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Carla Verbano: "Sia folgorante la fine"

Publie le giovedì 21 gennaio 2010 par Open-Publishing
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"Dire la verità, arrivare insieme alla verità, è compiere azione comunista e rivoluzionaria".
Antonio Gramsci

Ci sono storie che la storia non vuole sentirsi raccontare.
Molte storie, troppe.
Eppure sono accadute e i testimoni sono ancora lì, a contare gli anni. Ne sono passati trenta, per la verità sono molti di più, forse un’attesa eterna, eppure spasmodica, ogni 22 Febbraio e ogni singolo giorno.
C’è un libro che andrebbe letto, prima ancora di conoscerne i protagonisti, una Storia. La nostra Storia, quella che Sua sorella minore, l’attualità spalleggiata da una informazione latitante vogliono dimenticare, omettere, se possibile cancellare.
Ma nel libro della Storia gli anni si susseguono al punto che tutto sommato questa storia ci rimane vicina. Scomoda.
Perchè non si è mai conclusa davvero.
Il libro è "Sia folgorante la fine" per i tipi di Rizzoli. L’autrice, gli autori, sono Carla Verbano e Alessandro Capponi.
La mamma di Valerio Verbano non intende passare il testimone, sono trent’anni che porta avanti la sua lotta per sapere chi ha ucciso suo figlio.
E mentre scorrono le parole sotto gli occhi la si immagina raccontare e mantenere ferma ed atona la voce, a forza, perché a una madre non si può uccidere il proprio figlio e farne dolorosa testimone, è una lacerante contraddizione in termini e molto oltre.
Valerio muore nel febbraio del 1980, doveva ancora compiere 19 anni. Un gruppo neofascista, i tre assassini che irrompono con una scusa "apra, siamo amici di suo figlio, siamo stanchi lo aspetteremo qui, lo aspetteremo...." esortano fuori dalla porta, lo uccide con un colpo alla schiena, dopo aver imbavagliato e immobilizzato i due genitori in camera da letto. Arriverà poco dopo la rivendicazione, NAR, nuclei armati rivoluzionari, dicono, per vendicare il camerata Franco Anselmi. Ma le cose sono assai più complicate, nebulose. Il lettore ne avrà però da questa lettura un quadro lucido e le parole escono dalla viva voce di Carla quasi in presa diretta, come se le raccontasse dopo una lunga ricerca su suo figlio di cui non conosceva l’attività politica. Valerio era un autonomo del liceo Archimede, istituto di sinistra della zona Montesacro.
La città si è spartita a macchia di leopardo i vari presidi, fra rossi e neri. Non mancano i confronti, durissimi, come altove, per esempio nella zona Prati, dove c’è la sede principale del gruppo di estrema destra, dove viene ucciso Walter Rossi. O all’Alberone, dove muore quasi per un pretesto o per un macabro gioco fascista lo studente Ivo Zini mentre legge l’Unità. C’è un filo robusto, non si spezza, che lega questi quattro delitti. Mentre a Milano vengono freddati due ragazzi, Fausto e Iaio (lì Monte Bianco, qui Monte Nevoso) per un dossier sullo spaccio di eroina a Milano. Ma un dossier lo aveva redatto anche Valerio, meticoloso, fatto di foto, nominativi e indirizzi. Voluminoso, la madre ne cita quasi lo spessore, ora ridotto dopo essere stato consegnato alle forze dell’ordine alla mole misera di un quaderno. Ma nemmeno quello potevano cercare gli assassini, forse. Un omicidio su commissione, che si permette di lasciare in casa di Valerio dopo colluttazione e sommaria esecuzione armi e bagagli, cioè prove, far cui un guinzaglio, un passamontagna e una pistola. Tutto smarrito, tutto andato al macero.
La narrazione del libro è agile e scorrevole, non manca di fare riferimenti al quadro politico, non fa prevalere un registro sull’altro, e non si perde dietro quella magniloquenza tanto necessaria al giorno d’oggi a rendere maggiormente appetibile un’opera scritta, la prospettiva unicamente personale, il ritratto di un dolore che non si può nemmeno sfiorare incommensurabilmente è grande. La Signora Carla invita gli assassini "sono alta un metro e cinquanta, come si fa ad aver paura di me?" e non esita a tirare le somme e sparigliare il mazzo dei nomi, li aggiusta sul tavolo come un solitario paziente, che infondo non sono così tanti, i presunti assassini. Dove morì Valerio ora c’è un gattino di pelouche. Credo che la Signora Carla se potesse vedere l’assassino lo inviterebbe a sedergli accanto. Perché sia folgorante la fine. Carla l’ha tessuta con la pazienza di Penelope. E folgorante solo la verità può esserlo.

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