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21 marzo 1970 - "duemila giovani si drogavano sul barcone". Il caso assurdo del barcone sul Tevere

Publie le sabato 4 febbraio 2006 par Open-Publishing
3 commenti

Dazibao Manifestazioni-azioni Cinema-video - foto Storia

FILOMENA E ANTONIO Se la droga è un sistema di attacco politico

di ROBERTO SILVESTRI

C’era un volta dell’ottimo afghano nero e libanese verde che non faceva del male a nessuno. Anzi. Ma il 21 marzo 1970 il nucleo (anti) droga dei carabinieri guidato dal generale Servolini del Sid arresta in un barcone sul Tevere 90 persone. Il quotidiano romano il Tempo, aizzato dall’attuale premier ombra Gianni Letta a superare ogni record di malainformazione e fanatismo anticomunista, si scatena: "duemila giovani si drogavano sul barcone", titola la pagina di cronaca. Fini, poverino, ne sarà traumatizzato per sempre.

Carabinieri e fascisti - sulla scia del «caso Braibanti» e del «caso Valpreda» - fabbricano un’altra cattedrale di menzogne, il caso «barcone del Tevere», gran covo di spaccio di sostanze sovversive come hashish e marijuana. In sei mesi escono diecimila articoli, sempre più superficiali e disinformati, sulla droga (anche sull’Unità e su Paese Sera, che il «movimento» decide così di espellere per sempre dal proprio «quotidiano»).

Un mese dopo il Tempo scopre il mandante e scrive: «la droga di stato cinese invade il mondo occidentale. Non è un’organizzazione criminale qualunque a tessere le fila, ma una potenza mondiale. La Cina comunista». Peccato che, senza nessun clamore mediatico, al termine delle indagini della magistratura, molti mesi dopo, Mao sarà scagionato interamente, almeno da quel crimine.

Tutti assolti, i ragazzi. C’era solo mezzo grammo di hashish nel depravato barcone... Ma di cattivi in questo film, che ha per eroi buoni due tossici finiti nella trappola, e ne racconta la tragedia vera, ce ne sono altri: certe famiglie contadine dell’Abruzzo e la dc locale che ne compra i voti come i feudatari di una volta; le suore degli orfanotrofi; la Volkswagen che eccelle nello sfruttamento primitivo degli emigranti sud-europei e in particolare italiani; la piccola industria italiana dell’epoca che dà prova di pessimo uso della ricezione operaia per sviluppare la ricerca e ottimizzare i profitti; l’industria farmaceutica nazionale che, nonostante i richiami dell’Onu, diffonde, senza scrupoli anfetamine a basso costo (simpamina e metedrina), proibite in Svezia da cinquant’anni, «psicostimolanti molto tossici che determinano assuefazione, spingono a aumentare le dosi e se usati per molto tempo uccidono».

Insomma c’è un sistema occulto di potere, protetto da stato, grande criminalità e mafia, che lancerà contro il sistema antagonista un nuovo prodotto, «l’eroina». E rastrellerà quelle migliaia di miliardi e miliardi di lire con le quali acquistare in futuro città, televisioni, stampa, revisione della Costituzione, squadre di calcio, palazzo Chigi...

Oggi alle 22.15 a Roma, Forte Prenestino (Centocelle, via Federico Delpino) manifestazione di protesta contro l’approvazione della nuova «legge Fini». Parteciperanno Donatella Barazzetti, Giuseppe Bortone e Luigi Manconi. Verrà proiettato il documentario, indignato e struggente, che ci racconta tutte queste cose. È stato realizzato per la Rai nel 1976 da Antonello Branca, consulente Guido Blumir. Filomena e Antonio è uno dei più illuminanti film sul «sistema droga» in Italia e sul suo uso politico antiproletario.

Viene ripresentato al pubblico per la seconda volta, dopo il ritrovamento e il restauro, e racconta in un’ora l’odissea tragica di due ventenni non riconciliati (e di origine operaia) dell’epoca, usciti a fatica dall’ebbrezza esiziale dell’eroina, che spiegano come la droga assuefante entrò pesantemente nella loro vita, soprattutto a Milano. E come la soluzione delle comunità terapeutiche in campagna (composta solo da ex tossici) non è la soluzione del problema. Quando il documentario andò in onda nel programma di Scarano Scatola aperta, sulla Rai, suscitò un vespaio di polemiche e reazioni violente da parte dell’Arma dei Carabinieri. Speriamo che si ripetano.

http://ilmanifesto.it/Quotidiano-ar...


http://www.edoneo.org

Messaggi

  • "Andare a vivere in città ha fatto di me prima un vagabondo poi un ladro:c’era ancorea nell’aria il 68 e tanta ribellione, i miei amici furono subito le puttane e i figli di puttana, gli anziani e i ladri e ho scoperto la droga.Mi hanno arrestato nel 1994, avevo 38 anni: per spaccio di droga ho preso 11 anni, ma dopo poco ho dovuto fare un altro processo per una serie di bustine grazie a dei pentiti, per un totale di 17 anni e sei mesi."
    Sono le parole del mio amico Sisto Rossi, oggi nel carcere di Viterbo, deve scontare altri tre anni e mezzo.Oggi ha 49 anni, è tornato a Viterbo da dove era partito.
    A Capranica è notizia di pochi giorni fa l’arresto di traffico per eroina di otto persone. Nord centro sud, l’erba ne circola poca, e si va sul pesante...
    Sisto era un pesce molto piccolo negli anni 70 a Milano, io ero a Roma e quel barcone, diventò un simbolo, un tabù...La "gioventù bene e perbene" è sempre stata lontana dai barconi. Altri erano i luoghi, altre le possibilità, altri i rimedi: ieri come oggi.
    Doriana

  • Anche io ricordo benissimo la storia del "barcone" sul Tevere.

    All’epoca ( anche se a me sembra si trattasse del 1969 e non del 1970) avevo 15 o 16 anni e frequentavo il Liceo Dante, sito in prossimita’ dello stesso "barcone", e ricordo bene che la vicenda, anche se non vi fu implicato nessuno studente del Dante, fece un enorme scalpore.

    Il quotidiano "Il Tempo", allora diretto dal massimo consigliere attuale di Berluskoni, Gianni Letta, e al quale collaboravano fior di giornalisti neonazisti ( da Pino Rauti a Guido Paglia, ora dirigente Rai dopo essere stato alla corte del Cragnotti dello scandalo Cirio, fino a quel Guido Giannettini, agente Sid implicato) mise in piedi una incredibile montatura giornalistica tesa a colpire i movimenti studenteschi.

    In realta’ il "barcone" non aveva nulla di "politico", era un posto dove di mattina si recavano molti studenti che marinavano la scuola, dove si ballava, ci si incontrava e niente piu’.

    E la stragrande maggioranza dei frequentatori era del tutto estranea ai movimenti politici, si trattava al massimo di ragazzi influenzati dalla cultura beat o hippie ( anche se va detto che un confine netto tra queste culture frikkettone e il mondo, formalmente piu’ "serioso", dei militanti di sinistra non c’è mai stato, nemmeno negli anni successivi e che anzi il successivo 1977 sara’ influenzato in modo paritario da tutte e due le tendenze).

    Ma si trattava soprattutto di giovani "normali" che avevano trovato un posto dove passare qualche mattinata per stare insieme, conoscere altri giovani e, perche’ no, "rimorchiare".

    Alla fine usci’ fuori che soltanto una delle persone fermate dalla polizia, peraltro un non piu’ giovanissmo hippie, mi sembra tedesco, aveva addosso una minima quantita’ di "erba", cosi’ minima che non sarebbe stato punibiile nemmeno oggi, ai sensi della famigerata legge Fini.

    Ma tant’e’, il fine de "Il Tempo" e delle stesse forze dell’ ordine era un altro, quello di creare uno "scandalo" inesistente da utilizzare a fini politici.

    Questo episodio, cosi’ insignificante dal punto di vista legale, e’ pero’ sintomatico di un certo modo di agire della destra di allora, non solo di quella politica ma soprattutto di quella annidata negli apparati dello stato, la stessa che nello stesso periodo mise in piedi la montatura, per Piazza Fontana, contro Valpreda e gli altri anarchici e contro la sinistra in genere.

    Quando invece per Piazza Fontanafinirono poi sulbanco degli accusati e anche in galera proprio due giornalisti de "Il Tempo", Rauti e Giannettini.

    E il ricorrere ancora oggi dopo 35 anni, nella destra attuale, di alcuni personaggi ( i gia’ citati Letta, Paglia, Rauti, quest’ultimo ora candidato nelle liste di Forza Italia) invita ad una forte riflessione.

    Keoma