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Operatori militari dell’igiene mentale in Iraq

Publie le domenica 11 dicembre 2005 par Open-Publishing
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Dazibao Guerre-Conflitti

Curare o mettere una pezza?

di Stephen Soldz

Le questioni etiche sono prima sollevate e poi messe da parte da questi operatori che, dopo tutto, sono coinvolti prima di tutto nello sforzo bellico.

Il Wall Street Journal ha pubblicato un articolo sul ruolo dei professionisti dell’igiene mentale nel trattare i traumi di guerra in Iraq [Therapists take on soldiers’ trauma in Iraq]. Le forze armate hanno compreso come questi professionisti possono aiutare lo sforzo bellico ed ha aumentato il loro numero pro capite. Piuttosto che cercare il miglior trattamento per aiutare i soldati traumatizzati per riprendersi dalle loro orribili e stressanti esperienze, questi professionisti cercano di rimettere in piedi i soldati quel tanto che basti perché tornino a combattere.

Come l’articolo illustra nel suo paragrafo di apertura:

"Il sottotenente Maria Kimble, operatrice di igiene mentale dell’esercito, dirige un team di counseling di due persone all’esterno di un piccolo ufficio di legno qui. Come parte di un "distacco da stress di combattimento", il suo lavoro consiste nell’aiutare i soldati a far fronte all’orrore del campo di battaglia — così che possano tornarvi i più presto passibile."

Le questioni etiche sono prima sollevate e poi messe da parte da questi operatori che, dopo tutto, sono coinvolti prima di tutto nello sforzo bellico:

"’Ci sono molte questioni etiche in gioco,’ dice il colonnello Levandowsky. ’Il giuramento che io pronunciai come medico diceva di non recare danno’, egli dice. ma ’In fin dei conti, dobbiamo portare avanti una guerra.’"

Chiaramente il miglior interesse del paziente è solo uno dei fattori, nella migliore delle ipotesi, presi in esame da questi operatori:

"’Io soffro per questi uomini," dice il colonnello Levandowsky. ’Ma se mandi troppi (soldati) a casa, i rischio è che il disagio psichico verrà visto come un biglietto per andarsene di qui.’"

Il successo è misurato sia dal ritorno in combattimento del soldato che dal suo sentirsi meglio. Parlando del trattamento per un soldato che ha assistito a scene di bombardamento: "

"Il sottotenente Kimble dice che la sua condizione è stazionaria. ’Chiunque abbia a che fare con disordini da stress post traumatico dovrebbe avere un ambiente calmo e sicuro, e non dover tornare a tali traumi,’ lei dice. Comunque il sergente Parkinson probabilmente finirà il suo termine di servizio, che scadrà in primavera. Secondo gli standard dell’Iraq, il sottotenente Kimble dice che è un successo."

Dal momento che questi professionisti dell’igiene mentale danno maggiore priorità ai bisogni di personale delle forze armate che ai bisogni dei soldati che hanno in cura, questo "trattamento" solleva serie questioni etiche. In base ad interpretazioni di senso comune, il trattamento è in contraddizione con i codici etici della maggior parte delle professioni dell’igiene mentale. Pertanto, il codice etico dell’American Psychological Association dice:

"Gli psicologi fanno del loro meglio per aiutare quelli con cui lavorano e stanno attenti a non danneggiarli. Nelle loro attività professionali, gli psicologi cercano di salvaguardare il benessere e i diritti di quelli con cui interagiscono professionalmente e le altre persone interessate, e il benessere degli animali sottoposti a ricerca. Quando interviene un conflitto tra gli obblighi e le preoccupazioni degli psicologi.."

Certamente, rispedire un soldato traumatizzato a combattere dove può subire nuovi traumi non soddisfa la condizione del "non danneggiarli". La American Psychological Association esenta quelli il cui lavoro richiede loro di compiere violazioni della sua etica, se lo psicologo intraprende passi per risolvere il conflitto tra ordini e il Codice Etico. Gli psicologi che sono in Iraq hanno intrapreso questi passi? Ne dubito.

La American Psychological Association prevede Principi di etica medica con annotazioni speciali applicabili alla psichiatria. Questi principi dicono chiaramente che un medico "deve riconoscere una responsabilità prima di tutto verso i pazienti." Stabilisce inoltre che "un medico considererà la responsabilità verso il paziente che ha in cura come prioritaria..." In casi di conflitto tra la legge e i migliori interessi del paziente, "Un medico rispetterà la legge ed anche riconoscerà una responsabilità per cercare cambiamenti a quelle richieste che sono contrarie ai migliori interessi del paziente." I medici militari hanno fatto fronte alle proprie responsabilità di "cercare cambiamenti" nelle politiche che possono rispedire soldati traumatizzati in combattimento? Come l’articolo del Wall Street Journal indica, la risposta è in genere "no."

Il codice etico della National Association of Social Workers va oltre l’APA nel prescrivere ai suoi membri di rendere noto agli assistiti ogni conflitto tra i loro interessi e gli interessi di altre organizzazioni come le forze armate. Il codice dice che la "responsabilità primaria degli assistenti sociali è promuovere il benessere degli assistiti." Comunque, il codice riconosce conflitti potenziali tra lealtà all’assistito o "specifiche obbligazioni legali o sociali." Comunque, in caso di tali conflitti, "gli assistiti dovrebbero essere informati." C’è da chiedersi quanto spesso gli operatori di igiene mentale delle forze armate consigliano i soldati che la loro principale lealtà va all’esercito e non ai singoli soldati che hanno in "cura". Fanno sapere ai soldati che la loro salute ha importanza solo in vista del ritorno del soldato alla sua unità? Probabilmente no.

E’ interessante che mentre il codice degli assistenti sociali stabilisce che suoi membri "rispettino e promuovano i diritti degli assistiti all’autodeterminazione ed aiutino i soggetti nei loro sforzi ad identificare e chiarire i propri obiettivi", esso prosegua dicendo:

"Gli assistenti sociali possono limitare il diritto dell’assistito all’autodeterminazione quando, nell’opinione del professionista dell’assistenza sociale, le azioni dell’assistito o potenziali azioni pongano un serio, prevedibile, ed imminente rischio verso egli stesso o altri."

C’è da chiedersi quanti assistenti sociali nelle forze armate, come il sottotenente Kimble nell’articolo del Wall Street Journal, abbiano mai considerato che rimandare un soldato a combattere "ponga un serio, prevedibile, ed imminente rischio verso egli stesso o altri." Certamente, rimandare in una posizione dove sei a rischio di morire o essere ferito costituisce un rischio a sè. Inoltre, tenere un soldato traumatizzato nelle strade iraqene deve spesso "porre un serio, prevedibile, ed imminente rischio verso altri." Forse che alcuni dei soldati che ai posti di blocco avevano aperto letalmente il fuoco su civili erano stati rispediti in combattimento dopo essere stati "curati" con un trattamento di "distacco da stress di combattimento?" Inoltre altri soldati possono essere esposti a rischio dall’avere un commilitone a fianco ossessionato da ricordi o incubi dei precedenti orrori.

[Scrivendo a proposito del codice degli assistenti sociali, io non intendevo criticare la loro Associazione Nazionale, che ha preso fortemente posizione contro la guerra dal principio. Vedi la loro Lettera al Presidente Bush del 7 Ottobre, 2002, il loro documento Un’eredita di pace; il ruolo della professione di assistente sociale, e, nel 14 Maggio, 2004, la loro intensa Lettera al Senatore Warner, membro della commissione delle Forze Armate del Senato, in protesta contro gli abusi sui prigionieri di guerra. Magari le altre associazioni nazionali di igiene mentale, come la American Psychological Association o la American Psychiatric Association, avessero assunto posizioni del genere.]

Questi codici etici sono vincolanti solo per i membri delle organizzazioni che le promulgano. Se alcuni dei professionisti dell’igiene mentale che stanno servendo in Iraq sono membri di queste organizzazioni, ne sono tecnicamente soggetti. Per esempio se il sottotenente Maria Kimble è un membro dell’associazione nazionale degli assistenti sociali, lei sarebbe soggetta al suo codice, sotto pena di espulsione. Comunque, si considera che questi codici stabiliscano standard etici per la professione in generale.

Io non sono un grande sostenitore di codici etici, visto che essi frequentemente hanno caratteristiche burocratiche volte a preservare la professione dalla cattiva pubblicità o dall’aumento di regolamentazione, piuttosto proteggere realmente il pubblico. Comunque, avendo adottato questi codici, un segno del fatto che vengono presi seriamente da queste organizzazioni professionali sarebbe prendere iniziative contro palesi violazioni da parte di coloro che dipendono da forti organizzazioni, come le forze armate.

Oltre alle posizioni dell’Associazione Nazionale degli assistenti sociali su menzionate, queste organizzazioni si sono sentite obbligate a prendere posizione contro gli abusi di Abu Ghraib, e in risposta alla partecipazione di psicologi negli abusi di Guantanamo, la American Psychiatric Association ha annunciato che gli psichiatri non dovrebbero mai prendere parte ad interrogatori coercitivi, mentre la American Psychological Association si è inchinata ai potenti ed ha preso una posizione più blanda, affermando "gli psicologi non dirigono, sostengono, facilitano o addestrano alla tortura o al crudele, inumano, o degradante trattamento", ma, come il governo degli Stati Uniti, questa affermazione è ben attenta ad evitare di definire il "crudele, inumano, o degradante trattamento".

A mia conoscenza, nessuna di queste maggiori associazioni professionali ha affrontato in modo diretto gli ovvi conflitti etici dei professionisti dell’igiene mentale che aiutano le forze armate a recare un temporaneo sollievo ai soldati al solo scopo di rimandarli in combattimento, sotto potenziale minaccia di ulteriore ferita mentale e/o fisica. Se da un certo punto di vista è improbabile che queste organizzazioni mordano la mano che le nutre ed affrontare direttamente l’esercito — del resto la American Psychological Association ha una divisione di psicologia militare dal 1945 — i progressisti potrebbero esercitare pressioni su queste organizzazioni perché richiedano ai loro membri nell’esercito di stare dalla parte dei soldati, nelle loro multiple e conflittuali lealtà. I veterani e le organizzazioni dei dipendenti governativi possono informare i soldati circa le doppie lealtà di quelli che offrono loro "aiuto". Queste organizzazioni, e i professionisti dell’igiene mentale, possono contribuire a creare organizzazioni alternative, indipendenti dalle forze armate, per aiutare i soldati traumatizzati quando tornano a casa. A parte questo, rimane il compito per i movimenti pacifisti, e la cittadinanza in generale, per combattere contro le guerre che creano questi conflitti etici.

Documento originale To heal or to patch?
Traduzione di Gianluca Bifolchi
Stephen Soldz (email: ssoldz@bgsp.edu) è uno psicanalista, psicologo, ricercatore di salute pubblica, e membro di facoltà all’Istituto per gli Studi sulla Violenza della Boston Graduate School di psicanalisi. E’ un membro del Roslindale Neighbors for Peace and Justice e fondatore di Psychoanalysts for Peace and Justice. Gestisce la pagina web di Iraq Occupation and Resistance Report, e il blog Psyche, Science, and Society.

http://www.zmag.org/Italy/soldz-curareopezza.htm


http://www.edoneo.org/

Messaggi

  • La guerra porta solo un apertura della violenza interiore di chi combatte, non c’è mai un accordo che porti ad una missione di pace per stabilire una democrazia. La guerra non è altro che un altro modo di portare avanti la politica puntando ad avere ragione. Durante le guerre escono le pulsazioni più estreme della violenza che si nascondono dentro l’indole umana, ovvero il genocido. Più si è covinti della guerra giusta e più passiamo dalla parte del torto commettendo violenze inaudite, perchè l’animo umano di fronte alla reiterazione degli atti violenti non conosce limiti ma espansioni.

    RINALDO SIDOLI
    SIDOLI.ORG