Home > I GIORNI DELL’ABBANDONO

I GIORNI DELL’ABBANDONO

Publie le venerdì 9 settembre 2005 par Open-Publishing

Dazibao Cinema-video - foto

di Enrico Campofreda

L’evento è tragico e non rappresenta solo la fine d’un amore. E’ vuoto, stordimento, disperazione. Può diventare devastazione e abisso. I casi sono ripetuti nella vita d’ogni giorno e ormai trasversali, in linguaggio mercantile unisex: lo vivono donne e uomini. Nella pellicola - tratta da un romanzo di Elena Ferrante - lo vive Olga che d’improvviso si ritrova sola perché il marito ha “un vuoto di senso” e vuol meditare lontano da casa. Lei non capisce. Tutto è strano, inspiegabile. Due figli, una bella dimora borghese, una vita benestante, la routine, certo, ma come l’hanno in tanti che non subiscono l’abbandono. Dove mettere dieci anni di condivisione, emozioni, solidarietà di coppia ? “Non posso soffiare via il passato come fosse un insetto posato sulla mia mano” afferma Olga dopo che la sofferenza rimpiazza l’iniziale incredulità della situazione.

Il tema è centrale nell’odierno vivere e lasciarsi delle coppie, nella frenesia autodistruttiva di certe separazioni; può avere risvolti drammatici e indubbiamente meno cupi ma nella sceneggiatura Faenza perde gradualmente le coordinate e a tratti ripiega nel macchiettistico. Ne è vittima la brava Margherita Buy capace di momenti di forte intensità e poi messa all’angolo dal copione oltre che dal marito fedifrago. E parliamo dell’interpretazione migliore, di Bregovic cogliamo solo la finale bontà del rinomato violoncellista. Attori fuori luogo, Zingaretti paga il fio della troppa notorietà camilleriana. Un esempio di come la tivù può far male anche a chi la fa. Per questa sceneggiatura Faenza ha dichiarato d’aver pensato alla storia d’un’altra donna violentata nella psiche, quella Sabina Spielrein di cui aveva narrato tre anni fa la vicenda, ma in quest’occasione l’abitudine alla metafora gli prende la mano e ne viene fuori un lavoro pasticciato. Vera occasione perduta, dispiace dirlo perché l’argomento è variegato e coinvolgente.

Insomma dopo aver scoperto che il marito, avviato prefessionista cui il denaro non manca, è volato via con una giovinetta del circolo canottieri, Olga cerca di condurre decorosamente la propria esistenza. Deve lavorare (è traduttrice), accudire due figli, e cerca di rifarsi una vita. Qui però paga gli anni di separazione dalla società cui la vita di coppia conduce. Gli incontri sono insoddisfacenti finché in una notte di sconforto e di alcool finisce in casa del timido musicista che vive nell’appartamento sottostante al suo. Finisce lì per solitudine, perché quell’uomo era antipatico all’ex marito. Ci finisce addirittura in una goffa intimità sessuale, di cui poi si vergognerà, perché sta ancora pensando all’ex marito. Quando poi lo vede mano nella mano alla nuova giovane fiamma - e lei con gli orecchini che un tempo furono suoi - ha un moto di rabbia e aggredisce per strada gli amanti.

La vita di Olga subisce un degrado crescente: è ossessionata da visioni, non riesce a tradurre sensatamente, non sta dietro ai due figli, gliene accadono d’ogni colore e finisce pure in ospedale. Però al di là dei contrattempi più o meno banali, della tensione coi bambini, della morte del cane di famiglia, l’incontro col musicista slavo si rivelerà una salvezza. Con lui comprenderà che la musica è fatta di tempi e controtempi come s’impara studiandola al metronomo. E la vita altrettanto. Finale a lieto fine, dunque. Con l’aspetto taumaturgico del nuovo amore, se non per dimenticare certamente per lenire le ferite dell’abbandono.

Regia: Roberto Faenza
Soggetto e sceneggiatura: Roberto Faenza
Direttore della fotografia: Maurizio Calvesi
Montaggio: Massimo Fiocchi
Interpreti principali: Margherita Buy, Luca Zingaretti, Goran Bregovic
Musica originale: Goran Bregovic
Produzione: Medusa, Jean Vigo
Origine: Italia, 2005
Durata: 96’