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CAPOTE (A sangue freddo) - Divo a New York e alieno nel Kansas

Publie le lunedì 13 febbraio 2006 par Open-Publishing

Dazibao Cinema-video - foto

di Elisa Giulidori

Truman Capote è stato uno scrittore, uno sceneggiatore,un drammaturgo, un esponente di spicco del jet set, una delle personalità più originali e acute del suo tempo.

Questo film non vuole mostrarci la sua biografia, dalla difficile infanzia fino alla morte, passando dai successi all’alcolismo, questo film ci restituisce l’anima di un uomo, con le sue luci, le sue ombre e le tante contraddizioni con cui si deve convivere.

La bellissima sceneggiatura di Dan Futterman si concentra sulla genesi di "A sangue freddo".

1959, Truman Capote ritaglia dall’ultima pagina del New York Times la notizia del brutale omicidio della famiglia Cutters, facoltosi coltivatori del Kansas. La sua idea è quella di indagare le reazioni della piccola comunità agricola di fronte ad un delitto tanto efferato.

L’incontro con i due criminali, Perry Smith e Dick Hickock, fa intuire a Capote le potenzialità della storia; non più un semplice articolo ma un libro innovativo, il primo "no-fiction novel", in cui usare le tecniche del romanzo per raccontare fatti reali, dove mostrare lo scontro tra due Americhe, quella sicura e protetta dei Cutters e quella violenta e amorale dei suoi assassini.

Anche il film mostra due Americhe diametralmente opposte: quella moderna e chiassosa di New York e quella bucolica e rurale del Kansas; nella prima Capote è una star, con i suoi modi eccentrici e i vestiti eleganti, nella seconda è un alieno, a cui nessuno vuol rivolgere la parola. Dovrà limitarsi a guardare da lontano mentre Harper Leigh, autrice di "Il buio oltre la siepe" e sua amica d’infanzia, prende contatto con la gente del posto.

Questo suo essere diverso gli permette di provare empatia per Perry: "E’ come se io e Perry fossimo cresciuti nella stessa casa. E un giorno lui è uscito dalla porta sul retro e io da quella davanti".

Il desiderio di aiutarlo, di non mostrarlo come un mostro bensì come un essere umano, è autentico. Ma più il libro prende corpo ed aumenta d’importanza, ("Qualche volta, quando penso a quanto potrebbe essere grande, mi manca il respiro"), più Perry diventa uno strumento da usare e da sfruttare. E alla fine Capote non vede l’ora che venga giustiziato, per poter finalmente terminare il suo lavoro. Questo sentimento lo devasta, si rende conto di essere un approfittatore e di essere completamente sincero solo verso la sua arte.

E’ bellissima la scena in cui Perry mostra a Capote la notizia della lettura pubblica che il romanziere ha dato a New York per presentare la prima parte del libro. Perry si sente tradito, più volte Truman gli aveva assicurato di non aver ancora seriamente incominciato la stesura del testo. Lo scrittore rimane imperturbabile ma la telecamera sfuoca appena il suo viso, dentro Capote ci dev’essere l’inferno: se Perry non vorrà più collaborare, il suo libro sarà finito.

E’ questo movimento quasi impercettibile della camera che ci restituisce l’animo del protagonista, il regista ha lavorato per sottrazione, per dare rilievo alle sfumature più impercettibili della vicenda, sottolinea solo alcuni momenti fondamentali ma la responsabilità di farci vivere la deriva dello scrittore è lasciata tutta all’interpretazione di Philip Seymour Hoffman e l’attore supera se stesso, non è solo perfetto nelle movenze, nel tono particolarissimo della voce di Capote, è la profondità delle sensazioni che sa esprimere a colpire al cuore lo spettatore, non gigioneggia, quasi non si muove eppure esprime tutto il mondo interiore di Capote.

La frase: "E’ come se io e Perry fossimo cresciuti nella stessa casa. E un giorno lui è uscito dalla porta sul retro e io da quella davanti".

http://filmup.leonardo.it/capote.htm


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