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il fragile Obama

Publie le mercoledì 5 novembre 2008 par Open-Publishing
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 il fragile Obama -
a cura di Paolo De Gregorio, 3 novembre 2008

Vorrei gettare qualche simbolico secchio di acqua sugli entusiasmi per l’elezione di Obama:
 il nuovo presidente è un po’ abbronzato ma la sua educazione è stata opera di bianchi, madre e nonna, praticamente senza alcuna influenza del padre keniota. Anche le università frequentate sono a stragrande maggioranza bianche.
 vorrei ricordare anche l’adagio americano che annuncia la buona novella che hanno perso i repubblicani e contemporaneamente si dice che quella cattiva è che hanno vinto i democratici
 dal dopoguerra ad oggi, la politica estera americana non è mai cambiata, si è sempre basata sulla forza militare, sulle minacce, sui diktat, sulla rapina delle materie prime, sul primato del dollaro, sulle guerre
 Obama arriva in un momento delicato e forse epocale, in cui per la prima volta si tocca con mano la crisi del capitalismo, si vede già un mondo multipolare, c’è l’Euro a contrastare il dollaro, le guerre non si vincono più e costano troppo (3.000 miliardi di dollari solo quella in Iraq)
 la famosa globalizzazione che doveva risolvere ogni problema è in crisi finanziaria e strategica, è legata alla crisi energetica, produce sconquassi nell’ecosistema, e la prossima crisi ambientale sarà figlia di questo modello di sviluppo assurdo e distruttivo
 Obama non ha conquistato un solo voto repubblicano. I poteri forti, i falchi pronti a tutto sono nei gangli decisivi del Pentagono, dei servizi segreti, delle industrie legate alle forniture militari, sono nelle televisioni, tutte private. La sola novità è che la candidatura di Obama ha portato alle urne i neri che tradizionalmente non andavano mai a votare, e questa partecipazione ha deciso la vittoria.
D’altronde bisogna ricordare che negli Usa, recentemente, i neri più i latinos sono diventati più numerosi dei bianchi.
 se ci sarà una svolta (cosa che non credo), che chiuda con gli interventi militari e le relative enormi spese, una svolta in campo energetico per diventare indipendenti dal petrolio con le rinnovabili, un forte ridimensionamento della globalizzazione con la ripresa produttiva dell’industria americana per i bisogni interni, è molto probabile che una pallottola vagante e la capoccia di Obama si incontrino, democraticamente s’intende.
Naturalmente in cuor mio spero che Obama faccia delle cose veramente nuove, ma la speranza è astratta, mentre tutta la storia recente dimostra concretamente che l’America è rimasta sempre uguale a se stessa.
Paolo De Gregorio

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