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Una soluzione alla crisi energetica arriva dal Venezuela

Publie le martedì 20 settembre 2005 par Open-Publishing

Dazibao America Latina Giorgio Trucchi

di Giorgio Trucchi

E’ ormai passato più di un anno da quando la crisi energetica ha investito in modo sempre più drammatico il Nicaragua e gran parte del Centroamerica.

Il costante aumento della benzina e di tutti i prodotti legati al petrolio ha fatto aumentare i beni di prima necessità, i servizi basici (luce, acqua e telefonia), i trasporti, rendendo la vita impossibile alla maggior parte della popolazione (circa il 72%) che continua a sopravvivere con meno di due dollari al giorno.

Nello scorso mese di maggio, il tentativo da parte delle cooperative dei Trasporti di aumentare il costo dei trasporti pubblici aveva generato un feroce conflitto con gli studenti universitari conclusosi, dopo violenti scontri per le principali vie di Managua e delle altre principali città nicaraguensi, con degli accordi che avevano coinvolto il governo e le amministrazioni comunali e che per l’ennesima volta, avevano concesso sussidi milionari ai proprietari degli autobus.

Nei successivi tre mesi si sarebbe dovuta formare una Commissione Interistituzionale per affrontare il grave problema energetico, analizzando le strutture di costo della benzina e del diesel (è risaputo che le grandi imprese multinazionali del petrolio presenti in Nicaragua - Texaco, Esso e Shell - stanno facendo affari d’oro con l’acquisto, la raffinazione e la vendita del prodotto finito), i guadagni delle imprese generatrici e distributrici di energia elettrica (per la maggior parte privatizzate) e cominciare ad esplorare nuove fonti di energia (eolica, idroelettrica e soprattutto geotermica) di cui il Nicaragua è ricco.

Nulla di tutto questo è stato fatto, per l’incapacità ed il disinteresse governativo nel cercare una soluzione a lungo termine al problema, per l’evidente legame che ha con le multinazionali nordamericane, ma soprattutto per il disastroso conflitto istituzionale tra governo e gli altri Poteri dello Stato che ha impedito di inserire all’interno del Dialogo Nazionale (in coma da tempo) la tematica della crisi energetica.

La situazione è andata sempre più degenerando ed all’inizio di agosto, scaduti i tre mesi previsti dall’accordo e con il continuo aumento del prezzo del petrolio a livello internazionale (per farsi un’idea...prima della guerra in Irak il galón di benzina - circa 4 litri - costava 27 cordobas, mentre oggi ne vale 65), il settore trasporto ha chiesto un nuovo sussidio mentre, la distributrice di energia elettrica, la multinazionale spagnola Union Fenosa, chiedeva un considerevole aumento per poter pagare le imprese generatrici di energia con le quali, secondo l’impresa spagnola, aveva ormai contratto debiti per varie decine di milioni di dollari.

In mezzo a tutto questo è da rimarcare l’assenza dello Stato anche in termini di regolazione delle tariffe, dato che il conflitto istituzionale e le riforme costituzionali approvate dal Parlamento, ma mai accettate e riconosciute dal Presidente Bolaños, hanno lasciato nel limbo giuridico l’Ente pubblico predisposto a questo tipo di regolazione e generando quindi il caos più totale.

Gli ultimi avvenimenti dell’uragano Katrina negli Stati Uniti hanno dato il colpo finale alla situazione.

Il costo del petrolio ha superato tutte le previsioni e la totale impreparazione da parte del governo, molto più impegnato a combattere la battaglia interna contro gli altri Poteri dello Stato e a cercare di far approvare il Trattato di libero commercio con gli Stati Uniti (Cafta), ha portato il Nicaragua sull’orlo del baratro.

A partire dal 19 settembre è iniziato uno sciopero generale dei trasporti di Managua, che rischia però di diventare nazionale, e centinaia di migliaia di nicaraguensi hanno dovuto percorrere decine di chilometri a piedi per raggiungere i posti di lavoro o accettare gli alti prezzi imposti dai taxi o da chi ha fatto affari trasportando gente con camion, camionetas o auto.

Parallelamente, Union Fenosa ha iniziato una serie di tagli del flusso elettrico lasciando l’intero paese al buio, cosa che ha innalzato vertiginosamente gli indici delittivi (soprattutto furti) ed ha messo in crisi tutte quelle attività di piccolo commercio a livello famigliare che hanno perso un’enorme quantità di prodotti deteriorabili come latte, carne, formaggi, gelati, pesce.

La mancanza di energia elettrica ha anche provocato la sospensione della somministrazione di acqua, cosa che sta provocando un veloce aumento delle malattie tenendo conto che siamo in pieno inverno e quindi in una stagione altamente a rischio di epidemie.

La sospensione del flusso elettrico ha messo in seri problemi anche gli ospedali che, contando con generatori diesel obsoleti, hanno dovuto sospendere più di una volta le operazioni programmate, gli interventi di emergenza e ancor più grave, molta gente che sta sopravvivendo solo grazie a macchinari elettrici ha rischiato di morire.

Di fronte a tutto questo, il Governo e il Parlamento continuano a combattere la loro lotta, muro contro muro, senza che alla fine si raggiunga alcun tipo di accordo.
La società civile e le organizzazioni che operano in difesa dei consumatori (con la Red de Defensa de los Consumidores in testa), hanno lanciato ogni sorta di appello ed hanno chiesto alla popolazione di reagire con dimostrazioni di piazza, rifiutandosi di pagare le alte tariffe dei trasporti e le bollette sempre più care e molto spesso alterate, di Union Fenosa.

Per ora la popolazione è però molto più intenta a come sopravvivere e a come non perdere il posto di lavoro, mentre è ormai certo che nelle Zone franche del paese la mancanza di fluido elettrico sta bloccando i lavori e questo si ripercuoterà sulle già misere buste paghe di fine mese.

Per ora le uniche proposte del governo sono state quelle di iniettare fondi al settore energetico (in pratica vuol dire sussidiare con fondi pubblici le casse già gonfie delle multinazionali), aumentare le tariffe e le imposte statali agli idrocarburi per disincentivare il consumo e favorire il risparmio energetico. Il Ministro del Tesoro, Mario Arana, è arrivato anche a proporre un quantitativo massimo settimanale di benzina per chi possiede un auto.

In mezzo a questo disastro si è però affacciata una possibile soluzione che, anche se non potrà risolvere tutti i problemi, potrebbe lenire in parte i danni che sta provocando la crisi energetica e l’alto costo del petrolio, in attesa che i differenti attori politici del paese si decidano, una volta per tutte, ad affrontare in modo serio, pianificato, con visione per il futuro e soprattutto con l’obiettivo di sfruttare finalmente le ampie risorse energetiche alternative di cui il Nicaragua dispone, uscendo così dal monopolio energetico che, grazie alle tanto decantate misure neoliberiste di privatizzazione per attirare il capitale straniero, sta strangolando il paese.

Durante il minivertice svoltosi a Cuba tra alcuni paesi latinoamericani e dei Caraibi, il Segretario del Frente Sandinista, Daniel Ortega, ha iniziato un dialogo con il Presidente venezuelano, Hugo Chávez, per sondare la possibilità che, all’interno della Alternativa Bolivariana para las Americas (Alba), il Nicaragua potesse ricevere petrolio a basso costo.

La notizia aveva creato un certo interesse nel paese, ma il Governo l’aveva subito scartata in quanto il Nicaragua non ha le strutture per raffinare e immagazzinare petrolio(è da rimarcare come la compagnia nazionale del petrolio, Petronic, sia stata affittata a una compagnia messicana che sta facendo affari d’oro e che continua a vendere nel paese).

Durante la giornata del 19 settembre, il sindaco di Managua, Dionisio Marenco, accompagnato da Daniel Ortega, dall’Ambasciatore della Repubblica Bolivariana del Venezuela, Miguel Gómez e da numerosi sindaci che fanno parte dell’Associazione dei Municipi del Nicaragua (Amunic), hanno indetto una conferenza stampa in cui hanno fatto conoscere l’ufficializzazione dell’accordo con il governo di Hugo Chávez.

Daniel Ortega ha rimarcato come "durante il minivertice di alcune settimana fa, ho parlato con il presidente Chávez di un argomento molto importante come è l’integrazione latinoamericana come alternativa alla Area de Libre Comercio para las Americas (Alca).

Stiamo parlando di qualcosa che si pensava irrealizzabile nell’epoca di Bolívar, Martí e Sandino, ma che oggi grazie ai grandi cambiamenti che sono avvenuti in America del Sud si sta convertendo in una realtà. Come l’Europa ha dovuto unirsi per difendersi in un mondo globalizzato, l’America Latina e i Caraibi devono fare lo stesso.

La proposta dell’Alba da parte del Venezuela si sta concretizzando e mette in evidenza lo spirito di solidarietà, di generosità del popolo bolivariano.
Venezuela è il primo paese produttore di petrolio che per la prima volta nella storia dice a tutti i paesi latinoamericani che il petrolio è a disposizione per contribuire al loro sviluppo.

Stanno già nascendo vari progetti, tra cui Petrocaribe che coinvolge 14 stati dei Caraibi, dove il petrolio diventa uno strumento di solidarietà per favorire l’integrazione e lo sviluppo dei paesi latinoamericani e come alternativa ai trattati di libero commercio.

Mi chiedo, oggi, dove sono gli Stati Uniti? Dove sono i grandi amici del Presidente Bolaños per risolvere il problema dell’incremento del petrolio, per fermare i tagli al flusso dell’energia elettrica?

Gli yankee che avevano centinaia di milioni di dollari da investire nella guerra durante gli anni 80 e che non hanno mai pagato i 17 mila milioni di dollari che la Corte della Aja li ha condannati a pagare per l’aggressione al Nicaragua, dove sono adesso che il Nicaragua ha bisogno? Dove sono? Dov’è Bush, a cui Bolaños in modo servile ha anche dato truppe nicaraguensi per andare in Irak? A loro interessa poco il benessere del Nicaragua e la nostra crisi energetica, ma sono solo interessati a far approvare un Trattato di libero commercio (Cafta) per esportare i loro prodotti e far fallire i nostri produttori.

La proposta di Chávez si è quindi concretizzata.

Il sindaco Marenco è appena stato in Venezuela per definire i dettagli di questo accordo che verrà firmato nei prossimi giorni".

Ha preso poi la parola l’Ambasciatore del Venezuela, Miguel Gómez.
"Voglio annunciare il successo della visita del sindaco Marenco in Venezuela alla ricerca di una soluzione per il problema energetico che vive il Nicaragua.

Si creerà un’impresa venezuelana-nicaraguense che si incaricherà di trasportare, immagazzinare e distribuire a tutti i nicaraguensi i prodotti derivati dal petrolio.
Petrolio de Venezuela S.A (PVSA), impresa statale, sarà azionista di questa impresa che si creerà in Nicaragua.

In alternativa all’Alca, come diceva il Comandante Ortega, il governo venezuelano sta promuovendo un altro tipo di processo attraverso il quale si sono già firmati vari accordi con paesi dei Caraibi e dell’America del Sud, nell’ottica di cercare un meccanismo di integrazione solidale, di cooperazione che non sia un’integrazione come quella che promuovono i Trattati di libero commercio che vedono l’altro come un cliente, un compratore o un consumatore finale delle loro eccedenze.

Questa impresa entrerà a far parte di Petrocaribe e sarà conformata dai Comuni e da settori privati nicaraguensi e speriamo che possa estendersi poi ad altri paesi del Centroamerica.

E’ un’esperienza già in cammino.

Con l’Argentina ed Uruguay, ad esempio, il pagamento del petrolio avviene con l’esportazione di carne e prodotti agricoli e la cosa interessante è che questa forma evita l’uscita di divisa straniera (dollari)".

Ha infine preso la parola il sindaco di Managua, Dionisio Marenco, presidente anche di Amunic.

"Si costituirà un’impresa nazionale con capitale misto apportato dalla PVSA del Venezuela e da un’impresa municipale nicaraguense capeggiata dal Comune di Managua e in cui, progressivamente, s’integreranno tutti i Comuni che riceveranno l’approvazione del Consiglio municipale. Si costituirà quindi una corporazione petrolifera in Nicaragua.

Alla fine, questa impresa che avrà una maggioranza di capitale venezuelano (circa il 70 per cento), potrà comparare prodotti finali, come benzina, diesel, gas liquido, benzina per aerei e asfalto.

I mezzi e metodi di trasporto, i meccanismi di scarico verranno messi a disposizione dalla compagnia venezuelana.

Ci siamo messi in contatto con la compagnia di petrolio nazionale, Petronic, per iniziare un processo di distribuzione e si utilizzerà qualsiasi altro tipo di canale.
Attualmente il Nicaragua consuma 9,5 milioni di barili all’anno, di cui 4,5 in benzina e diesel, 3 milioni per generare energia elettrica e il resto in benzina da aviazione, gas e asfalto.

Dal fondo del ricavato della vendita al pubblico, l’impresa venezuelana concederà un 40 per cento di sconto. Se per esempio il petrolio costa 60 dollari al barile sul mercato internazionale, noi ne pagheremmo solo 36.

Questa differenza di prezzo, i vari comuni che faranno parte dell’impresa potranno utilizzarlo per interventi, come sussidiare il settore dei Trasporti pubblici, diminuire i costi di produzione di energia elettrica per poter mantenere le tariffe basse per la gente o rifare le strade dove c’è bisogno.

Questo fondo avrà la forma di un credito che concederà il Venezuela con un termine di 40 anni ad interessi bassissimi in modo da poter far fronte a questa crisi.
Questa non sarà il solo aiuto da parte del Venezuela, perché si stanno studiando altri progetti per lo sviluppo urbano, per il miglioramento della qualità di vita dei nicaraguensi.

La firma dell’accordo avverrà nei prossimi giorni e contiamo che il governo sappia apprezzare questa sforzo e questa soluzione e che non metta in atto strategie di ostacolo con fini politici".