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Storia di Mauro Rossetti Busa

22 marzo 2008, 16:08

Mi chiamo Rossetti Busa Mauro, provengo da una famiglia di ex operai che da due anni vive in una casa popolare dove è stata sospesa l’erogazione del gas, dei riscaldamenti e persino dell’acqua, il tutto perché siamo debitori di trenta milioni delle vecchie lire.
Paghiamo al comune un filo d’acqua che arriva sul terrazzo e la luce per una somma di quindici euro. Per risanare tutti questi debiti bisognerebbe ricorrere ad un “esproprio” bancario, tranne che un Berlusconi o un Bertinotti non si faccia carico di questo nostro problema, cosa che credo difficile per un comunista come Bertinotti, figurarsi per Berlusconi.
I miei nonni paterni sono stati partigiani, mia nonna ha prestato servizio come infermiera. I genitori di quella buonanima di mia mamma vennero uccisi dai tedeschi perché si rifiutarono di consegnargli l’unico cavallo stallone che avevano.
Quando le uccisero i genitori mia madre era una bambina, col tempo divenne comunista ed operaia presso una fabbrica dove regnava il modello fascista, dove sarà poi licenziata per motivi di salute.
Alla fine della guerra conobbe mio padre, lui era un muratore e la paga era appena sufficiente per mangiare in una situazione di chiara povertà.
Dopo molti anni nacqui io e sembrerebbe che mia madre mi abbia concepito non con un secondo uomo ma bensì con il primo. Così venni messo in un orfanotrofio di Modena, ancora non avevo un cognome ma solo un nome. Negli anni ’70 lasciai l’orfanotrofio perché mia nonna mi dette il suo cognome (Rossetti), successivamente mia madre ebbe altri figli, per me fratellastri, dal secondo uomo e a questi diede il suo cognome (Mazzei).
L’unica scuola che frequentavamo era quella comunale, essa era frequentata dai sinti (minoranza etnica di zingari) e da noi, figli di famiglie povere e disagiate.
All’età di quattordici anni cominciai a rubare, scippare e cominciai ad avere esperienza del carcere minorile, case di reclusione e riformatori dai quali riuscii ad evadere.
Ritornai in carcere ma questa volta con una pistola di calibro 38 e diversi proiettili che conservavo in una tasca della camicia, gli agenti forse per la troppa fretta di buttarmi in galera si dimenticarono di perquisirmi. Così, nel carcere minorile, acquistai la fama di Pistolero, soprannome datomi sia dagli altri prigionieri che dal maresciallo responsabile del carcere. Proprio al maresciallo fece un certo effetto vedermi, dopo che era stata tolta la maglietta, in possesso di una pistola e per giunta carica tenuta all’altezza della cintura.
All’età di tredici anni bruciai alcune macchine dei carabinieri dopo che questi avevano arrestato mio padre, era stato condannato a sette anni per una rapina in un convento di frati.
All’età di quindici anni venni arrestato a Pisa per un tentato furto e, invece di portarmi in un istituto per minorenni, fui tradotto nel carcere per maggiorenni in Via Don Bosco n 43, Pisa.
Il giorno dopo i detenuti diedero vita ad una rivolta dove venne spaccato di tutto, io mi trovato in isolamento in quanto minorenne ma comunque cercai di contribuire rompendo il tubo dell’acqua del rubinetto presente nella cella mentre gli altri detenuti cercavano di buttare giù, riuscendoci alla fine, la cancellata della mia cella per liberarmi.
Dalle finestre non volavano solo slogan ma anche bombe rudimentali fatte con le basi delle caffettiere, la rivolta che era in atto si ricollegava alla questione della riforma carceraria.
Il tutto durò fino a tarda sera, poi ci fu un’irruzione della celere e iniziarono le manganellate e i trasferimenti, rischiai di prenderle anche io ma un tempestivo intervento del maresciallo bloccò l’agire dei malintenzionati.
Mi venne data una coperta ed una candela per affrontare la notte, mancavano luce ed acqua proprio perché nulla era stato risparmiato dai prigionieri ribelli, alla rivolta partecipò anche mio zio.
Questo evento per me non fu uno spavento, anzi feci mia una bella esperienza “impara l’arte e mettila da parte“, anche se credo di aver imparato troppo velocemente ad essere un rivoltoso e ribelle.
Nel 1978, all’età di venti anni, venivo arrestato con l’accusa di omicidio di un carabiniere, attentato ad un distributore di benzina con l’aggravante di terrorismo (rosso) e tentata strage, iniziai così ad essere sballottato da un carcere all’altro.
Venni accusato di tali reati perché, durante la perquisizione in casa mia alla ricerca di armi, trovarono sul tavolo della cucina il giornale che riportava l’articolo, cerchiato, del carabiniere ucciso. La perquisizione non mi venne fatta in merito all’omicidio riportato nell’articolo ma per i fatti compiuti, mi trovarono in casa vari volantini, alcune divise della polizia e una carta geografica con appunti puntellati.
Nel 1978, nel carcere delle murante di Firenze, prendevo parte insieme ad altri prigionieri ad una rivolta per la riforma carceraria, per un vitto migliore ed altri accorgimenti. Venni quindi trasferito nel carcere penale di Volterra (Pisa), lì sequestrai una guardia carceraria per un paio d’ore, alla fine mi arresi per volontà degli altri prigionieri. Ciò mi costò il trasferimento in un manicomio criminale dove rimasi un mese, uscito da lì iniziarono a non farmi stare più di due mesi nello stesso carcere e ne iniziai a girare diversi della Toscana. Divenni consapevole del perché di tutti questi trasferimenti, me ne sono sempre fregato visto che per me un carcere valeva l’altro.
Nell’80 venivo assolto con formula dubitativa riguardo all’omicidio del carabiniere ma non per l’attentato al benzinaio così come venni assolto per la tentata strage.
Nell’81 venivo nuovamente arrestato per rapina, sequestro di persona e detenzione di armi, queste non vennero mai rinvenute. Sempre nell’81 fui promotore di una rivolta in carcere.
Nell’82 venivo condannato a cinque anni e mezzo e due anni di libertà vigilata. Mentre scontavo la condanna in carcere, avevo accumulato quindici anni di carcere tra denunce per danneggiamenti, oltraggi, minacce, detenzione e fabbricazione di bombolette da camping, iniziai a dinteressarmi di politica. Leggevo libri anarchici e comunisti, ero affamato di conoscenza e volevo a tutti i costi conoscere l’ideologia politica.
Con gli anni ho mantenuto corrispondenze con i/le compagni/e delle BR incarcere, era una corrispondenza di solidarietà più che una dialettica politica proprio perché non ero ancora pronto per un confronto politico e sarei stato svantaggiato ad aprirne uno della loro portata. Ma nutrivo, come continuo a nutrire ancora oggi, una forte simpatia per questi compagni.
Dopo essere uscito dal carcere nel 1988 venivo nuovamente arrestato conl’accusa di detenzione e fabbricazione di bombe molotov, attentati incendiari contro mezzi televisivi della Fininvest, contro la ditta di armamenti Panerai, e la Fincommercio Valentino Giannotti, il tutto era stato rivendicato a nome dei Nuclei Proletari Resistenza Attacco (NPRA), sempre nel 1988 mi avvicinavo al CSA l’Indiano di Firenze.
Da un centro sociale presi due opuscoli intitolati “oltre la frontiera”, li portai a casa ma non li lessi.
La mattina seguente ci fu una perquisizione dei Ros dove mi venne sottratto tutto il materiale in mio possesso, dopo due giorni fui arrestato, su ordine del procuratore Piero Luigi Vigna, con l’accusa dei reati sopraccitati, l’aver preso parte ad una associazione clandestina chiamata Nuclei Proletari Resistenza Attacco.
Il teorema di Vigna ci descriveva come i “nipotini di Curcio del‘68” per le modalità “mordi e fuggi” usate.
Io non rivendicai quanto mi veniva contestato, ma rivendicai il mio essere comunista, un comunista libertario, e la mia solidarietà a quei compagni che rimasero fuori liberi.

Per scrivere a Mauro

MAURO ROSSETTI BUSA
VIA NUOVA POGGIOREALE, 177
80143- NAPOLI