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Il Cavaliere all’ultimo assalto

Publie le giovedì 23 marzo 2006 par Open-Publishing

Dazibao Governi Elezioni politiche 2006

Verso il voto contro tutti, il Cavaliere all’ultimo assalto

di Curzio Maltese

Con l’avvicinarsi di una sconfitta annunciata, almeno dai sondaggi, il berlusconismo tira fuori il peggio, estrae dal vaso di Pandora il lato più oscuro e pericoloso, eversivo e distruttivo. Si dirà che è una strategia.

Anche oggi il premier ha conquistato la prima pagina. Ma dove s’è visto un capo di governo che parla della vittoria dell’opposizione come di un’"emergenza democratica", ferma l’auto blu per apostrofare un passante colpevole d’averlo contestato, corre a un’assemblea d’industriali per insultarne i vertici? Può far ridere e può far paura. Forse più paura perché al voto mancano ancora tre settimane e l’uomo più potente d’Italia ha già dato ampia prova di essere disposto a qualsiasi cosa, qualsiasi davvero, pur di non accettare l’idea che gli italiani siano semplicemente stanchi di lui.

Il Cavaliere descrive l’opposizione con un linguaggio da estremista di destra, fa appello ai luoghi comuni di una sottocultura reazionaria che mescola suggestioni da ’48, maccartismo di provincia, toni sudamericani, più la lezione dell’unica sua vera scuola politica, la P2.

È inevitabile indignarsi ma è più importante cercare di capire la logica dell’ultimo assalto, gli effetti che può ottenere fino al 9 aprile e oltre.

Il primo risultato è l’aver trasformato la prossima elezione, più d’ogni altra del decennio, in un referendum pro o contro Berlusconi. Più che il ’48, andrebbe citato il ’46, il referendum fra monarchia e repubblica. Dopo una campagna come questa, con un’eventuale vittoria il premier diventerebbe il padrone del Paese, assai più di quanto non sia stato negli ultimi cinque anni.

Questa sì sarebbe un’autentica "emergenza democratica". Ma anche nel caso di sconfitta, il signore di Arcore rimarrebbe il padrone assoluto dell’opposizione e di metà Parlamento.

Avrebbe così una buona trincea per continuare a difendere i propri giganteschi interessi. In questo senso l’ultimo assalto di Berlusconi dovrebbe preoccupare più i suoi alleati che i suoi avversari. Per Romano Prodi l’estremismo del rivale può essere un vantaggio ed è sicuro che il Professore lo considera tale.

I toni da guerra civile spaventano l’elettorato moderato che, per quanto minoritario in Italia, spesso decide vittorie e sconfitte. Quanto più Berlusconi cerca lo scontro, la divisione, la simulazione di guerra civile, tanto più Prodi accentua la sua immagine pacifica, costruttiva, di grande unificatore, e moltiplica gli appelli all’interesse generale della nazione rispetto alle sfide internazionali. Ora, fra l’Italia spaccata dell’uno fra "rossi" e "neri" o blu e l’Italia riunificata dell’altro, non vi è dubbio che la seconda sia un’immagine più attraente. Berlusconi punta sul "tanti nemici, tanto onore", efficace sul suo elettorato più nostalgico e vittimista ma estenuante per gli altri che ogni giorno vedono allungarsi il fronte dei nemici mortali e la teoria dei complotti, dai magistrati ai centri sociali, dalle cooperative ai proprietari del Corriere, dalla Cgil ai vertici di Confindustria, dai poteri forti all’ultimo scrutatore di seggio, tutti collegati da un filo rosso.

Prodi vanterà forse troppi amici ma la sua visione della società italiana e dei suoi problemi, nel confronto con la paranoia dell’altro, risulta assai più realistica e sensata. Almeno un pezzo di società, che vota guardando le proprie tasche più che la televisione, è stanca di teatrini e assai preoccupata per il futuro economico.

Con i toni da guerra civile di questa campagna elettorale, Berlusconi ha insomma poche possibilità di distruggere la sinistra, come sembra proporsi. Ha piuttosto ottime possibilità di distruggere la destra. Allontana o chiude la speranza che un’eventuale sconfitta della maggioranza possa inaugurare una stagione politica davvero nuova, con l’avvento di una destra finalmente europea, non più legata al carro anomalo del conflitto d’interessi. Con questa campagna, comunque vada a finire il voto, il Cavaliere ha chiarito di voler rimanere al centro della scena dopo il 10 aprile, ben deciso a stroncare ogni ipotesi di successione.

Sarà il padrone dell’Italia oppure il padrone dell’opposizione, ma sempre un padrone. Gianfranco Fini e Pierferdinando Casini, che s’illudono di guidare a destra il dopo Berlusconi, hanno provato a contrastare l’impostazione "referendaria" dell’alleato. Ma ora hanno chinato la schiena davanti alla campagna ad personam come l’hanno piegata ogni volta per cinque anni davanti alle leggi ad personam.

All’orizzonte della destra non c’è alcun dopo Berlusconi.

C’è forse un leader che la sera del 10 aprile sbraita di brogli elettorali.

C’è forse un capo dell’opposizione pronto a bloccare i lavori parlamentari alla prima proposta di legge sul conflitto d’interessi o di riforma televisiva.

C’è di sicuro l’ultima rata del pesante mutuo che l’Italia sta pagando da dodici anni al fatto di avere al centro della propria vita pubblica un colossale conflitto d’interessi. Più la pena di dover prendere sul serio ogni giorno un delirio ormai evidente ma che è impossibile ignorare perché proviene dal leader di mezzo paese. Con un pizzico d’invidia per le altre democrazie, dove nessun capo di governo di destra o di sinistra si sogna di chieder conto all’opposizione di ogni protesta o incidente di piazza.

Neppure quando i contestatori incendiano Parigi, invece di rompere una vetrina o urlare contro l’auto blu del presidente.

(23 marzo 2006)

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