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Immigrati, Pesaro anticipa la legge "I loro figli saranno cittadini onorari"

par JENNER MELETTI

Publie le giovedì 26 gennaio 2012 par JENNER MELETTI - Open-Publishing

Attestato ai 4.536 bambini nati negli ultimi dieci anni in provincia. In regalo una bandiera tricolore, una copia della Costituzione e una maglia della Nazionale. Napolitano: "Un esempio da imitare"

PESARO - Piange come un disperato, Marhio, nato 3 mesi fa. Aspetta la poppata, non gliene importa nulla di diventare "cittadino onorario" di questa città sul mare. Ma sarà invitato anche lui, assieme al papà e alla mamma romeni, alla festa che si terrà presto, forse al palazzo dello sport. A 4.536 bambine e bambini nati nel pesarese negli ultimi dieci anni verranno consegnati un "attestato" che dichiara la loro cittadinanza italiana, una bandiera, una copia della Costituzione e anche una maglietta della Nazionale di calcio. L’attestato non sarà purtroppo un documento ufficiale, perché quel "ius soli" che negli Stati Uniti e in Francia dà diritto di cittadinanza a chi viene alla luce in quelle terre, in Italia viene annullato dallo "ius sanguinis".

Ma è un passo avanti, è la firma di un impegno. "Quando ho proposto questa iniziativa - dice Matteo Ricci, 37 anni, presidente della Provincia di Pesaro - ho utilizzato le stesse parole del Presidente: "Chi nasce in Italia è italiano". E dal Quirinale adesso è arrivata una risposta che ci spinge ad andare avanti". "La vostra - questo il messaggio di Giorgio Napolitano - è una iniziativa di grande valore simbolico. C’è da augurarsi che questo esempio possa essere seguito anche da altre realtà territoriali".

Certe idee, come le piante, nascono solo se il terreno è quello giusto. "Mio nonno Luciano -
racconta il presidente della Provincia - ha lavorato per otto anni nelle miniere di carbone del Belgio. Quasi tutta la periferia di Pesaro è stata costruita da emigranti partiti subito dopo la guerra per lavorare in Svizzera e in Germania e poi tornati a casa quando qui si è avviata l’industria del mobile. Operai che sabato e domenica diventavano muratori e pagavano pietre e cemento con i soldi guadagnati negli anni dell’emigrazione. Come i romeni, gli albanesi, i marocchini di oggi". Ci sono 34.700 residenti stranieri su 360.000 abitanti, in questa provincia. Impegnati alla Scavolini e alla Berloni e anche nell’edilizia. "Ma quest’ ultima è quasi ferma - dice Ricci - e tanti albanesi e romeni sono tornati a costruire case nella loro terra. Non è un caso che il Presidente abbia pronunciato quella frase così netta mentre stava aprendo la strada al nuovo governo. Dare la cittadinanza a chi nasce in Italia è una questione di civiltà - e con la nostra iniziativa faremo pressioni sul Parlamento - ma anche un segnale contro la crisi. Da questa si può uscire con più egoismo e solitudine oppure con più giustizia e solidarietà. Bisogna puntare sui valori, non solo sui numeri".

Si aspetta il ministro Andrea Riccardi, al grande incontro con i nuovi piccoli italiani. "L’altro giorno siamo stati assieme ai senegalesi, per un abbraccio dopo la strage di Firenze. Alla fine una bimba senegalese, avrà avuto cinque o sei anni, ha cantato "Fratelli d’Italia", e conosceva tutte le parole. Meglio dei miei due figli, Camilla e Giovanni. Come puoi dire, a quella bambina, che non è italiana? Come può, un Beppe Grillo, negare il "ius soli" a un milione di bimbi che sono nati nel nostro Paese? E’ solo un populista che parla alla pancia degli italiani, non al cervello e al cuore".

Marhio non piange più, nella sua casa di via Agostini, vicino al mare. Di fronte a lui abita Jurghen - nome tedesco perché suo papà Ardian, partito dall’Albania, ha lavorato anche in Germania - che è nato a Pesaro, frequenta la quinta elementare e dice subito che l’idea della cittadinanza onoraria gli piace molto. "E’ una cosa giusta - dice pesando le parole come se scrivesse un tema a scuola - anche perché io sono italiano. E anche albanese. Ho fatto l’asilo, la materna, il prossimo anno comincerò le medie. Con i miei compagni parlo anche in dialetto, e nessuno mi ha mai detto "albanese" come fosse un insulto". Il papà e la mamma Valbona, operaio e aiuto cuoca, raccontano che Jurghen "faceva ridere" i nonni, quando d’estate tornava a Tirana. "Provava a parlare albanese e nessuno capiva".

"Ma adesso sono più bravo. Ogni tanto guardo la televisione dell’Albania, e anche i dvd con i cartoni animati, così imparo nuove parole. E poi sono ancora giovane, imparo presto. Quando vado dai nonni, dopo un paio di settimane riesco a parlare quasi come gli altri, e non li faccio più ridere". Una bandierina con l’aquila nera su fondo rosso in cucina, una grappa albanese da offrire agli ospiti. "Ma noi in casa parliamo italiano - dicono Valbona e Ardian - perché questo è il nostro Paese. Nostra figlia più grande sta facendo l’università a Urbino". La cittadinanza per i figli dovrebbe essere "una cosa naturale". "Vorremmo che i nostri figli fossero considerati una ricchezza, non un problema. Andando a scuola con loro si potrebbero imparare tante lingue, che al giorno d’oggi sono così utili per trovare lavoro". Solo qualche volta, nell’appartamento di via Agostini, si ascoltano parole arrivate dall’altra parte dell’Adriatico. "Quando mi arrabbio con Jurghen, lo sgrido in albanese. "Riurtè, mjaft", stai fermo, basta. E lui ride, fa finta di non capire".

http://www.repubblica.it/politica/2012/01/26/news/figli_immigrati_pesaro-28778402/