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IL SENSO E IL MALE DELLA STORIA

par Franco Astengo

Publie le martedì 14 aprile 2015 par Franco Astengo - Open-Publishing

IL SENSO E IL MALE DELLA STORIA di Franco Astengo
La scomparsa, quasi in contemporanea, di Gunter Grass e Eduardo Galeano richiama, al di là delle celebrazioni di maniera, quelli che sono stati gli orrori e le ingiustizie del ‘900 che ancora si tramandano oggi nell’orizzonte di un mondo anonimamente ipertecnicizzato in maniera globale.
Un mondo popolato da una pseudo - umanità che non è riuscita a scrollarsi di dosso tutta l’impalcatura teorica della sopraffazione, dell’endemicità della tragedia bellica, della diseguaglianza strutturale eretta a sistema.
Una pseudo- umanità emersa nell’indifferenza e nell’oblio del revisionismo inteso come occultamento di ciò che è stato e di conseguente mancanza di visione per ciò che potrà essere.
Un’immersione nell’eterno presente.
Grass e Galeano hanno toccato il tasto del senso della storia: ne sono stati pervasi sia la “Trilogia di Danzica”, sia le “Vene aperte dell’America Latina”, pur descrivendo mondi diversi, lontani, quasi eternamente contrapposti tra il Nord e il Sud.
Un senso della storia, nell’insieme delle contraddizioni che lo attraversano (e che le biografie stesse dei due grandi scrittori dimostrano) che ne ha indicato il male profondo che lo ha pervaso e che non può essere evocato soltanto per esorcizzarlo attraverso l’indicazione di un “bene” ipotetico e unilaterale, di parte, nell’apparente impossibilità di una moderna teodicea e di una nuova “filosofia della Liberazione”.
Il XXI secolo rispetto al XX pare aver abbandonato la lezione riguardante la necessità di indicare un futuro diverso a quello costruito sull’identità del male che ci attraversa: il male della diseguaglianza, il male dell’abbandono dell’idea della storia come percorso del riscatto sociale.
E’ sicuro che il cammino della storia non può evitare di segnare contraddizioni, rivolgimenti, arresti: un fiume che reca con sé detriti che ne deviano il corso.
Eppure è a quel fiume che dobbiamo affidarci : lo sbocco non sarà mai quello di un mare tranquillamente disteso nella serenità dell’oblio.
Sempre ci sarà la fatica della rincorsa e della ricerca: quella della visione di un’utopia da ricercare, di una “Città del Sole” da ritrovare nel nostro immaginario collettivo.
E’ questo che ci manca, oggi, nella tragedia del divenire quotidiano e la morte dei due grandi narratori di un ‘900 visto dagli angoli opposti del mondo ce lo fa notare con grande crudezza: quasi come se scoprissimo una ferita ancora eternamente aperta.