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LEGGE ELETTORALE E SCENARI POLITICI

par Franco Astengo

Publie le martedì 5 maggio 2015 par Franco Astengo - Open-Publishing

LEGGE ELETTORALE E SCENARI POLITICI di Franco Astengo
La legge elettorale, denominata per volere dello stesso Presidente del Consiglio “Italicum” e pensata anche addirittura come modello a livello europeo, è stata approvata in via definitiva dalla Camera dei Deputati.
Le modalità con le quali questa approvazione è avvenuta sono ben note: la sola maggioranza (anzi una parte di essa) ha votato Sì, hanno espresso voto contrario un numero limitato ma importante di esponenti della minoranza del PD, sono rimasti fuori dall’aula i deputati rappresentanti delle minoranze, sia di destra, sia di sinistra, sia di collocazione indefinita come nel caso del M5S.
Un esito che contraddice i principi fondamentali sui quali dovrebbe basarsi l’approvazione parlamentare di una legge elettorale: quello della larga condivisione (Renzi, in questo caso, ha dimostrato davvero quella che il sindaco di Bari Emiliano ha definito “vocazione napoleonica” e che si potrebbe allargare a quella mussoliniana raccogliendola nell’antico slogan “molti nemici, molto onore”), e quello della “visione sistemica” che una legge elettorale dovrebbe contenere in sé. Siamo alla terza legge elettorale politica in 22 anni (senza contare i vari mutamenti avvenuti nelle leggi elettorali regionali e amministrative): veramente un po’ troppo frequenti.
Una legge elettorale che poggia su tre cardini: la logica premiale, la logica proporzionale di lista, la logica oligarchica. Lo faceva notare ieri, con forte capacità d’argomentazione, Piero Ignazi dalle colonne di “Repubblica”.
Si presentano così grossi problemi tutti racchiusi all’interno di una questione di fondo che appare soltanto di scorcio nei commenti di oggi: quella relativa al superamento del modello di Repubblica Parlamentare disegnato dalla Costituzione del’48. In maniera surrettizia e anche truffaldina si entra, infatti, in un regime di premierato o cancellierato, tramite una fittizia elezione diretta (perché di questo si tratterà nell’eventuale ballottaggio).
Un dato di gravità assoluta rispetto alla caduta di qualità che la già debole democrazia italiana fa registrare in questa occasione.
Questo indebolimento sostanziale si verifica soprattutto perché assistiamo all’affievolimento dei contrappesi istituzionali che portano di conseguenza a un’eccessiva concentrazione di potere che, considerata nell’attualità la natura dei partiti, si tramuta oggettivamente in concentrazione di potere personale.
Il premio di maggioranza non esiste, del resto, in nessuna democrazia matura e costituisce una vera e propria forzatura rispetto a un impianto proporzionale che, nelle condizioni date, finirà per generare un sistema fondato su di un solo partito “pivotale” schierato al centro del sistema e fondativo di quella concentrazione di potere personale appena richiamato e un certo numero di cespugli intorno, di diversa ma non eccessiva dimensione.
Il tutto presuppone uno scenario che, alla fine, in occasione dell’inevitabile ballottaggio vedrà protagonisti due soggetti , PD e o M5S o Forza Italia, entrambi allineati nel populismo della cosiddetta antipolitica, pronti a esercitare la funzione di governo in una dimensione di tipo salazarista (ne scriveva ieri Sergio Romano sul “Corriere”).
Si tratterebbe di un tragico esito del tentativo di forzatura bipartitica del sistema che era già stato tentato, nel 2008, attraverso l’espressione dal parte del PD della cosiddetta “vocazione maggioritaria” e da parte del centro-destra dalla formazione di un PDL che poi non avrebbe retto comunque la prova del governo.
Va ricordato ancora come Forza Italia abbia storicamente rappresentato un soggetto di concentrazione del potere personale e insieme di espressione di una destra di tipo populistico, assolutamente minoritaria nel Resto d’Europa, in alleanza costante con l’espressione razzista della Lega Nord.
Il quadro complessivo sarà quello di una forte crescita dell’astensionismo e il risultato che, dall’indebolimento del quadro democratico e dal mutamento di natura dei partiti ne deriverà un ulteriore dato di distacco tra una grande massa di cittadini e le istituzioni.
Alcuni, a questo punto, confidano nel rifiuto alla firma da parte del presidente Mattarella, ricordando come lo stesso fosse componente della Consulta al momento della bocciatura del Porcellum e presentando l’Italicum elementi di incostituzionalità molto simili a quelli emersi nell’occasione.
Non c’è da confidare in questo possibile passaggio: si aprirebbe un conflitto di carattere istituzionale troppo forte e, inoltre, si smentirebbe clamorosamente il Presidente emerito Napolitano che nel 2005 firmò la legge elettorale senza esitazioni.
Così come appare assai rischiosa la strada del referendum: a parte la difficoltà a formulare quesiti ammissibili dalla Corte di Cassazione (ne scrive oggi Azzariti sul “Manifesto”) esiste la possibilità concreta che la partecipazione al voto non superi quel 50% richiesto per confermarne la validità: trattandosi di un referendum abrogativo per una legge ordinaria, qual è la legge elettorale.
Altra ipotesi quella di un nuovo ricorso alla Corte Costituzionale: a parte il problema dei tempi (ma va ricordato come la legge approvata ieri andrà in vigore soltanto nel Luglio 2016) esiste la questione politica del non lasciare, come avvenuto in precedenza, isolati il gruppo di avvocati promotori.
Debbono muoversi le forze politiche sia sul piano finanziario, sia su quello della mobilitazione dei cittadini: fattore quest’ultimo completamente trascurato in questa fase dalle forze politiche di opposizione, anche perché qualcuna tra esse nutre la non troppo segreta speranziella di arrivare al ballottaggio e di riuscire, a quel punto, di radunare attorno di sé tutto l’anti-renzismo italiano.
Avrà sicuramente grande importanza il passaggio al Senato, in seconda lettura, del progetto di riforme costituzionali: in caso, infatti, di bocciatura della proposta di Senato eletto in secondo grado il sistema si troverebbe con due leggi elettorali completamente opposte tra Camera e Senato e si aprirebbe davvero, in quel caso, un fortissimo conflitto di natura istituzionale.
Fin qui i possibili passaggi confinati all’interno dei meccanismi di quella che un tempo definivamo come “politica fine”.
Rimangono sullo sfondo, einvece dovrebbero essere centrali, i temi delle grandi contraddizioni sociali, dall’impoverimento generale, della disoccupazione, del rapporto con l’Unione Europea, del decadimento dello stato sociale, delle riforme portate avanti dal governo Renzi e che sono respinte dalla base sociale, dal job act, alla scuola.
Tutti elementi che richiederebbero a sinistra una ritrovata capacità di soggettività politica e di espressione di rappresentanza: un tema che solleviamo in conclusione ma che rimane, dal nostro punto di vista, il più urgente e insieme complicato da affrontare.