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La costituente per l’alternativa e le primarie sul programma

Publie le domenica 23 ottobre 2005 par Open-Publishing

Dazibao Partito della Rifondazione Comunista Parigi Primarie

Prc, in direzione, dopo la relazione del segretario, si fa il punto sulla domenica elettorale

di Stefano Bocconetti

Sala Libertini, dove si riunisce la direzione di Rifondazione. Si discute dell’"evento", come lo chiama Bertinotti. Si discute di come e quanto abbiano cambiato quelle quattro milioni di persone che sono andate a votare domenica scorsa. Ma cos’è accaduto davvero con le primarie?

Il segretario, nella sua relazione, ha usato un’espressione che farà da leit motiv a tutti i ragionamenti, a tutte le proposte: "l’irruzione della partecipazione".

Partecipazione popolare vera, della gente, delle associazioni. Che ha una spiegazione lontana, «la propensione della sinistra italiana a fare leva sul consenso attivo» delle persone. Ma questa è storia. Oggi la domanda di partecipazione interviene nelle vicende politiche immediate. Sul «qui ed ora», come si dice. E rivela il rifiuto forte, viscerale del sistema che chiamiamo berlusconismo. Ma c’è anche qualcosa di più.

Qualcosa che ha a che fare con la crisi della politica: quei quattro milioni di votanti e di elettrici hanno delineato insomma «un metodo», si sono riappropriati di una discussione che fino a ieri sembrava restare nell’alveo dei partiti.

Ma tutto questo, come si coniuga col plebiscito a Prodi? A parte che molti interventi - Elettra Deiana e Giovanni Russo Spena, per citarne due - contestano questa definizione, visto che comunque in queste primarie c’è stato un forte scontro dialettico, il dibattito una spiegazione l’ha suggerita. Questa: il popolo delle opposizioni ha votato il candidato che, volontariamente, ha scelto di mantenere un profilo unitario. Che ha scelto di diventare il simbolo dell’unità per mandar via il governo Berlusconi.

Ma assieme al voto per Prodi, le primarie hanno rivelato anche la presenza, la forza della sinistra dello schieramento. Bertinotti dice che gli sembra davvero ancora «incredibile» che 630 mila persone abbiano votato per lui, l’abbiano indicato come leader della coalizione. Ma questo ora conta poco. Di più conta quell’«arcipelago», quel vastissimo arcipelago fatto di singoli e movimenti, che si sono mobilitati per sostenere la sua candidatura. Un «arcipelago» che ha accompagnato Bertinotti nel suo viaggio elettorale, una vera e propria «inchiesta» nel paese reale. Un patrimonio che non può essere disperso.

Ed ecco, allora, la proposta: far nascere, nel giro di poco tempo, una costituente. La costituente della sinistra d’alternativa. Che cominci a disegnare una mappa dei conflitti, delle battaglie che si svolgono in tutto il paese. Battaglie, lotte spesso isolate. Di più: spesso lasciate da sole.

Sinistra d’alternativa, dunque. Ma oggi, in queste ore, c’è la questione del programma dell’Unione. E qui, la relazione anticipa una critica che verrà riproposta dalle minoranze: «Sarebbe un errore dire che l’esito delle primarie possa pregiudicare la battaglia per il programma. Sarebbe lo stesso errore di chi ha sottovalutato il voto per il candidato».

E allora, come fare? Come spostare a sinistra il programma di un’Unione, il cui leader il giorno dopo il voto, se n’è uscito con affermazioni «unilaterali» sull’importanza della direttiva Bolkestain? Anche qui, l’idea chiave è la stessa: «Far irrompere la partecipazione anche dentro la discussione, lo scontro sul programma». Tenendo presente che esiste un doppio vincolo, «un abbraccio reciproco». Prodi s’è affermato come leader riformista ma s’è anche affermato come interprete del bisogno d’unità. E quindi il vincolo verso l’Unione vale per Rifondazione ma vale anche per Prodi verso il Prc.

Far pesare la partecipazione nel percorso che porterà al programma. Fin dove? Bertinotti immagina uno schema per il quale ci sia il grosso delle proposte condivise, altrimenti non avrebbe senso un’alleanza. Ma su alcuni punti, dove la mediazione e la discussione non permettessero di arrivare ad un’intesa, si potrebbe pensare ad una forma di consultazione. Tipo primarie. Col voto, insomma. Un compito che neanche Bertinotti spaccia per «facile». Nessuno, insomma, se ne nasconde le difficoltà ma anche le opportunità.

I compiti, dunque, sono così delineati: battaglia sul programma e contemporaneamente avviare la costruzione della sinistra d’alternativa. Due obbiettivi che non sono in contraddizione fra di loro, proprio perché il rischio maggiore che vede Bertinotti è quello del neocentrismo. Lui dirà che «la grande coalizione tedesca» ha messo fine alla logica dell’alternanza, imposta dai potentati che volevano scegliere fra due schieramenti simili fra di loro. Oggi, il neoliberismo sembra puntare con decisione alla riaggregazione di un grande centro. Ipotesi che bussa anche alla porta del nostro paese. Per ora, però, non ha trovato una fessura in cui entrare, ma il rischio c’è, ed è forte.

E lo si batte solo attrezzando una forte sinistra d’alternativa. Sinistra che sia in grado anche di combattere una battaglia politica e culturale contro il nascente partito democratico, quel rassemblement moderato verso cui sembrano tendere diesse e Margherita. Ma tutto ciò non ha nulla a che fare con l’aggregazione dei due partiti in una lista unitaria per le elezioni del 2006. «Sul progetto di una lista simil-Ulivo dovremo avere un atteggiamento di non belligeranza. Ci interessa che la coalizione abbia unità e capacità di attrarre l’elettorato. Come si realizza è cosa da guardare con attenzione e rispetto».

Ma tra non belligeranza sul simil-Ulivo e non neutralità, non c’è contraddizione? La risposta: «Sono rimasto impressionato da quanto ha scritto Fassino sul Corriere quando sostiene che non si debba scegliere tra essere socialisti o kennedyani. A parte la simmetria tra i due concetti, colpisce la totale cancellazione della dimensione europea. Saremmo l’unico paese nel vecchio continente ad avere un partito che si chiama democratico, mentre gli altri si chiamano tutti socialdemocratici. In questo modo il termine sinistra verrebbe del tutto abbandonato». Ed è un problema che riguarda tutti, Prc compreso.

Resta da dire della parte parte della relazione che Bertinotti ha dedicato alla vita interna del partito, al rapporto con le minoranze. Per constatare che «le primarie hanno accresciuto le distanze. Ci sono episodi significativi che manifestano un rischio di estraneità», di reciproca incomunicabilità all’interno del partito. La soluzione? E’ sempre lì: nella scelta che deve essere condivisa di far leva sulla partecipazione per gli appuntamenti che sono davanti alla sinistra.

Una lettura che non convince tutti. Salvatore Cannavò, uno dei primi a parlare, esponente della «sinistra critica» (quella che si chiamava la IV mozione). Nega che le componenti siano state indifferenti alla battaglia sulle primarie, racconta fatti e aneddoti che testimoniano quanto tutto il partito si sia sentito chiamato in causa. Tutto il partito, lui stesso s’è sentito impegnato. Sulle primarie, verso le quali, pure, nutriva molti dubbi. Nessuno sottavaluta - dice - la forza e l’importanza della partecipazione, soprattutto se si esprime con quei numeri. Ma è sull’analisi del risultato che non è d’accordo: per lui, se l’obiettivo era fare «un’incursione» fra le fila del centrosinistra per spostarne a sinistra l’asse, non si può dire «missione compiuta».

Perché oggi l’area riformista è più forte, addirittura autosufficiente.
E che si riparte da una posizione più difficile, più arretrata lo dirà anche Alberto Burgio, esponente della seconda mozione. Secondo il quale le difficoltà sono cresciute proprio perché si è scelto un terreno, le primarie, che non poteva modificare i rapporti a favore della sinistra. Ma Burgio dice di più. E rivela di avere molte perplessità sull’indicazione per le «primarie di programma». Avverte, insomma, il rischio che alcune proposte chiave possano essere sconfitte. Con un partito che nel frattempo s’è legato con vincoli troppo forti all’Unione.

E ancora. L’esponente di un’altra minoranza, Marco Ferrando, di Progetto comunista, ha spiegato che per lui il problema non è lo strumento, le primarie. Per lui la questione è che questa consultazione s’è svolta all’interno del progetto politico del centrosinistra. Il risultato è stato che dopo il più forte movimento sociale degli ultimi trent’anni, ne è uscito vincente Prodi. L’esponente del mondo imprenditoriale e bancario che si è trovato sempre «dall’altra parte della barricata in questi anni». E non c’è alternativa, allora, alla rottura del patto con l’Ulivo.

In Rifondazione si discute così. Molti replicano: Caprilli all’assemblea proporrà una semplicissima domanda: «Ma dove saremo se non avessimo accettato la sfida delle primarie?»; altri, come Alfonso Gianni replicheranno che «è vero che hanno votato due banchieri ma è anche vero che hanno votato decine di migliaia di bancari. Magari gli stessi che 5 anni fa fecero vincere la destra».

Si discute così ma tutti - a cominciare dal segretario - diranno che i toni stavolta sono stati pacati. Civili.

E che soprattutto c’è un impegno unitario a costruire, nel sociale, le condizioni per l’alternativa. Con un’unica raccomandazione. Quella che farà di nuovo Bertinotti nelle conclusioni: «Smettiamolo di provare ad interpretare quel che accade con schemi antichi. Non dobbiamo aver paura di misurarci con ciò che è spurio». Ieri le primarie, domani la battaglia sul programma, dopodomani con quel che accadrà.

http://www.liberazione.it/giornale/051022/LB12D6D4.asp