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Un reato internazionale

Publie le venerdì 21 maggio 2004 par Open-Publishing

Guerre-Conflitti Prigione USA Viviana Vivarelli

Di Viviana Vivarelli

Nel 1948 e’ stata firmata, anche dagli Stati uniti, una convenzione contro la tortura che impegna i 110 stati firmatari, anche gli Stati uniti, a non applicare la totura a nessuna persona per nessun motivo in nessuna parte del mondo.

Per questo reato e’ stata stabilita una competenza penale internazionale. Il che vuol dire che qualunque stato puo’ procedere ’d’ufficio’, anzi ’ha l’obbligo’ di procedere, contro chiunque applichi la tortura. Per esempio nel caso di un soldato americano che compia efferatezze entro il territorio di uno stato, il governo di quello stato ha l’obbligo di procedere contro di lui, salvo estradizione americana, sempre che gli Stati uniti siano in grado di dare sufficienti garanzie a quel governo che quel torturatore subira’ un processo reale.

110 stati, tra cui gli Stati uniti, hanno firmato questo impegno, ritenendo che la tortura e’ un reato gravissimo che deve essere perseguito a livello internazionale.
Per questo reato gravissimo il primo processo contro i torturatori militari americani, al soldato Sivitis, si e’ concluso con un anno di carcere (condonabile?), una pena ridicola. Per ora l’amministrazione Bush, sapendo di essere perfettemente coinvolta e responsabile nella politica delle torture, pensa di cavarsela con pene condonabili, multe di tipo amministrativo o trasferimenti, per punire quello che viene ritenuto uno dei piu’ turpi reati.

Occorrerebbe invece risalire dai singoli torturatori al tutta la gerarchia di comando fino ai vertici che non possono non coinvolgere la Cia, Bush, Rumsfeld e la Condoleeza Rice. Oppure anche in questo caso si dira’ che non si sapeva?

Poiche’ anche l’Italia e’ firmataria di questa convenzione che considera la tortura un reato internazionale e dunque gravissimo, ancora una volta ci chiediamo come sia stato possibile che una maggioranza di governo abbia potuto votare una legge che accoglie la tortura da parte delle forze di polizia come ’non reato’ qualora sia perpetrata una sola volta?

Ancora una volta ci chiediamo cosa si aspetti a correggere questo abominio e a farlo sparire dal nostro diritto?
Ho letto oggi che Franco Asciutti, senatore di Forza Italia, ha proposto con urgenza di costituire un’associazione interparlamentare “Amici del Tennis” che possa occuparsi in maniera analitica della situazione al fine di sostenere e promuovere questo importante e salutare sport attraverso specifiche iniziative legislative”. Ci compiacciamo con il senatore Asciutti e con gli altri deputati e senatori nullafacenti che si stanno, sembra, occupando di cose futili al limite del grottesco, quando non sono impegnati a far guadagnare piu’ soldi al loro premier.
Non faccio nemmeno commenti.

Berlusconi dice che il parlamento e’ un teatrino. A Firenze c’e’ un luogo chiamato San Salvi, dove notoramente non c’e’ un teatrino ma un manicomio. Vista la situazione, possiamo farne il protettore dei parlamentari.

Adelaide da Agrigenti mi manda questo brano da "La frontiera scomparsa" di Luis Sepulveda:

"Dopo quindici giorni, finalmente, mi ritrovai sdraiato sul materasso di sterco, a pancia in giù e con le mani alla nuca. Pensai che stavo diventando matto: ero contento di andare incontro a una cosa che si chiama tortura. Caserma Tucapel. Intendenza. Sullo sfondo il picco Nielol, perennemente verde, sacro per i mapuche. La stanza degli interrogatori era preceduta da una sala d’ aspetto, come un ambulatorio medico. Lì ci facevano sedere su una panca con le mani legate dietro la schiena e un cappuccio nero in testa. Non ho mai capito la ragione del cappuccio, perchè una volta dentro ce lo toglievano e potevamo vedere chi ci interrogava, i soldatini che con espressione di panico giravano la manovella del generatore elettrico, gli infermieri che ci applicavano gli elettrodi all’ ano, ai testicoli, alle gengive, alla lingua, e poi ci auscultavano per decidere chi fingeva e chi era davvero svenuto sulla "griglia". (....)

Un giorno di giugno del 1976 fini’ il viaggio da nessuna parte: Grazie alle pratiche di Amnesty International uscii dal carcere, e, anche se rapato e con venti chili di meno, mi riempii i polmoni dell’ aria densa di una libertà limitata dalla paura di perderla nuovamente. Molti dei miei compagni rimasti dentro furono assassinati dai militari. Per me è fonte di grande orgoglio sapere che non dimentico ne’perdono i loro carnefici. "