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Guantanamo

Publie le domenica 15 febbraio 2004 par Open-Publishing

Guerre-Conflitti Giustizia Internazionale Prigione Viviana Vivarelli

di Viviana Vivarelli

Internet permette operazioni una volta impensate. Nel tempo di un’ora mi arrivano i dati su Guantanamo, scrivo una mail di commento, la mando ad alcuni siti di volontariato, ricevo una mail da una ragazzo che e’ in Afganistan, la rimando su internet. Tempo un’ora la mail compare persino su siti francesi. Alcune migliaia di persone la leggono.

La prima mail era:

Incredibile come a volte il mondo si sollevi, e a volte taccia in un silenzio colpevole e sordo.

Da due anni 660 persone sono prigioniere a Guantanamo contro ogni regola di civilta’ ma il mondo finge di non saperlo, non vuole vedere. La guerra dell’Afganistan e’ stata dimenticata, e’ entrata nel grande rimosso collettivo, come se non solo non fosse mai esistita ma anche non continuasse ad avere morti e distruzioni ogni giorno, mentre il paese non ha fatto un solo passo verso l’ordine e la democrazia. La coscienza del mondo non vuole piu’ saperne di verificare se quella fu o non fu una guerra giusta e ragionevole o se si tratto’, invece, di un enorme atto di ipocrisia, alimentato dal desiderio invasivo americano, che sfruttò abilmente l’attacco alle Torri per spingere un progetto già preparato da mesi per gli oledotto afgani e in cui si ebbe il primo dispiegamento della propaganda liberazionista, falsa e sfacciata, che sventolava nomi altisonanti: democrazia, liberta’, ordine, giustizia, cultura, civiltà...

Liberazione non c’è stata. I signori della guerra spadroneggiano esattamente come prima,i poveri sono piu’ poveri grazie all’enorme inflazione prodotta dall’arrivo americano, le donne continuano a portare il burka e sono allontanate dalle scuole, il papavero da oppio riempie come prima i campi, solo sono aumentati i senza gambe che continuano a esplodere sulle mine, le vedove, gli orfani. Il mondo ebbe piacere di raccontarsi una favola, ora sarebbe da dire chiaramente che la favola era una truffa, ma troppe parole sono dette e troppe facce andrebbero perse. Lo dicono anche in Giappone: perdere la faccia è sempre la cosa peggiore. Così il mondo si è messo tacitamente d’accordo sul metterci una pietra sopra, all’Afganistan. In fondo quel che conta e’ ’parlare’ di liberta’ e democrazia, parlarne soltanto, parlarne anche molto, come se il solo parlarne fosse compito umano e alleviasse la coscienza anzi la esaltasse, anche se poi i fatti smentiscono le parole. Così l’ipocrisia del mondo cresce a dismisura nel pubblico e nel privato. Un fiume di parole sotterra l’Agfanistan. Ci sentiamo dei santi che amano la democrazia e la libertà, solo perche’ ne abbiamo, molto, ’parlato’. Punto. Ora giriamo pagina e occupiamoci di un’altra cosa: magari la democrazia in Iran.

Ma restano, ingombranti, quei 660 prigionieri nelle gabbie da polli.

Dunque l’America rastrella 660 uomini, li accusa di essere talebani, e non li porta in campi internazionali o in prigioni americane, no, ipocritamente li rinchiude in una parte di Cuba che non è di Cuba, non è di nessuno stato civile, sembra, è una base militare americana, ma, pur essendo una base americana, non soggiace a quelle famose leggi americane che pretendono di esportarsi nel mondo, perche’ è una terra che non soggiace a nessun ordinamento giuridico, è un deserto giuridico, 116 km quadrati, una specie di paradiso penitenziario, come esistono i paradisi fiscali, solo che paradiso non è, è la terra senza legge. Gli Americani pretendono che una base americana non debba sottostare nemmeno alle leggi americane. E dunque, quando parte del mondo sarà diventata un’intera base americana, come le guerre di Bush intendono, non avremo l’esportazione della democrazia che è legge, ma una enorme terra di nessuno dove domina l’arbitrio e l’arroganza. E nessun uomo sarà considerato prigioniero di guerra, perché per gli Americani non esiste nessuna guerra ma solo stati canaglia che debbono essere puniti, come una banda di criminali punisce un’altra banda di criminali, e cioè al di fuori di ogni diritto.

Guantanamno è un lager, dove 660 persone senza capo di accusa sono chiuse in gabbie e vivono con un cappuccio nero in testa. Non si possono sapere i loro nomi, non hanno diritto a una difesa, non hanno un regolare processo, non conoscono le convenzioni di Ginevra, vivono in condizioni disumane, non sappiamo nemmeno qual’è il loro capo di accusa, sono rinchiusi e basta. E il mondo, che si è tanto indignato per i lager nazisti, ora tace, rimuove il fatto. E i cittadini americani, così bravi a parlare di democrazia e di diritti, così fieri dei loro principi costituzionali, tacciono anch’essi, e sono pronti a rivotare Bush.

660 persone sono state prese e rinchiuse in condizioni innominabili, come fossero ’capi di bestiame infetto’. Non diversamente da come Hitler prendeva e rinchiudeva ebrei, zingari o omosessuali. Alcuni di questi ’capi di bestiame’ vengono dall’Afganistan, altri dal Pakistan, si dice che molti non siano nemmeno stati presi in combattimenti ma comprati dai capi tribù e viaggiarono per ore su aerei merci, incaprettati in catene e storditi dai sedativi.

E allora ci chiediamo come mai il mondo, tanto sensibile alle Amine lapidate, tanto sensibile ai diritti umani, tace su una così eclatante ingiuria al diritto e all’uomo? Come mai si continua a ripetere che il Bush che è stato capace di questo possa arrogarsi anche solo il diritto di parlare di libertà e democrazia? Lui che il diritto e i principi democratici li calpesta in modo così infame.. E come mai i governi, i parlamenti di tutto il mondo non insorgono su un fatto tanto aberrante di cui non si vede nessun esito? Che fine ha fatto la terza convenzione di Ginevra che garantisce il trattamento dei prigionieri di guerra? E se anche Bush nega a questi uomini il diritto di essere prigionieri, perché non li fa processare come criminali con accuse precise? E può esistere l’accusa di crimine rivolta a ben 660 persone? E quale crimine? Queste 660 persone hanno partecipato all’assalto alle Torri? Difficile dimostrarlo. Ma se una detenzione simile si potesse imporre a diritto, a quale accusa dovrebbero essere sottoposti tutti coloro che ubbidiscono a Bush o lo affiancano in guerre puramente aggressive?

Questo strabiliante trattamento legale è stato voluto dal segretario Rumsfeld con le sue Military commission instructions per attuare gli ordini di Bush su ’detenzione, trattamento e giudizio dei cittadini non americani nella guerra contro il terrorismo’. Non solo gli americani pretendono di violare a piacere ogni norma di diritto internazionale, non solo pretendono di sferrare guerre a qualunque paese del mondo appena sorga per loro un vantaggio, non solo Bush stila liste di 43 paesi canaglia, e si arroga il diritto di fare ispezioni su chi desidera colpire inventando fantomatiche armi di distruzione di massa, egli ordina anche che i suoi tribunali militari, al di fuori di ogni legge americana, possano imprigionare, torturare e privare dei diritti fondamentali centinaia di persone, e ciò non è solo contro ogni norma internazionale, è anche antiamericano, va contro la stessa costituzione degli Stati uniti d’America, in una sola parola è un comportamento ’hitleriano’.

Guantanamo è il vuoto giuridico. E se a Guantanamo ci fosse anche un solo essere umano che viene privato così arbitrariamente dei suoi diritti, il mondo intero dovrebbe insorgere contro il suo persecutore perché sono gli stessi fondamenti del diritto e della democrazia a essere calpestati.

Dalla inchiesta di Amnesty e della Croce Rossa internazionale risulta che questi 660 uomini, perché sono uomini e non bestie, rastrellati non si sa come e dove, provengono da 42 paesi diversi, parlano 17 lingue e 23 dialetti, molti sono solo poveri contadini analfabeti, presi in mezzo dalla guerra, tre sono ragazzi tra i 15 e i 15 anni. Da due anni vivono in gabbie metalliche di 2 metri x 3, dormono su una cuccetta metallica, vivono imbotti di sedativi, il loro cervello è ormai distrutto, si parla di torture, per 32 volte hanno tentato di uccidersi.
Sui cancelli d’ingresso dei lager nazisti era scritto: "Il lavoro vi rendera’ liberi".
All’ingresso di Guantanamo hanno scritto: "Onore alla difesa della libertà".

Viviana
vivianavivarelli@aliceposta.it


Questa la risposta:

Scrivo raramente in lista, ma l’intervento di Viviana mi ha trovato decisamente coinvolto e in grado, forse, di aggiungere un punto di vista utile, dal momento che mi trovo da circa due mesi in Afghanistan.

Quello che Viviana scrive e’ verissimo, anche se parlando quotidianamente con la gente di Kabul il giustificato pessimismo sul futuro di questo paese viene stemperato dalla loro gentilezza e dignita’, e, ancor maggiormente, dall’apertura mentale che i giovani dimostrano.

La maggior parte delle persone che ho avuto modo di conoscere in maniera approfondita sono miei coetanei, quindi sui vent’anni; chiaramente, tranne poche eccezioni, si tratta di ragazzi e non di ragazze. Tutti mostravano apertamente la volonta’ di vivere in un paese pacifico, e non pacificato, come si puo’ tutt’al piu’ definire ora, escludendo comunque tutto il sud e la maggior parte delle aree popolate da Pashtun, dove continuano con cadenza settimanale le brillanti operazioni di lotta al terrorismo targate USA; (osservando sconfortati le statistiche si puo’ pensare che il Pentagono abbia preso troppo alla lettera la direttiva di "estirpare il terrorismo alla radice": raramente l’eta’ delle vittime civili dei bombardamenti supera i 10 anni).

I giovani di Kabul, nonostante l’alto tasso di non scolarizzazione che un quarto di secolo di guerra ha inevitabilmente portato, sono straordinariamente coscienti della congiuntura geopolitica e degli interessi economici che regolano i destini dell’Afghanistan e del mondo; perlomeno lo sono se confrontati all’ignoranza (o all’indifferenza) che alberga nella maggioranza dei loro coetanei italiani ed occidentali in genere.

Nei loro discorsi si nota un insofferenza ben poco celata verso gli elementi piu’conservatori dell’establishment, la maggior parte dei quali purtroppo ricopre incarichi prestigiosi nel confuso panorama delle nuove istituzioni afghane e detiene un potere ideologico-militare difficilmente scalzabile in tempi brevi.

Dal canto suo,"L’uomo piu’ elegante del mondo", come mi pare l’abbia definito Armani (una considerazione d’inestimabile importanza in questo cruciale momento storico), sto parlando di Hamid Karzai, il presidente afghano-americano (5 ministri chiave del governo hanno la doppia cittadinanza e, onestamente, sono piu’afghano io di loro), non e’ particolarmente apprezzato causa l’eccessiva supinita’ del suo governo ai raid americani, che non si limitano a bombardare villaggi e feste nuziali in zone remote, ma spadroneggiano indisturbati anche in piena Kabul (e’ del mese scorso l’irruzione nell’ospedale di Emergency alla ricerca di un "sospetto talebano", peraltro gia’ dimesso, effettuata all’improvviso e puntando armi addosso a chiunque nelle corsie piene di bambini e donne, in perfetto stile "Shock&Awe").

L’unica cosa veramente positiva che ho riscontrato da questo punto di vista e’ l’omogeneita’ del risentimento verso il comportamento dei militari americani: ragazzi dello Shomali (pianura a Nord di Kabul) soi-disant Tagichi e sostenitori dell’ex Alleanza del Nord condannavano senza mezzi termini i bombardamenti effettuati su zone abitate da Pashtun, ex-talebani e loro acerrimi nemici, secondo le ripartizioni etnico-politiche tanto care all’Occidente. E cosi’ nelle province ancora piu’ distanti dalla zona delle operazioni (naturalmente mi riferisco sempre alle citta’, nei villaggi spesso e’difficile trovare qualcuno che sappia distinguere tra l’ex-Unione Sovietica e l’America, da queste parti, d’altronde, con qualche ragione).

Quanto al ruolo delle organizzazioni internazionali, si puo’ dire che e’ a doppio taglio; da un lato molte di esse svolgono compiti fondamentali per la ricostruzione del paese o la mera sopravvivenza dei suoi abitanti, dall’altro l’enorme mole di interessi che nasconde l’Aiuto Umanitario Internazionale porta a situazioni di totale schizofrenia nella vita economica dell’Afghanistan. Alti funzionari iper-stipendiati che non mettono naso fuori dagli uffici possono permettersi di pagare somme considerevoli ad autisti, guardie del corpo, cuochi e sguatteri. Un autista puo’ guadagnare fino a 40-50 dollari al giorno lavorando per "gli occidentali"; sempre in Afghanistan, lo stipendio di un giudice statale nelle province non supera i 70 dollari mensili (un ottimo deterrente per la corruzione, come si puo’ ben immaginare, d’altra parte e’ l’Italia il paese leader nell’ambito della ricostruzione della Giustizia afghana) e quello di un insegnante raggiunge a fatica i 50. E’ evidente che il lavorare (qualsiasi tipo di lavoro) per gli stranieri sia il sogno di qualunque afghano che non arriva a fine mese con il salario (il 90% della popolazione, quindi). Questa non e’ inflazione, questo e’ impedire qualunque tentativo serio di costruire una societa’ indipendente ed autosufficiente.

Invece di puntare sull’educazione, la sola cosa che con un impegno umanitario equilibrato, la pace, ed il ricambio generazionale potra’ cambiare veramente il destino di questo stupendo paese, gli americani e molti dei loro alleati europei e mondiali rovesciano secchiate di dollari nelle tasche di istituzioni create a caso, assolutamente non rappresentative (anche se va detto che la mia pur breve esperienza non ne ricorda di veramente rappresentative, a livello statale, neanche in parti piu’ fortunate del mondo) e che non fanno altro che sovrapporsi nei loro presunti incarichi e litigare per spartirsi la torta del potere, con la sola garanzia che, almeno fino a che l’afflusso di fondi rimarra’ costante, il litigio verbale non lascera’ la parola alle armi. Ma sarebbe uno smacco agli USA troppo grosso anche per i distratti mass-media occidentali, e quindi il teatro della dollaro-democrazia in Afghanistan durera’ ancora per un po’.

Speriamo abbastanza a lungo da permettere agli afghani di cambiare il finale che, in un modo o nell’altro, nazioni lontane e vicine, in primis gli Stati Uniti, hanno programmato per loro.

fabriziofoschini@libero.it