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> Vogliono censurare il film "lavorare con lentezza"

25 ottobre 2004, 12:08

LAVORARE CON LENTEZZA, ORA CHE ALICE È IN PARADISO

“Ettiamo Mariù...” Finiti i titoli di coda, dopo le voci di repertorio relative al vero assedio a Radio Alice del 12 marzo 1977 e un accenno di applauso da parte degli occupanti dei 112 posti a sedere (piccola sala ricavata all’interno di un multisala romano: l’onore dello spazio più grande è tutto per King Arthur, mentre per colpa di Garfield, micione digitale, il film di Chiesa ha saltato due proiezioni), un tizio sui quaranta si alza e fa agli amici: “Ma allora ‘sta radio è esistita per davvero?”

Sono ancora stordito dai suoni, dai colori, dalle emozioni che questo film (italiano ma bello, anzi, esportabile, una mosca bianca!) mi ha suscitato. La frase del fesso mi riporta di colpo sul pianeta terra: a questo siamo arrivati. Tilt completo: ecco cosa succede a correre troppo, a praticare tutto quel cazzo di zapping. La memoria di una nazione a puttane. E se tra 25 anni (o anche meno) a qualcuno venisse in mente di fare un film ambientato a Genova nel luglio del 2001...pura fiction?

Settantasette senza luoghi comuni, fuori dall’insensato marciare nel furbo revival, dall’ovvietà-feticcio di forme e fantasmi fenomenologici. Settantasette per “Quelli che preferiscono l’ironia alla nostalgia”, come ha scritto Guido Chiesa. Se la sfida era questa, il team formato dal regista di Alice è in paradiso e i Wu Ming ha funzionato come un orologio: lancette riportate indietro per una storia che dal primo all’ultimo minuto non smette di parlare del presente obbligandoci a vedere piuttosto che ad illuderci. Vedere Sgualo e Pelo, figli del quartiere Safagna, periferia bolognese, intenti a scavare un tunnel nelle fogne che non porterà da nessuna parte (non ai soldi del caveau, almeno) ma li aiuterà a scoprirsi meno soli con l’aiuto delle voci, delle canzoni che vengono fuori da una radiolina a pile piazzata lì sottoterra. Vedere a fumetti la maschera tragico-grottesca, keatoniana di Valerio Binasco/Marangon, bandito vecchio stampo che, insieme ai suoi soci francesi, sembra uscito dagli albi di Alan Ford; poi Max Mazzotta (qui il perplesso carabiniere calabrese Antonio), corpo rubato ai pennarelli di Andrea Pazienza, già sorprendente in Paz! di Renato De Maria (e con l’omaggio a Filippo Scòzzari, l’uomo di Suor Dentona, Dottor Jack e altri incanti di carta, siamo al deliquio). Vedere Valerio Mastandrea, tenente dei carabinieri Lippolis, incarnazione della stoltezza in divisa, pericolosa più della Beretta in dotazione. E gli Afterhours che vestono di nuovi brividi Gioia e rivoluzione degli Area in una soundtrack che include anche Patti Smith, Tim Buckley, Enzo del Re, Rino Gaetano. E Bifo che non apre bocca ma sorride e Radio Alice libera davvero, per poco, ma libera di dare voce alla gente di Bologna e sfogo a una salutare pazzia collettiva in onda 24 ore su 24.

"Radio come spazio bianco da scriversi giorno dopo giorno". Il Diavolo in via del Pratello 41, probabilmente. Una efflorescenza di invenzioni animate da uno spirito dadaista: manifesti, slogan, vignette, deliri, bisogni. Cosa “d’altri tempi”, allo stesso modo in cui legato a modi inattuali di mettersi insieme/progettare/realizzare ci appare oggi (erroneamente, poiché chi opera in gruppo e senza allineamenti sul web ha in realtà raccolto almeno in parte il testimone) il circo delle meraviglie, delle sfrenate possibilità de Il Male, Cannibale e Frigidaire.

Sgualo e Pelo scavano anche per noi. Uomini talpa reduci dal fallimento di una vera rapina col buco sventata da un metronotte, ragazzi pasoliniani-godardiani (del Pasolini della Trilogia della Vita, del Godard di Il Bandito delle ore undici) dentro un cinema non stupido, una suite filmica pensata come una suite musicale eseguita da un coro (gli studenti del Movimento, le famiglie che aspettano un segno dal PCI, i vecchietti del bar, etc.).

Le armi appese a un filo che passa da un lato all’altro della strada: emblema di una generazione criminalizzata. L’eroina che addormentò molti cervelli si intravede solo per pochi secondi ma lascia il segno, riportando a certe pagine del libro di Scòzzari Prima pagare, poi ricordare. Le barricate all’università. Il sesso delle compagne. The Pope smokes dope e "A forza di andare all’assemblea, mi è venuta la diarrea".

Fa ridere, commuove, (ri)mette in gioco l’importanza vitale della pratica dello sberleffo, di un oltraggio continuo al lavoro morto, alla vita frenetica (oggi, più di ieri, per non morire oggi stesso o al più tardi domani col cuore spappolato dallo stress).

‘Sta radio è esistita per davvero. Francesco Lorusso, 25 anni, studente e militante di Lotta Continua, morì davvero, colpito da un proiettile eploso da un carabiniere ad altezza uomo. Ricordo una raggelante vignetta: Andrea Pazienza raccontò così l’episodio. Caso archiviato. Si accantona tutto, quaggiù. Si congelano le cose ripiegando su ciò che resta in superficie. Lavorare con lentezza scende in profondità, si rivolge ai fratelli figli unici del 2004, a “Quelli che hanno perso il filo e il segno eppure vanno avanti” ragionando sul fottuto diritto inalienabile di vivere serenamente.

“Ettiamo Mariù...”

Nino G. D’Attis