scongiurano la scissione, tutti la rinnegano come sbocco, ma il Prc è ormai una mela divisa a metà. Lo si vede da questa platea di militanti che si definiscono compagni ma che sono finiti a spaccarsi non tralasciando sentimenti di astio gli uni verso gli altri. Per sapere ufficialmente come finirà, se il Cpn e i suoi numeri gli daranno contro, bisogna comunque aspettare. Certo, le probabilità e i calcoli, ma anche la trasformazione degli equilibri fra le minoranze unitesi in fronte maggioritario, non gli giovano a favore e rischiano di piegarlo.

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