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30 aprile 1975: Saigon cade. Termina la guerra Usa al Vietnam

Publie le venerdì 29 aprile 2005 par Open-Publishing

Dazibao Guerre-Conflitti USA Storia

de SB

Il 30 aprile del 1975 fanno ingresso in Saigon le divisioni del generale Van Tien Dung: l’esercito fantoccio del sud è sconfitto e gli americani fuggono a rotta di collo. E’ la fine di una guerra che risale al lontano 1954.

Nel 1954, infatti, la Francia è stata costretta ad abbandonare l’intera Indocina, fino ad allora sua colonia, essendo incapace di fronteggiare la guerriglia dei partigiani di Ho Chi Minh, che si sono conquistati un largo consenso popolare, soprattutto tra le masse contadine, nel corso della loro eroica resistenza contro l’occupazione giapponese. La pace, raggiunta nella conferenza internazionale di Ginevra nel luglio 1954, ha sancito la piena indipendenza dei tre paesi dell’Indocina (Cambogia, Laos e Vietnam), e la provvisoria divisione del Vietnam tra il Nord del paese, passato completamente sotto il controllo dei Vietcong, ed il Sud, dove la Francia, prima di andarsene, ha favorito l’insediamento al potere di Diem, espressione delle classi latifondistiche e commerciali locali, allo scopo di impedire l’unificazione del paese sotto l’egida dei Vietcong.

La conferenza di Ginevra ha però sancito che il Vietnam avrebbe dovuto essere riunificato sotto un unico governo eletto dal voto popolare in una consultazione elettorale da tenersi, in entrambe le zone del paese, entro due anni. In realtà, i due anni di tempo servono a Diem per crearsi, con denari, armi, mezzi ed istruttori forniti dagli Usa, un potente esercito ed una crudele polizia politica, instaurando una feroce dittatura che nel 1956 rifiuta l’idea stessa di dare esecuzione ai deliberati di Ginevra.

Negli anni successivi si sviluppa, contro la dittatura reazionaria del Vietnam del Sud, dittatura conservata dai successori di Diem dopo la sua morte (1963), una guerriglia contadina di proporzioni sempre più vaste, incoraggiata e aiutata dal Vietnam del Nord. Gli Usa non si limitano allora più alla fornitura di armi, materiali ed istruttori al regime del Vietnam del Sud, ma inviano addirittura un proprio corpo di spedizione militare. Questo intervento, deciso ed iniziato da Kennedy nel 1961, ha il massimo sviluppo sotto i suoi due successori, e cioè Johnson (1963-1968) e Nixon (1968-1974), quando ben 700mila soldati americani si trovano a combattere nella giungla vietnamita, e quando, senza dichiarazione di guerra, le forze armate Usa occupano anche la Cambogia e sottopongono a terribili bombardamenti il Vietnam del Nord, per ritorsione contro gli appoggi trovati in tali paesi dai guerriglieri del Vietnam del Sud.

Questa guerra è stata concepita dagli Usa, al di là degli occasionali motivi o pretesti politici ed idelogici, per due ragioni fondamentali, entrambe scaturite dalle radici economiche dell’imperialismo Usa.

La prima ragione è stata quella di creare, sperimentare e portare alla sua massima efficacia un dispositivo militare adatto a combattere non già guerre tradizionali ma guerriglie sociali, sempre più diffuse nelle periferie dell’impero, e specialmente in America latina dopo la vittoria della guerriglia castrista a Cuba e le gesta guerrigliere di Ernesto “Ché” Guevàra soprattutto in Bolivia. Da questo punto di vista, il Vietnam è stato per gli Usa una specie di gigantesco laboratorio delle strategie e delle tecniche anti-guerriglia, diventate sempre più indispensabili alla propria sopravvivenza.

Una seconda ragione, altrettanto fondamentale, è stata quella di fornire nuovi campi d’investimento e di profitto per i settori dell’industria bellica Usa messi in difficoltà, alla fine degli anni Cinquanta, dall’insufficienza di ordinazioni adeguate alle capacità produttive e tecnologiche dei loro impianti. Da questo punto di vista la guerra del Vietnam è stata, più di ogni altra guerra della storia degli Usa, la guerra del suo cosiddetto complesso militare-industriale, che ha potuto legare definitivamente a sé, in un unico, organico blocco di interessi, anche istituzioni universitarie, scientifiche e culturali.

Fin dall’inizio della guerra in Vietnam, infatti, università e centri di ricerca hanno ottenuto lucrosi contratti per lo studio, con l’apporto delle più moderne tecniche di analisi e l’ausilio dei calcolatori elettronici, delle strategie più adatte, in relazione ai fattori geografici, climatici, etnici e sociali, per l’annientamento della guerriglia. Tecnologia e scienza sono state mobilitate per la progettazione di armi e di mezzi specificamente adatti allo lotta contro la guerriglia. Da questi studi e da queste progettazioni sono nate costosissime ordinazioni di nuovi bombardieri, di nuovi tipi di bombe (come le bombe cosiddette “intelligenti” perché elettronicamente guidate su determinati bersagli o le bombe al napalm per provocare incendi inestinguibili), di elicotteri capaci di speciali prestazioni anti-guerriglia, di sensori elettronici a raggi infrarossi per individuare esseri umani nascosti nella vegetazione, di attrezzature ed indumenti adatti alla giungla, di farmaci per le malattie tropicali.

Di qui i giganteschi affari e il conseguente sviluppo di multinazionali come la Boeing, la Lockeed, la General Dynamics, la General Electric e la Monsanto. Le spese effettuate, però, superano ben presto ogni preventivo, a causa dell’imprevista tenacissima resistenza opposta dalle formazioni guerrigliere, con l’aiuto delle masse contadine vietnamite. Per avere ragione di tale resistenza i capi politici e militari degli Usa dell’epoca si macchiano dei più gravi crimini di guerra. I villaggi contadini sospettati di aver fornito aiuto o anche solo ospitalità ai guerriglieri vedono la loro popolazione sterminata, compresi vecchi e bambini. Nuove bombe chimiche, capaci non soltanto di distruggere ogni forma di vita e di vegetazione, ma anche di rendere il suolo completamente sterile per diversi decenni a venire, vengono gettate in gran quantità sul Vietnam, trasformando parte del suo territorio in una landa deserta e infeconda.

Tale guerra, alla lunga, diventa (assieme allo sviluppo industriale dell’Europa occidentale e del Giappone) un fattore di aggravamento della crisi economica Usa. I suoi costi, infatti, se da un lato hanno stimolato lo sviluppo di vasti comparti dell’industria dall’altro hanno determinato una tale fuoriuscita di dollari dagli Usa da rendere alla fine impossibile il mantenimento della convertibilità aurea del dollaro (agosto 1971).

Una crisi che si sta rivelando epocale, nella quale non solo gli Usa sono in calo egemonico irreversibile, ma l’intero sistema imperialistico mondiale e, quindi, il modo di produzione capitalistico gobale, arranca da più di trent’anni. Che la guerra attuale in Irak sia la tomba degli Usa, e l’inizio della fine del più spettrale sistema economico-sociale della storia umana!

Fonte: http://capireperagire.blog.tiscali.it