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Note a margine sul cosiddetto "welfare aziendale" delle banche in Italia

par Clash City Bank’s Workers

Publie le sabato 20 settembre 2014 par Clash City Bank’s Workers - Open-Publishing

Da qualche anno, molte Banche hanno sponsorizzato una nuova forma di erogazione del Premio Aziendale, appoggiandosi anche ad alcune società specializzate che si sono diffuse rapidamente e che offrono una specifica consulenza e una successiva gestione del “business”, basato essenzialmente su risparmi fiscali e contributivi per le Aziende. Ai dipendenti viene proposto un illusorio aumento delle loro spettanze nel caso in cui lo stesso (o una sua parte) venga lasciata all’Azienda ed erogata in caso di necessità specifiche del lavoratore e della sua famiglia (salute e cure, spese scolastiche, ecc…) e, laddove le aziende hanno potuto contare anche sull’appoggio di sindacati maggioritari ed hanno anche messo in piedi forti "pressioni" nei confronti dei lavoratori, soprattutto i quadri direttivi, il numero delle adesioni è risultato sorprendentemente alto.

L’illusione ricorda i tempi dei “Tango Bonds” quando, a fronte di Titoli di stato che rendevano il 4%, venivano proposti titoli con rendimenti più che doppi, e il riferimento non è assolutamente casuale in quanto, per entrambi i casi, l’acquisto o l’adesione erano decisioni prese dal cliente/dipendente della Banca: nel primo caso (“Tango Bonds”), venivano sottaciuti i rischi mentre, nel caso dei Premi Aziendali, le informazioni fornite agli aderenti non sono assolutamente veritiere.

Infatti, quanto ai Premi Aziendali, l’architettura finanziaria proposta si basa su un’interpretazione dell’art. 51 del Tuir n.917/1986 che escluderebbe dal reddito imponibile del dipendente (e dai connessi obblighi fiscali e previdenziali) le somme erogate a titolo di liberalità o di rimborsi vari per finalità di valenza sociale. Spesso si fa finta che queste somme siano erogate ex novo e non che il datore di lavoro si sostituisca formalmente a servizi già pagati dal dipendente, ma non è questo il punto principale.

Infatti, al di là degli aspetti che potrebbero riguardare i rapporti con l’Agenzia delle Entrate e l’Inps, da un esame delle casistiche che corrispondono, con qualche variazione, ad uno standard predefinito, si è potuto osservare che le informazioni fornite:

  sminuiscono anzi, e arrivano addirittura a non menzionare la mancata contribuzione previdenziale per il lavoratore;

  non tengono conto della perdita subita per la mancata detraibilità delle somme “rimborsate” dal datore di lavoro, ma pagate dal lavoratore;

  nei conteggi forniti ai dipendenti per un confronto tra le due opzioni non vengono menzionate le somme che il datore di lavoro verserebbe alle casse di previdenza complementare.

Inoltre, se è vero che il Premio Aziendale, come confermato anche dalla Corte di Cassazione (si veda ad esempio Cass. 28/04/1988 n. 3220) e secondo la norma fiscale, sia se erogato in denaro sia in natura, quando è attribuito alla generalità dei dipendenti e riveste carattere di continuità, è considerato reddito, lo stesso deve concorrere al calcolo della tredicesima mensilità (1/12 dell’importo imponibile), con tutti i conseguenti riflessi sulla quota relativa al TFR e quanto agli ulteriori oneri anche previdenziali.

Per quanto riguarda il TFR (totale del premio diviso per 13,5, meno una trattenuta dell 0,50% calcolata sulla retribuzione utile ai fini contributivi, sensibilmente maggiore di quella imponibile), la normativa prevede che in esso debbano essere computate tutte le somme corrisposte in dipendenza del rapporto di lavoro a titolo non occasionale, compreso l’equivalente delle prestazioni in natura, benefits (in tal caso quantificati, ai fini fiscali, in misura pari al valore di mercato attribuibile al bene o al servizio messo a disposizione del dipendente), con esclusione solo per i compensi occasionali o scaturiti dalla mera liberalità del datore di lavoro quali, ad es., i premi aziendali corrisposti in particolari occasioni (ma non è certo questo il caso dei Premi Aziendali fin qui esaminati), i rimborsi spese, gli straordinari non continuativi, le indennità di trasferta, ovvero per alcune limitate fattispecie di benefits (ad es. erogazione di servizi di utilità sociale, di spese di istruzione, ecc.) - esclusi ovviamente quelli per i quali il legislatore ha previsto una determinazione “forfettaria” dell’imponibile, come l’auto aziendale e i prestiti ai dipendenti - solamente in presenza di specifiche condizioni nel rispetto della normativa anche fiscale (esponendo altrimenti a rischio, almeno in teoria, le Aziende a potenziali sanzioni per omissioni contributive e fiscali) e, tra queste (tenuto comunque conto che per alcuni di essi quali l’erogazione di servizi ad utilità sociale l’esenzione è riferibile unicamente alle erogazioni “in natura”), l’offerta “unilaterale” di tali benefici (in natura) alla generalità o a qualificati raggruppamenti di dipendenti da parte del datore di lavoro specificamente individuati, che si tratti di erogazioni “in aggiunta” alla normale retribuzione del dipendente (non possono assolutamente sostituire somme di denaro di competenza del dipendente), che il budget a disposizione del dipendente non sia un vero e proprio “diritto di credito” del dipendente.

Anzi il TFR dovrebbe essere calcolato anche sul premio aziendale se erogato direttamente “in contanti”, ma non sempre, perché la legge consente che, unicamente sulla base di accordi sindacali, il premio “in contanti” non abbia incidenza sul TFR. Tali accordi sono frequenti nel settore bancario, e la BNL è stata una delle prime aziende dove un tale accordo è stato sottoscritto, probabilmente senza che i lavoratori se ne rendessero neppure conto.

In ogni caso, a prescindere comunque dalla legittimità (o meno) dei piani come elaborati e poi proposti nei casi concreti e del conseguente accesso a benefici fiscali e contributivi, non sembra esistere datore di lavoro che abbia informato i lavoratori su queste voci che evidenzierebbero in modo chiaro, in generale, una evidente remissione per i lavoratori che aderiscano alla proposta di lasciare al datore di lavoro (in tutto o in parte) il premio aziendale da erogarsi successivamente in caso di specifici bisogni del lavoratore e/o dei suoi familiari, a fronte di un illusorio aumento dello stesso rispetto alla scelta di erogazione dello stesso “in contanti”.

L’aspetto più preoccupante è che la situazione sembrerebbe ormai evolvere verso il pagamento dell’intero premio aziendale (e non più in parte) sotto forma di “Welfare”.

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