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Fallujah: finalmente la verità

Publie le mercoledì 20 aprile 2005 par Open-Publishing
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Dazibao Guerre-Conflitti USA

di Angela Lano (*)

E’ una sensazione agghiacciante, di rabbia paralizzante, di commozione intrattenibile quella che ghermisce coloro che si addentrano nella lettura dell’articolo “Falluja, the truth at last” (Falluja, la verità, finalmente), pubblicato nel sito dell’inglese Socialist Workers Party online.

E’ il resoconto del massacro degli abitanti della città di Falluja, in Iraq, di cui i nostri media embedded, cioè, a seguito delle truppe della coalizione Usa-Uk-I-Pl, ecc., non ci hanno parlato se non nei termini del "contrastare" le forze dei ribelli", dei "terroristi", degli "insorti".

Ma quali terroristi? Se leggerete fino in fondo, vi renderete conto che si trattava di cittadini - donne, giovani, bambini, vecchi -, atrocemente assassinati dai militari Usa per il solo fatto di essere iracheni. Stroncati mentre aprivano fiduciosi le porte delle loro case, o mentre scappavano. Come in un film dell’orrore, mi è passata davanti la scena del bimbo di cinque anni che si getta sul corpo ormai senza vita della madre, uccisa a sangue freddo dai soldati del più potente esercito del mondo, e da quella posizione impotente, piena di dolore e di paura, gli giunge la scarica di pallottole che lo fulmina.

Crimini di guerra, di questo si tratta. Non c’è civiltà da esportare, né democrazia da impiantare: nessuno può ancora onestamente credere alla menzogna della guerra contro il terrorismo e per la democrazia. C’è solo da rubare le ricchezze altrui, perché, come dicono Bush & co., “Il nostro stile di vita non è negoziabile”. C’è da ammazzare, sadicamente, donne, vecchi, adolescenti e bambini. Esattamente come facevano i nazisti. L’unica differenza è che chi ha invaso impunemente lo stato sovrano dell’Iraq è anche il padrone incontrastato del mondo, e dunque domina i media, e i governi, e le borse, e gli affari.

Il governo italiano, con la sua "lealtà" a quello statunitense e a una guerra di rapina e di sterminio, sta violando non solo la Costituzione ma anche il diritto internazionale e umanitario.

La brava Giuliana Sgrena, ora finalmente libera, era forse di Falluja e di questo massacro che voleva scrivere quando è stata rapita da forze non ancora bene identificate? Dobbiamo dunque chiederci cui prodest il suo rapimento e perché l’auto blindata, che la stava conducendo all’aeroporto nel giorno della sua liberazione, è stata attaccata, come in un agguato, da militari statunitensi con una scarica di trecento colpi che hanno ucciso l’agente del Sismi, Nicola Calipari e ferito la stessa Giuliana.

Troppe stranezze, troppi silenzi, troppe verità occultate, troppa disinvoltura dei media nell’accettare spiegazioni inspiegabili e nell’avallare tesi confezionate da altri.

Il tg 3 di sabato 5 marzo ha mandato in onda un video sul massacro di Falluja e sul possibile uso di bombe chimiche da parte statunitense, ma non prima di definirlo “video propaganda”... Incredibile: chi dà le notizie, chi denuncia, chi veicola informazioni differenti da quelle “permesse”, fa... propaganda e non giornalismo. E’ proprio così: ormai siamo in un vero e proprio regime, e anche la linguistica e la semantica sono stravolte.

I popoli arabo-islamici hanno accesso a informazioni più approfondite e realistiche delle nostre in merito alla guerra in Iraq, grazie a ottime tv come al-Jazeera: è facile per noi dire che quelle televisioni trasmettono "odio" dai loro schermi, se poi le nostre "embedded" tacciono, e tacendo si rendono complici, insieme al nostro governo, di crimini di cui la Storia e le coscienze chiederanno conto.

(*)giornalista e studiosa del mondo arabo-islamico

Il Dott. Salam Ismael (*) lo scorso mese ha portato aiuti a Fallujah. Questa è la storia di come gli Stati Uniti hanno assassinato una città

ALL’INIZIO fu l’odore che mi colpì, un odore difficile da descrivere e che non dimenticherò mai. Era l’odore della morte. Centinaia di cadaveri che si stavano decomponendo nelle case, nei giardini e nelle strade di Fallujah. I corpi marcivano dove erano caduti, corpi di uomini, donne e bambini, molti per metà mangiati dai cani randagi.

Una ondata di odio aveva spazzato via due terzi della città, distruggendo case e moschee, scuole ed ospedali. Era la tremenda e spaventosa potenza dell’assalto militare degli USA. I racconti che sentii nei due giorni successivi vivranno in me per sempre. Voi potete pensare di sapere ciò che è accaduto a Fallujah. Ma la realtà è peggiore di quanto forse potreste avere immaginato.

A Saqlawiya, uno degli improvvisati campi profughi che circondano Fallujah, abbiamo trovato una vecchia di 17 anni. "Sono Hudda Fawzi Salam Issawi del distretto di Jolan a Fallujah", mi disse, "Cinque di noi, compreso un vecchio vicino di 55 anni, quando è cominciato l’assedio sono rimasti intrappolati insieme nella nostra casa a Fallujah.

«Il 9 novembre i marines americani sono arrivati alla nostra casa. Mio padre ed il vicino andarono alla porta per incontrarli. Non eravamo combattenti. Pensavamo di non avere nulla da temere. Sono corsa in cucina per mettere il velo, dal momento che dovevano entrare in casa degli uomini e sarebbe stato inopportuno farmi vedere a testa scoperta.

Questo mi ha salvato la vita. Appena mio padre ed il vicino si avvicinarono alla porta gli americani aprirono il fuoco su di loro. Morirono all’istante.

Io e mio fratello di 13 anni ci nascondemmo in cucina, dietro al frigorifero. I soldati entrarono nella casa e presero mia sorella maggiore. La picchiarono. E quindi le spararono. Ma non videro me. Appena se ne erano andati, ma non prima di avere distrutto i nostri mobili ed avere rubato il denaro dalla tasca di mio padre».Hudda mi raccontò di come ha confortato la sorella morente leggendo versi del Corano. Dopo quattro ore la sorella morì.

Per tre giorni Hudda e suo fratello sono rimasti con i loro partenti assassinati. Ma avevano sete e da mangiare avevano soltanto pochi datteri. Temevano che i soldati sarebbero ritornati e decisero di provare a scappare dalla città. Ma vennero individuati da un cecchino USA.

Hudda venne colpita ad una gamba, suo fratello correva ma fu colpito alla schiena e morì all’istante. «Mi preparai a morire. - mi disse - Ma fui trovata da una soldatessa americana che mi portò all’ospedale». Alla fine si ricongiunse ai membri sopravvissuti della sua famiglia.

Trovai anche altri sopravvissuti di un’altra famiglia del distretto di Jolan. Mi dissero che alla fine della seconda settimana di assedio le truppe USA percorsero Jolan. La Guardia Nazionale irachena utilizzava altoparlanti per chiedere alla gente di uscire dalle case portando bandiere bianche, portando con se tutti i loro effetti personali. Venne loro ordinato di raccogliersi fuori vicino alla moschea di Jamah al-Furkan, nel centro della città.

Il 12 novembre Eyad Naji Latif ed otto membri della sua famiglia, uno di loro un bambino di sei mesi, raccolsero i loro effetti personali e camminarono in una unica fila, secondo le istruzioni, verso la moschea. Quando raggiunsero la strada principale all’esterno della moschea udirono un grido, ma non riuscirono a capire cosa veniva gridato. Eyad mi ha detto che poteva essere stato "ora" in inglese. Poi iniziarono gli spari.

I soldati USA apparvero dai tetti delle case circostanti ed aprirono il fuoco. Il padre di Eyad venne colpito al cuore e sua madre al petto.Morirono all’istante. Anche due dei fratelli di Eyad furono colpiti, uno al petto ed uno al collo. Due delle donne vennero colpite, una ad una mano e l’altra ad una gamba. Quindi i cecchini uccisero la moglie di uno dei fratelli di Eyad. Quando cadde, suo figlio di cinque anni corse da lei e rimase sopra il suo corpo. Uccisero anche lui. I sopravvissuti fecero ai soldati dei disperati appelli perché cessassero il fuoco.

Ma Eyad mi disse che ogni volta che uno di loro tentava di alzare una bandiera bianca veniva colpito. Dopo diverse ore provò ad alzare il braccio con la bandiera. Ma lo colpirono al braccio. Infine provò ad alzare la mano. Così lo colpirono alla mano.

I cinque sopravvissuti, compreso il bambino di sei mesi, stettero distesi sulla strada per sette ore. Poi quattro di loro strisciarono fino alla casa più vicina per trovare riparo. Il mattino successivo anche il fratello che era stato colpito al collo riuscì a strisciare verso la salvezza. Rimasero tutti nella casa per otto giorni, sopravvivendo di radici e di una tazza d’acqua che avevano risparmiato per il bambino. L’ottavo giorno furono scoperti da alcuni membri della Guardia Nazionale irachena e portati in ospedale a Fallujah. Essi sentirono che gli americani arrestavano tutti gli uomini giovani, così la famiglia fuggì dall’ospedale e ottenne finalmente delle cure in una città vicina.

Essi non sanno in dettagli cosa accadde alle altre famiglie che erano andate verso la moschea come ordinato. Ma mi dissero che la strada era bagnata di sangue. Ero arrivato a Fallujah in gennaio come parte di un convoglio di aiuti umanitari finanziato da donazioni britanniche. Il nostro piccolo convoglio di camion e pulmini portava 15 tonnellate di farina, otto tonnellate di riso, medicinali e 900 capi di vestiario per gli orfani. Sapevamo che migliaia di profughi erano accampati in condizioni terribili in quattro campi alla periferia della città.

Lì sentimmo racconti di famiglie uccise nelle loro case, di feriti trascinati in strada ed investiti con i carri armati, di un container con dentro i corpi di 481 civili, di assassinio premeditato, saccheggio ed atti di ferocia e crudeltà che superano ogni immaginazione. Per tale motivo decidemmo di entrare a Fallujah a investigare. Quando entrammo in città quasi non riconoscevo il posto dove avevo lavorato come medico nell’aprile del 2004, durante il primo assedio.

Trovammo persone che vagavano come fantasmi tra le rovine. Alcuni cercavano i corpi dei parenti. Altri cercavano di recuperare dalle case distrutte alcuni dei loro beni. Qua e là, piccoli gruppi di persone facevano la coda per carburante o cibo. In una coda alcuni sopravvissuti lottavano per una coperta. Ricordo di essere stato avvicinato da un’anziana donna, i suoi occhi gonfi di lacrime. Mi afferrò per il braccio e mi raccontò di come la sua casa era stata colpita da una bomba USA durante un’incursione aerea. Il soffittò crollo sul figlio di 19 anni, tagliandogli entrambe le gambe. Non poté ottenere aiuto. Non poteva andare in strada perché gli americani avevano postato cecchini sui tetti ed uccidevano chiunque si avventurasse fuori, anche di notte.

Fece del suo meglio per fermare l’emorragia, ma fu inutile. Rimase con lui, il suo unico figlio, finché questi morì. Ci vollero quattro ore perché morisse.

Il principale ospedale di Fallujah fu preso dalle truppe USA nei primi giorni dell’assedio. L’altra sola clinica, la Hey Nazzal, venne colpita due volte dai missili USA. I suoi medicinali e l’attrezzatura medica vennero tutti distrutti. Non c’erano ambulanze, le due ambulanze che venivano ad aiutare i feriti furono colpite e distrutte dalle truppe USA.

Abbiamo visitato case del distretto di Jolan, un’area povera di lavoratori nella parte nord occidentale della città che era stata il centro della resistenza durante l’assedio di aprile. Sembrava che questo quartiere fosse stato scelto per la punizione durante il secondo assedio. Ci spostavamo di casa in casa, scoprendo famiglie morte nei loro letti, o abbattute in soggiorno o in cucina. Tutte le case avevano i mobili fracassati ed i beni sparpagliati. In alcuni posti trovammo corpi di combattenti, vestiti in nero e con le cartucciere.

Ma, nella maggior parte delle case, i corpi erano di civili. Molti erano in vestaglia, molte delle donne non avevano il velo, il che significa che nella casa non vi erano altri uomini che quelli della famiglia. Non vi era nessuna arma, nessun bossolo. Ci divenne chiaro che eravamo testimoni delle conseguenze di un massacro, il macello a sangue freddo di civili inermi ed indifesi.

Nessuno sa quanti sono morti. Ora le forze d’occupazione spianano i quartieri con i bulldozer per coprire il loro crimine. Ciò che è accaduto a Fallujah è stato un atto di barbarie. La verità deve essere raccontata al mondo intero. (dal sito http://freebooter.da.ru/ )

(*) Attualmente il governo britannico rifiuta al Dott. Salam Ismael il reingresso in Gran Bretagna.

Assieme a questo articolo si dovrebbero leggere i seguenti:

Eyewitness in Fallujah
 http://www.socialistworker.co.uk/ar...

Sorrow and fury as the dead are buried in Fallujah
 http://www.socialistworker.co.uk/ar...

Fallujah timeline
 http://www.socialistworker.co.uk/ar...

To show the reality is also a form of resistance
 http://www.socialistworker.co.uk/ar...

Fallujah: the truth at last
 http://www.socialistworker.co.uk/ar...

Il video che accompagna questo rapporto si trova nel sito Information Clearing House:
 http://www.informationclearinghouse...

The Legacy of Fallujah, video features Dr Salam Ismael

Messaggi

  • un giorno la verità verrà fuori e non ci saranno scuse che tengano è una cosa mostruosa che stia succedendo ancora questo non è servito propprio a niente il ricordo del passato la guerra è sempre guerra ora come 3000 anni fa, tante stragi tante guerre e tutto non è servito a niente....?????Ma un giorno la verità verrà fuori , ho tanta rabbia ma mi fermo qui grazie x opportunita di sfogo state facendo un buon lavoro fino a quando ce qualcuno che scrive la verità cè speranza altrimenti finisce anche quella.CIAO W IL 25 APRILE DI TUTTI I POPOLI DI QUESTA NOSTRA TERRA.