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EUROPA: UNA RIFLESSIONE PERSONALE

par Franco Astengo

Publie le mercoledì 27 maggio 2015 par Franco Astengo - Open-Publishing

EUROPA: UNA RIFLESSIONE PERSONALE di Franco Astengo
Mi piacerebbe possedere le capacità intellettuali adatte per poter esprimere con compiutezza d’argomentazione la mia personale contrarietà agli entusiasmi che, a sinistra, accompagnano l’azione di Syriza e di Podemos.
Purtroppo non sono in grado di farlo e quindi cercherò di acconciarmi ad alcune schematiche osservazioni.
Però debbo scrivere in tutta franchezza che proprio non mi va questo chiassoso accompagnamento verso il baratro che si sta realizzando ai riguardi delle classi subalterne schiacciate pesantemente, come sempre e in particolare in questa fase, dalla ferocia dei gestori del ciclo capitalistico.
Così come credo si possa affermare come appaia del tutto negativo il quadro politico italiano caratterizzato ormai da un tratto arditesco-fascistico (le rievocazioni sviluppate in questi giorni al riguardo dell’ingresso dell’Italia nella prima guerra mondiale sono risultate assai esemplificative al riguardo) che accomuna quelle che sembrano essere le tre principali correnti politiche.
Nessuna giustificazione, beninteso, del simulacro di Europa che ci troviamo di fronte: in realtà si tratta di un gruppo di procacciatori d’affari basati sulla pelle della povera gente, annidati tra Bruxelles, Strasburgo e Francoforte.
Nulla da spartire con qualsiasi altro progetto d’Europa che ha attraversato la storia: da quella imperial-bonapartista, al progetto kantiano di Briand, al “vallo atlantico” anti-bolscevico ideato da Schumann e Monnet.
Sotto questo aspetto il campo va sgombrato immediatamente: questa Europa (se così si può chiamare) va combattuta fino in fondo analizzando anche gli errori (?) commessi dai governanti in questi ultimi vent’anni: dal Trattato di Maastricht, all’Euro, convinti che la caduta del Muro avrebbe significato l’apertura di nuovi, grandi, mercati e che la storia sarebbe finita lì.
Adesso ci troviamo, invece, soltanto per fare un esempio con due possibili focolai di guerra mondiale e la ripresa di un minaccioso bipolarismo armato.
Errori colpevoli così gravi che certi personaggi dovrebbero essere trascinati davanti a un tribunale internazionale.
“Dixit et servavi anima mea” ma che la sinistra rispondesse esclusivamente, per far fronte al declino della socialdemocrazia keynesiana, con la fallacia del populismo non mi sembra proprio il caso.
Syriza, Podemos e i loro ineffabili imitatori italiani (pensiamo alla fine della Lista Tspiras, del resto ben preventivata, mentre è già pronto un civatiano “Possiamo”, da piangere se non fosse da ridere) non paiono presentare, prima di tutto, alcun afflato e tensione internazionalista: è questo il punto vero sul quale soffermarci.
Partire dalla condizione materiale dei ceti subalterni significa tenere assieme le varie situazioni specifiche, nazionali e transnazionali in un disegno che deve accomunarle in un progetto complessivo di difesa e di riscatto sociale: su questo terreno non è stato mosso un solo passo, anzi la risposta sembra essere sempre più venata di nazionalismo.
In secondo luogo emerge un acconciarsi da parte di questi soggetti alla concezione della spettacolarità e della personalizzazione nell’agire politico imposto dall’avversario tramite l’uso dei mezzi di comunicazione di massa: si dirà sono i tempi e la modernità.
Ma che non risulti mai emergere un sussulto contrario, che tutto appaia finalizzato alla propaganda elettoralistica appare impossibile: che non saltino fuori mai (nonostante la pressione del quotidiano, beninteso) pensieri “lunghi” e collettivi pare di nuovo proprio impossibile: il segno dello smarrimento di una cultura, di una visione del mondo, di una filosofia della storia che pure avevano dato dei risultati.
Ancora, e infine, manca una visione realistica circa la possibilità di modificazione concreta dell’esistente: non tanto una visione togliattiana del “possibile” ma almeno l’adozione, sacrosanta, dell’idea gramsciana della “guerra di posizione” e della conquista delle “casematte” della borghesia.
Gli elementi, insomma, che fecero grande il più grande Partito Comunista d’Occidente: tanto per sviluppare un richiamo conclusivo che non piacerà a parecchi impegnati a costruire improbabili soggettività “moderne” all’insegna di indefinite “coalizioni”.
Certo così si possono vincere le elezioni magari acquisendo qualche posto al sole.
Ma che da lì si scivoli facilmente nel “né di destra, né di sinistra” mi pare un elemento da non trascurare. L’idea, come scritto poco sopra, che si stia accompagnando chiassosamente nel baratro le classi subalterne, ormai politicamente non rappresentate,proprio non mi abbandona.