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25 aprile, oggi non c’è il fascismo però...

Publie le martedì 25 aprile 2006 par Open-Publishing
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Dazibao Movimenti Guerre-Conflitti Storia

di Angelo d’Orsi

Nella “lunga notte della democrazia”, come è stata chiamata l’Italia berlusconiana, è capitato sovente di leggere o ascoltare commentatori autorevoli sostenere, con qualche fastidio, che quello non era un regime, che la democrazia non era in discussione. Guai a parlare di nuovo fascismo, e i sorrisi diventavano di scherno quando qualcuno si arrischiava a invocare un nuovo Cln contro il “piccolo cesare”.

Ora che - Iddio lo voglia! - “a nuttata è passata”, si può tentare qualche riflessione, cogliendo l’occasione di questo sessantunesimo anniversario del 25 Aprile, in connessione con il significato di quell’evento storico, che rimane decisivo per la vicenda d’Italia, a dispetto dei revisionismi più marcatamente ideologici, volti a ridimensionare il ruolo della Resistenza, o della tendenza addirittura a ribaltarne il significato, in un esempio canonico di “rovescismo”, ossia la forma estrema del revisionismo, teso a rovesciare programmaticamente e sistematicamente le acquisizioni storiografiche che avessero forti implicanze politiche di tipo rivoluzionario o francamente democratico.

Ebbene, venendo al punto, non v’è dubbio che la mobilitazione di una minoranza di italiani che tra il settembre ’43 e l’aprile ’45 si è incaricata di dare il suo contributo decisivo a scuotere il giogo dei tedeschi invasori (una guerra di liberazione nazionale, dunque: italiani contro stranieri), ma anche tentando di cambiare gli assetti politico-economici del Paese (una guerra sociale, quindi: umili contro potenti, poveri contro ricchi, proletari contro borghesi) e, infine, di regolare i conti con i fascisti (ecco la guerra civile: italiani contro altri italiani), non v’è dubbio che tutto ciò - la Resistenza, in una parola sola - abbia avuto nell’insieme un carattere di restaurazione democratica. E non è retorica, ma constatazione di un fatto storico, sostenere che da quegli anni, e dalla ricca, complessa e per molti versi anche contraddittoria gestazione politica che ne è seguita, è scaturita la Repubblica “democratica” fondata sul lavoro.

Il grande lascito della Resistenza è stato innanzi tutto la nuova voglia di partecipazione instillata negli italiani, la riscoperta della politica, il bisogno di agire che nasceva dal bisogno di sapere. Conoscere la verità del regime fascista, e delle sue guerre; conoscere gli orrori del nazismo: base necessaria per l’azione contro Mussolini e Hitler. L’Italia usciva da due decenni in cui la politica era ridotta a mobilitazione di masse tanto più passive quanto più acclamavano il duce, tanto più irreponsabili quanto più erano chiamate a un falso confronto con il capo.

Perciò, brividi sono corsi lungo le nostre schiene quando nelle ultime settimane della forsennata campagna elettorale del cavaliere, e ancora in certe performances del dopovoto, abbiamo sentito riecheggiare in talune piazze italiche il repertorio riveduto e corretto degli inquietanti “dialoghi con le folle” che Benito Mussolini apprese da Gabriele d’Annunzio... “Volete voi affidare il nostro Paese nelle mani dei comunisti...? ” E la folla, come un sol uomo: “Noooo...!!! ”.

Non basta questo, naturalmente, a rafforzare in noi il convincimento che quello di Berlusconi fosse un regime paragonabile a quello fascista, ma, qualche spunto dobbiamo coglierlo: se pensiamo agli alleati che Berlusconi ha radunato intorno a sé, i leghisti, ossia il partito dell’antipartito, il partito dell’antipolitica, nella sua forma più rozza ed estrema, da un canto; e il partito postfascista, con affiancati i duri e puri del nostalgismo revanscista in camicia nera; ebbene qualche dubbio ci coglie guardando a Forza Italia, alle parole d’ordine del suo padre-padrone, agli orientamenti politici di cui egli è stato artefice... Insomma, dobbiamo chiederci se e in quale misura non vi sia una continuità sotterranea con il rifiuto delle regole democratiche, il disprezzo della legge, l’incitamento al disconoscimento delle diverse opzioni politiche, di cui Berlusconi ha dato, e sta dando tuttora prova, leader sconfitto che minaccia i vincitori, come ieri leader trionfante minacciava i vinti, che ieri come oggi insulta coloro che non sono con lui, ossia sotto di lui, che si stupisce quando scopre l’esistenza di valori più alti della pur immensa capacità dei suoi forzieri d’oro, che non riesce a farsi una ragione della necessità di leggi e di regole, uguali per tutti. Ebbene, davanti a tutto ciò, il pensiero che un filo nero ci riconduca alla disabitudine degli italiani alla democrazia si fa più di un sospetto.

Ci sono in Forza Italia, o in alcune forze alleate (a cominciare dagli ex Dc confluiti nel partito di Casini), anche persone quando non semplicemente cercano di cogliere un’occasione di promozione e di arricchimento personale, o di furbesco e cinico rilancio politico, che della democrazia hanno sicuramente un’idea, ma la lasciano volentieri piegare alle esigenze di un capo che dalla stessa democrazia ha tutto da temere e nulla da guadagnare. Inevitabilmente: come tutti coloro che hanno la coscienza sporca, e dunque coltivano il timore di essere scoperti, e costretti a pagare i loro conti con la società. Una società in cui le regole sono innanzi tutto quelle del gioco - il gioco della democrazia - e che non possono essere adottate o adattate di volta in volta da chi ha più forza e più suffragi.

Ebbene, quest’anno più che forse in tutti i sessanta precedenti, il XXV Aprile questo significa. Che la lotta partigiana ha ricuperato con un minimo di dignità per la nazione Italia, un sistema fondato sulla separazione dei poteri, su leggi e regole che potessero costituire il fondamento di una società nuova, da costruire sulle ceneri dell’Impero che tornato sui colli fatali di Roma ne era fragorosamente franato, trascinando con sé gli Italiani tutti.

Di quel sistema, che con limiti e inadempienze, era ed ancora è in larga parte rimasto, un sistema democratico, l’architrave era costuito dalla legge delle leggi, la Costituzione. Non è dunque un caso che la destra al potere abbia cercato di scardinare proprio quell’architrave, mettendo così a repentaglio l’intero sistema. Perciò, oggi il 61° compleanno della Liberazione ha un senso particolare, duplice: celebrare la caduta di coloro che stavano per disfare ciò che i Costituenti, con la Resistenza alle spalle, fecero; e, d’altro canto, impedire definitivamente che quel misfatto si compia. Il referendum, ridotto in tempi recenti a strumento di demagogia e mezzo di partecipazione dimidiata, può ritornare ad essere, in questa prossima tornata, per rifiutare la cosiddetta “riforma costituzionale” della Destra, un grande pronunciamento democratico in difesa delle regole della democrazia.

http://www.liberazione.it/

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