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A proposito di "antiterrorismo" e di torture nei settanta e negli ottanta

par Francesco Viviano

Publie le lunedì 13 febbraio 2012 par Francesco Viviano - Open-Publishing
3 commenti

Ventun’anni all’ergastolo, era innocente
"Chi mi ridarà la mia vita perduta?

Giuseppe Gulotta aveva 18 anni quando venne prelevato e portato nella caserma dei carabinieri di Alcamo come sospettato dell’omicidio di due militari dell’Arma. Venne picchiato e seviziato per ore finché non confessò quello che non aveva fatto. Poi ritrattò invano. Il processo nel ’90 con la condanna a vita. Nel 2007, con il pentimento di uno dei carabinieri che parteciparono all’interrogatorio, il nuovo processo e, oggi, la sentenza: "Non è colpevole. Lo Stato deve restituirgli libertà e dignità"

Giuseppe Gulotta col suo avvocato Salvatore Lauria

Dopo 21 anni, 2 mesi, 15 giorni e sette ore di carcere, Giuseppe Gulotta, adesso cinquantenne, ha ottenuto giustizia e dignità. Alle ore 17,35 di oggi la Corte d’Appello di Reggio Calabria dove si è celebrato il processo di revisione, ha pronunciato la sentenza. Giuseppe Gulotta è innocente, e da oggi non è più un ergastolano, non è l’assassino che il 26 gennaio del 1976 avrebbe ucciso, assieme ad altri complici, due carabinieri, Salvatore Falcetta e Carmine Apuzzo, in un attentato alla caserma di Alcamo Marina, un paese al confine tra le province di Palermo e Trapani.

LA VIDEOINTERVISTA A GIUSEPPE GULOTTA :

http://inchieste.repubblica.it/it/repubblica/rep-it/2012/02/13/video/gulotta_21_anni_all_ergastolo_da_innocente-29806823/1/

"Gulotta non c’entra nulla; abbiamo il dovere di proscioglierlo da ogni accusa e restituirgli la dignità che la giustizia gli ha indebitamente tolto" ha detto oggi la pubblica accusa prima che la corte si riunisse in camera di consiglio per emettere una sentenza di assoluzione che Giuseppe Gulotta attendeva da troppo tempo. Da quando, 35 anni fa, appena diciottenne, fu arrestato, condotto in carcere e, più tardi, dopo la durissima trafila dei diversi gradi processuali, condannato all’ergastolo definitivamente. E con lui gli altri tre suoi presunti complici: due sono ancora latitanti in Brasile; il terzo, Giuseppe Vesco, si suicidò in carcere qualche anno dopo il suo arresto.

Ad accusare Gulotta della strage fu appunto Giuseppe Vesco, considerato il capo della banda, suicidatosi - in circostanze non del tutto chiare - nelle carceri di ’’San Giuliano’’ a Trapani, nell’ottobre del 1976. A provocare la revisione del processo che si è finalmente concluso oggi con l’assoluzione di Gulotta, sono state le dichiarazioni, molto tardive, di un ex ufficiale dei carabinieri Renato Olino che nel 2007 raccontò che le confessioni di Gulotta e degli altri erano state ottenute a seguito di terribili torture da parte dei carabinieri. Olino, che si era dimesso dal’Arma proprio in seguito alla vicenda di Alcamo, non aveva retto al rimorso e aveva deciso di dire la verità. Gli altri carabinieri, oggi quasi tutti molto anziani, hanno fatto qualche ammissione o si sono rifiutati di rispondere. Ma la giustizia ha trovato elementi sufficienti per il processo di revisione e per questa assoluzione che, inevitabilmente, dovrebbe aprire la strada a un congruo risarcimento per gli imputati. Anche per gli altri due condannati, Vincenzo Ferrantelli e Gaetano Santangelo, fuggiti all’estero prima che la condanna diventasse esecutiva, ci sarà adesso la revisione.

La notte del 27 Gennaio di quell’anno Carmine Apuzzo (19 anni) e l’appuntato Salvatore Falcetta, due militari dell’Arma, furono trucidati da alcuni uomini che avevano fatto irruzione nella piccola caserma di Alcamo Marina. L’attacco suscitò ovviamente forte impressione in Sicilia e in tutta Italia. Si puntò sulla pista politica e finirono nel mirino delle indagini alcuni giovani di sinistra. Pochi giorni dopo venne fermato un giovane alcamese, Giuseppe Vesco, trovato in possesso di una pistola in dotazione ai carabinieri. La sua casa venne perquisita e saltò fuori anche l’arma utilizzata per il delitto. Il giovane, però, si dichiarò estraneo ai fatti affermando soltanto che aveva avuto il compito di consegnare delle armi. In seguito alle pressioni dei carabinieri, Giuseppe Vesco cambiò rapidamente la sua versione: condusse gli inquirenti al luogo in cui erano conservati gli indumenti e gli effetti personali dei due agenti uccisi (in una stalla di proprietà di Giovanni Mandalà, un bottaio di Partinico), dichiarò di aver fatto parte del commando che aveva fatto irruzione nella casermetta e fece il nome dei suoi tre complici: Gulotta, Ferrantelli e Santangelo.

Dopo poco tempo Vesco ritrattò tutto e dichiarò che quanto da lui affermato era stato ottenuto in seguito di terribili torture. Nelle sue lettere dal carcere San Giuliano di Trapani descrive minuziosamente il comportamento dei carabinieri e come erano state estorte le confessioni dei fermati. Ma pochi giorni prima di essere nuovamente ascoltato dagli inquirenti, venne trovato impiccato nella sua cella, con una corda legata alle grate della finestra, cosa resa abbastanza difficile dal fatto che a Vesco era stata amputata una mano a causa di un incidente. E proprio a questa vicenda si legano le confessioni del pentito Vincenzo Calcara, che lascia intravedere una verità fino ad ora soltanto accennata, ma resa più concreta anche da alcune rivelazioni in cui si attesta una collaborazione tra mafia e Stato. Calcara avrebbe affermato che gli venne intimato di lasciare da solo in cella Giuseppe Vesco e che lo stesso venne ucciso da un mafioso aiutato da due guardie carcerarie.

Anche quanto affermato dal pentito Peppe Ferro libera i quattro dalle gravi accuse: "Li ho conosciuti in carcere quei ragazzi arrestati... Erano solamente delle vittime... pensavamo che era una cosa dei carabinieri, che fosse qualcosa di qualche servizio segreto".

Dopo la chiamata di correità di Vesco, Giuseppe Gulotta fu arrestato e massacrato di botte per una notte intera. La mattina, dopo i calci, i pugni, le pistole puntate alla tempia, i colpi ai genitali e le bevute di acqua salata, avrebbe confessato qualunque cosa e firmò un documento in cui affermava di aver partecipato all’attacco alla caserma. Il giorno dopo, davanti al procuratore, Gulotta ritrattò tutto e provò a spiegare quello che gli era successo. Non venne mai creduto, neanche al processo che, nel 1990 lo condannò in via definitiva all’ergastolo. Poi, nel 2007, la confessione di Olino e la revisione chiesta e ottenuta dal suo avvocato Salvatore Lauria. Oggi l’assoluzione. Ma Giuseppe Gulotta ha trascorso gran parte della sua vita in carcere. Durante un breve periodo di soggiorno si è sposato con la donna che lo ha sempre "protetto" e che gli ha dato un figlio. Adesso, completamente libero, andrà a vivere a Certaldo, in Toscana, dove, da quando è in semilibertà, fa il muratore. "Sono felice di essere stato riconosciuto finalmente innocente. Ma chi potrà mai farmi riavere la gioventù che ho passato in carcere, chi potrà mai darmi quegli anni che ho perduto senza potere crescere mio figlio?".

13 febbraio 2012

http://inchieste.repubblica.it/it/repubblica/rep-it/2012/02/13/news/vent_anni_all_ergastolo_era_innocente_chi_mi_ridar_la_mia_vita_perduta_-29806127/

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Messaggi

  • Ricordo benissimo questa storia.

    L’attentato fu in prima battuta rivendicato con una telefonata a nome delle Brigate Rosse - che poi smentirono - e la cosa suscitò un certo scalpore ; le Br non avevano mai colpito fino ad allora al di fuori del Nord Italia, il primo attentato brigatista in assoluto a Roma avverrà solo qualche mese dopo con il ferimento di un dirigente carcerario.

    In verità Vesco, che pure sarà scagionato post - mortem dal fatto di esserne un esecutore, qualche velleità lottarmatista, anche deducendolo dalle lettere postume che arrivarono e che furono pubblicate su "Controinformazione" dopo il suo sospetto "suicidio", ce l’aveva, su una impostazione neo-separatista filo-libica, tendenza allora presente sul territorio siciliano ed incoraggiata strumentalmente da Gheddafi ... come dimostra il fatto stesso che fosse in possesso di una pistola usata nell’attentato e che sapesse dove erano state nascoste cose prelevate dalla caserma attaccata .... anche se pure su tali aspetti, a questo punto, possono essere espressi ragionevoli dubbi ....

    Ma gli altri, compreso Gullotta, erano semplici militanti delle Acli, all’epoca molto spostate a sinistra e schierate col movimento dei "Cristiani per il Socialismo", ma certo lontane mille miglia da ogni ipotesi di lotta armata.

    Evidentemente, a parte il Pci allora coinvolto nel "governo delle astensioni", quei ragazzi erano l’espressione più "a sinistra" su quel territorio in quel momento.

    E divennero, compreso lo stesso Vesco, vittime sacrificali di questa allucinante montatura che probabilmente doveva coprire qualcosa di molto losco ed inconfessabile per l’apparato dello stato.

    Troppo bisognerebbe ancora scavare per capire che merdaccia di stato avevamo in quegli anni e di cosa era capace ... come del resto, sia pure in forme diverse, anche adesso ... magari adesso basta lo "spread", non servono bombe e pistolettate ....

    • Collegamenti con la vicenda Impastato ?

      Peppino Impastato e la strage di Alcamo, riaperte le inchieste su due misteri siciliani

      Nel 1976, due carabinieri vennero uccisi in una casermetta. Due anni dopo, il giovane conduttore di Radio Aut fu trovato morto vicino alla ferrovia. In mezzo ci fu lo strano "suicidio" in carcere di uno degli accusati per l’assassino dei militari. Ieri, dopo 21 anni di carcere, è stato assolto uno dei tre condannati per quel fatto. Ora, i magistrati di Palermo e di Trapani riaprono i tre fascicoli. Vogliono capire perché vennero depistate le indagini e cosa aveva trovato Peppino Impastato nella sua inchiesta privata sulla strage di Alcamo. Dietro potrebbe esserci una vicenda più ampia che porta alla Gladio

      TRAPANI - "Il depistaggio sull’uccisione di Peppino Impastato e quello sulla strage alla casermetta di Alcamo dove furono uccisi due carabinieri ed arrestati quattro innocenti (tra questi Giuseppe Gulotta che dopo 21 anni di carcere ieri è stato assolto ndr) sono oggetto di valutazione della Procura di Palermo e di quella di Trapani".

      Lo dice senza se e senza ma il procuratore aggiunto di Palermo, Antonino Ingroia che insieme ai colleghi della Procura di Trapani, ha riaperto le due inchieste, quella sull’uccisione dei due carabinieri, Carmine Apuzzo e Salvatore Falcetta, avvenuta il 27 gennaio del 1976 e quella sul militante di Democrazia Proletaria, Peppino Impastato ucciso il 9 maggio 1978. Non solo ma c’è una terza inchiesta, quella sul "suicidio" di Giuseppe Vesco, anche lui accusato dell’uccisione dei due carabinieri di Alcamo, che fu trovato impiccato nella sua cella, nonostante fosse privo del braccio destro. Vesco era in prigione come gli altri tre "complici", tutti torturati per estorcere loro una falsa verità. Il motivo? Secondo la procura è possibile che si volesse depistare indagini che avrebbero potuto portare molto in alto, che avrebbero potuto svelare, già negli anni ’70, l’esistenza della struttura militare "Gladio"

      Ci sono troppi elementi in comune tra l’uccisione dei due carabinieri, il suicidio di Vesco, l’arresto dei tre innocenti, e l’assassinio di Peppino Impastato che inizialmente fu fatto passare come un "incidente" avvenuto mentre stava tentando di piazzare dell’esplosivo sulla linea ferroviaria da Trapani a Palermo vicino a Cinisi. La storia di Peppino Impastato, della sua "Radio Aut" che dava fastidio alla mafia perché parlava chiaro, della sua uccisione ad opera del boss Tano Badalamenti è stata immortalata nel film "I cento passi" e in tanti libri e pubblicazioni e anche in sentenze di condanna a carico di Tano Badalamenti (ergastolo) e Vito Palazzolo (30 anni). Oggi, con la riapertura dell’inchiesta, la vicenda prenderebbe un contorno diverso. Peppino Impastato fu ucciso, sì, dalla mafia ma, probabilmente, all’interno di un disegno più ampio e complesso che unisce anche la strage di Alcamo e la morte di Vesco. Vediamo come.

      L’assoluzione di Giuseppe Gulotta e le indagini che hanno portato finalmente a fare giustizia, almeno per lui, hanno provocato una serie di altre inchieste che hanno già riscontri oggettivi. Per questa ragione, nei giorni scorsi, è stato interrogato dalla Procura di Palermo il Generale Giuseppe Subranni, come persona informata dei fatti. Subranni, all’epoca, era comandante provinciale dei carabinieri e che con i suoi uomini coordinò le due inchieste che portarono a strade completamente diverse dalla verità. E dopo Subranni saranno sentiti anche gli altri carabinieri, ormai pensionati e ultraottantenni, che parteciparono a quelle inchieste e alle torture subite da Vesco, Gulotta e dai due innocenti che da oltre 30 anni sono "latitanti" in Brasile.

      Il filo comune che unisce la morte di Impastato con il "suicidio" di Vesco e l’attentato alla caserma dei carabinieri di Alcamo è consacrato in alcune "carte" e delle dichiarazioni di alcuni pentiti, come Vincenzo Calcara e Giuseppe Ferro, che adesso sono al vaglio delle due procure siciliane. Si è scoperto che, subito dopo l’attentato alla casermetta di Alcamo Marina i militari della squadra coordinata da Subranni e dall’allora capitano Giuseppe Russo (che, poi, morì in un attentato a Ficuzza nell’agosto del 1977), fecero una perquisizione nella casa di Giuseppe Impastato ritenendolo in qualche modo coinvolto, insieme a Giuseppe Vesco, nell’uccisione dei due carabinieri. Quando, due anni dopo, lo stesso giorno del ritrovamento del corpo di Aldo Moro, il cadavere di Peppino Impastato venne ritrovato sui binari della ferrovia, i carabinieri indicarono la falsa pista dell’incidente o del suicidio e la sua casa di Cinisi venne nuovamente perquisita. Durante quella perquisizione i militari portarono via numerosi documenti: tra questi c’era un fascicolo intestato proprio a "Giuseppe Vesco". Conteneva le indagini private che Peppino Impastato aveva svolto dopo essere stato perquisito in seguito all’attentato alla caserma di Alcamo Marina. Il giovane, attraverso i suoi canali, quelli soprattutto dei militanti di Democrazia Proletaria, era arrivato a ipotizzare che l’uccisione del carabiniere Apuzzo e dell’appuntato Falcetta fosse legata al fatto che i due, in una normale operazione di servizio, avevano involontariamente fermato un pulmino che trasportava armi che facevano parte dell’arsenale di "Gladio".

      Giovanni Impastato, fratello di Peppino, è l’uomo che con tantissime iniziative tiene viva la memoria del giovane conduttore di "Radio Aut". "Ricordo - racconta oggi - che mio fratello poco prima di morire, si stava interessando attivamente alla strage della casermetta di Alcamo Marina. In seguito a quel fatto, gli uomini dell’Arma erano venuti a perquisire casa nostra dato che mio fratello era considerato un estremista. Da lì Peppino iniziò a raccogliere informazioni sulla questione, notizie che accumulava in una specie di dossier: una cartelletta che fu sequestrata e mai più restituita". E di quella cartelletta di "controinformazione" di Peppino Impastato su Giuseppe Vesco e sull’attentato alla Casermetta di Alcamo, si trova traccia in un verbale di sequestro dei carabinieri. Ma soltanto il verbale, a distanza di oltre 30 anni, è stato ritrovato, non il dossier di Peppino Impastato. Che fine ha fatto?

      Adesso dopo l’assoluzione di Giuseppe Gulotta ingiustamente condannato perché torturato insieme ai suoi presunti complici, le procure di Palermo e Trapani vogliono sapere chi, oltre alla mafia di Don Tano Badalamenti, partecipò all’uccisione di Peppino Impastato, perché furono depistate le indagine sulla sua morte, perché Giuseppe Vesco fu "suicidato", perché furono arrestati quattro innocenti e tortutati. Chi c’era dietro tutta questa regia stragista e di depistaggio?

      Francesco Viviano

      http://inchieste.repubblica.it/it/repubblica/rep-palermo/2012/02/14/news/peppino_impastato_e_la_strage_di_alcamo_riaperte_le_inchieste_su_due_misteri_siciliani-29887337/

      14 febbraio 2012