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CINEMA - Una rosa tra i nazisti di Marc Rothemund - I "disobbedienti" tedeschi del 1943

Publie le giovedì 27 ottobre 2005 par Open-Publishing

Dazibao Cinema-video - foto

Il regista Rothemund racconta il suo film sugli ultimi giorni di Sophie Scholl, eroina della resistenza contro Hitler

di IRENE ALISON

21 anni per crescere negli ideali «insani» di libertà e di giustizia e 8 secondi e mezzo per morire - dopo sei giorni di interrogatorio e processo-farsa - decapitata dalla ghigliottina dei nazisti.

Sophie Scholl, unica donna tra gli studenti "disobbedienti" della Rosa bianca e protagonista del film di Marc Rothemund (La rosa bianca Sophie Scholl, nelle sale da venerdì) è l’eroina di una resistenza ostinata e sommersa nella Germania del Führer, corpo di giovane donna che non si piega alle leggi della svastica e sorriso testardo che sfida il potere.

Dei sei, ultimi, giorni della sua vita - dal 17 al 22 febbraio 1943 - La Rosa bianca è il minuzioso diario, che accompagna Sophie - arrestata mentre con il fratello Hans distribuisce volantini pacifisti e anti-nazisti all’università di Monaco - verso la fine.

Lei, occhi accesi e guance in fiamme di Julia Jentsch (premio per la miglio attrice alla Berlinale 2005, dove il film ha ricevuto anche l’Orso d’argento) è una piccola macchia rossa in una Germania buia, respiro vitale di una generazione che, oltre ad applaudire in piazza i fantocci del Reich che chiedono alle studentesse di regalare alla patria figli da mandare al fronte, sa anche lottare contro i padri: ispettori, gerarchi e giudici deliranti e ciechi dietro ai loro scranni, le loro grottesche uniformi, le loro illusioni di vittoria.

Alla vigilia della fine (il film è ambientato nei giorni della disfatta di Stalingrado, non molto tempo prima di quella inarrestabile Caduta raccontata dal film di Oliver Hirschbiegel) qualcuno si azzarda ancora a sognare e a parlare «di cose che non esistono» (così dice a Sophie il suo accusatore) come rispetto per gli uomini, pace, libertà di esprimere le proprie idee.

«Non una santa ma una giovane donna che ha dimostrato un grande coraggio civile», la descrive il regista Marc Rothemund, che , insieme allo sceneggiatore Fred Breinersdorfer, ha composto - grazie allo studio dei verbali degli interrogatori della Gestapo (resi pubblici nel 90) e delle lettere e diari di Sophie - il ritratto di un'eroina che sa piangere, mentire per salvarsi e poi andare a morire dicendo «sono fiera di quello che ho fatto, rifarei tutto». Tutto per la voglia di raccontare una storia - quella della resistenza antinazista tedesca - dalla Storia accantonata e sommersa. «Gli altri paesi hanno sofferto troppo a causa della Germania per trovare lo spazio per ricordare la resistenza tedesca - dice Rothemund - e , in Germania, è dovuto passare molto tempo dopo la seconda guerra mondiale perché si risvegliasse l'interesse per l'analisi di quel momento storico. Lo stesso governo ha fatto resistenza contro la realizzazione di film ambientati in quel periodo, nel timore che rivangassero un passato sul quale si voleva stendere il velo della riconciliazione. Basti pensare che nell''81, quando Verhoeven girò La rosa bianca, le sentenze del Tribunale del popolo che avevano condannato Sophie e gli altri avevano ancora valore legale. Solo nell''85 sono state annullate. Anche per questo noi abbiamo oggi la responsabilità di mantenere viva la memoria». Una memoria già illuminata, oltre che da Verhoeven, anche da Percy Adlon ne I cinque ultimi giorni ('82), che però, secondo Rothemund - nato nel68 - ha delle sfumature diverse per l’ultima generazione di registi: «I nostri nonni - spiega - hanno avuto la coscienza così sporca da non riuscire a raccontare la storia ai propri figli.

Noi, la generazione dei nipoti, siamo gli ultimi ad avere la possibilità di rivolgere delle domande ai testimoni dell’epoca e abbiamo il dovere di capire e ricordare ciò che è accaduto. Quello che ci differenzia dal cinema dei nostri padri è il tentativo di approfondire, nell’analisi del passato, una dimensione emozionale più che direttamente politica, perché è attraverso l’emozione che oggi si possono risvegliare le coscienze».

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