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Il razzismo non è un «futile motivo»

Publie le giovedì 18 settembre 2008 par Open-Publishing

Il razzismo non è un «futile motivo»

di Grazia Naletto, Annamaria Rivera, Giuseppe Faso, Alberto Burgio, Maria Immacolata Macioti, Alessandro Dal Lago, Luciano Muhlbauer, Clara Gallini, Daniela Consoli, Udo Enwereuzor, Pupa Garribba, Mercedes Frias, Gianluca Gabrielli

L’omicidio del cittadino italiano Abdul William Guibre non è un episodio isolato, poiché è stato favorito da chi - in primo luogo forze politiche e mezzi d’informazione - in questi mesi ha attuato o incoraggiato, consapevolmente e sistematicamente, discorsi, pulsioni e atti xenofobi e razzisti. L’argomento, circolato grazie a agenzie di stampa compiacenti, secondo il quale all’origine del delitto vi sarebbe il furto di un pacco di biscotti, se anche fosse fondato, non ne sminuisce la gravità e la connotazione razzista. Le cronache degli ultimi diciotto mesi sono dense di «episodi isolati» come questo.

Che nessuno abbia perso la vita fino a oggi è da considerarsi del tutto fortuito. Solo per ricordare i fatti più recenti: il 13 maggio 2008 il campo rom di Ponticelli viene incendiato dalla popolazione del quartiere, sull’onda della «voce», diffusa a arte, che imputa a una giovane descritta come zingara il presunto tentativo di rapimento di una bambina; il 24 maggio 2008, a Roma nel quartiere Pigneto, la spedizione armata ai danni di negozi gestiti da cittadini bengalesi e pakistani viene accolta dagli applausi dei residenti; il 20 agosto 2008 Assunçao Bonvindo Mutemba, giovane angolano di 24 anni, viene picchiato a sangue all’uscita di una discoteca genovese perché la sua pelle è nera.

Intanto in molte città gruppi di residenti, in preda alla sindrome da «insicurezza percepita», si autorganizzano in ronde contro prostitute e transessuali . Il vecchio teorema che tende a assolvere la società italiana come immune dal razzismo non aiuta a comprendere la portata di quanto sta avvenendo; ugualmente fuorviante è definire l’Italia come una società razzista. Semmai va detto che l’uso strumentale e irresponsabile del tema della sicurezza (e della presunta diffusione della sua percezione), operato da esponenti politici di destra e di sinistra, sta rafforzando il razzismo e incoraggiando l’uso sociale della violenza, soprattutto nei confronti dei cittadini di origine straniera.

Oggi l’idea e la pratica del farsi «giustizia» da sé, per lo più contro innocenti e inermi, sembra essersi saldata pericolosamente con la legittimazione politica, culturale e normativa del razzismo: è questa la novità allarmante. Restare in silenzio significa contribuire a legittimare il razzismo. Serve subito una risposta pubblica. La fragilità del movimento antirazzista e delle forze di sinistra non possono costituire l’alibi per giustificare la nostra inerzia.

Serve una campagna nazionale contro il razzismo, il cui avvio non può essere delegato a nessuno. Che tutti i cittadini democratici organizzino iniziative di protesta a partire dai luoghi in cui operano: scuole, università, posti di lavoro, quartieri...Che si proclami una giornata nazionale contro il razzismo, scendendo in piazza in ogni città e paese. Che subito si esponga sui balconi delle nostre città la bandiera della pace segnata a lutto, per dire no alla guerra contro estranei e stranieri. La morte di Abdul serva almeno a ricordare che additare capri espiatori e nemici interni non crea sicurezza ma ci toglie la pace.