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Un paese che non si è fermato

Publie le giovedì 18 settembre 2003 par Open-Publishing

America Latina Alfio Nicotra

Messico contraddittorio

La popolazione locale guarda con distacco sia le manifestazioni che lo
svolgersi
del summit.

Più che indifferente, la gente non capisce. Vive in una città
senza radici (è stata fondata con capitale statunitense, negli anni 70).
Tutta l’economia gira intorno al turismo che dà qualche dollaro in più di
salario al giorno rispetto al resto del Messico, non esiste università,
i quartieri periferici sono dormitori senza anima, messi in luoghi dove
non incrociano gli occhi dei turisti.

Dare giudizi sulla società civile messicana immatura e non in grado di
mobilitarsi

 come abbiamo sentito pontificare in questi giorni da improbabili esperti
di movimenti no global - è però una faciloneria imperdonabile. Nella scelta
di Cancun gli uomini di Fox non hanno pensato solo alla logistica
inaccessibile
della zona hotelera ma anche o forse soprattutto al fatto che il summit
si sarebbe celebrato in una città anestetizzata dal conflitto. In qualsiasi
altra città del Messico sarebbe stato diverso.

In pochi paesi come il Messico una generazione come quella del ’68 ha subito
una repressione tanto brutale. Ancora oggi, la proposta del governatore
di sinistra di Città del Messico Manuel Lopez Obrador, di redigere un
monumento
alla memoria dei migliaia di studenti uccisi o desaparecidos dall’esercito
nella piazza delle Tre Culture, ha suscitato una levata di scudi da parte
degli alti gradi delle forze armate.

Eppure il Messico non si è fermato. Non solo perché qui gli zapatisti si
sono levati in armi quando ci raccontavano che il capitalismo aveva ormai
vinto definitivamente. In questo paese la lotta dei contadini è stata dura
(lo abbiamo visto sulle barricate anche mercoledì scorso) tanto da occupare
l’aeroporto della capitale o entrare a cavallo e con il machete in mano
addirittura nelle sale del Parlamento. Anche i giovani - gli stessi che
riempirono le piazze durante la marcia zapatista - non sono stati con le
mani in mano. L’Unam, l’università principale del Messico, è stata occupata
per oltre un anno.

Diverso il discorso sui sindacati, istituzionalizzati per decenni tanto
da essere una emanazione del Pri, il partito di regime. Ma anche qua
qualcosa
si muove, visto che il sindacato degli elettrici ha mandato al controvertice
una folta delegazione e con una parola d’ordine rivolta a signori del Wto:
no alla privatizzazione delle centrali e del servizio elettrico. Guardare
il Messico e dare giudizi sulle mobilitazioni di questi giorni con le lenti
deformate dell’occidente è un impagabile errore. Cancun rimane una tappa
di un processo globale di un movimento in grado di articolare la sua azione.

Se il Wto annaspa, non trova uno straccio di accordo su niente, si celebra
nelle gabbie fatte di inferriate e blocchi di cemento, è anche merito di
chi, senza strutture e sovvenzioni, ha portato qui la protesta.