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L’asiatica fenice

Publie le domenica 7 maggio 2006 par Open-Publishing
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Dazibao Guerre-Conflitti Internazionale Governi

di Giulietto Chiesa da Galatea

Mikhail Gorbaciov ha scritto, su La Stampa , recentemente, che la guerra fredda numero due è già cominciata. Possiamo fidarci. Lo è. E’ finita la fase in cui Vladimir Putin accettava di fare da - come si dice a Mosca - mladshij partnior (socio subalterno) di Washington. Ed è finita non tanto perché Putin sia diventato baldanzoso e aggressivo all’improvviso, essendosi probabilmente stufato di essere considerato, appunto, un socio subalterno, quanto per il verificarsi concomitante di due fattori nuovi. Uno è la logica dell’Amministrazione americana attuale, che è eminentemente aggressiva su tutti i fronti. E che ha polverizzato sul suo cammino l’illusione (o la tattica sagace, scelga il lettore) di Putin di poter restare ancora a lungo fuori dal mirino di Washington.

La seconda è il risultato del prezzo del petrolio, che non ha cessato di riversare generosamente sullo zar del Cremino un fiume di dollari di gigantesche proporzioni, tale da consentirgli di risolvere alcuni problemi sociali interni e di avviare un programma di riarmo e di modernizzazione militare di dimensioni cospicue, da grande potenza.

Vediamo queste due componenti. Dall’11 di settembre in avanti (ma anche prima, appena giunto al potere, nel 2000, zar Vladimir si è comportato, appunto, come socio subalterno, accettando il dato rappresentato dagli Stati Uniti come unica superpotenza. Ne conseguiva l’accettazione della supremazia altrui e il ripiegamento su prudenti posizioni di attesa. Tattica dettata anche, in via secondaria, da ragioni interne, di consolidamento del potere a Mosca, e di rapporti delicati con gli oligarchi filo-occidentali. La guerra afgana fu dunque accettata da Mosca, perfino aiutata, pur rimanendone fuori. Faccia pure l’America, si diceva a Mosca, noi non faremo resistenza. Solo che George Bush, usando l’Afghanistan, si prese mezza Asia Centrale ex sovietica, installò le sue basi in Uzbekistan, Kirghizistan e Tagikistan, dislocò trentamila uomini là dove mai gli Stati Uniti avevano ficcato il naso. Non ci fu reazione significativa a Mosca, dove la cosa non passò tuttavia inosservata, ma prevalse l’idea di restare “fuori dal mirino”.

In parallelo Bush seguì la linea di Clinton: erodere le basi dell’influenza russa nei suoi cortili di casa. Bill Clinton aveva liquidato la Jugoslavia, Bush mette al potere a Tbilisi il suo uomo, liquidando perfino un alleato fedele come Eduard Shevardnadze. E qui il nervosismo di Mosca ha cominciato a diventare alto. E’ difficile stare fuori dal mirino se il mirino t’insegue in continuazione. Poi venne l’Ucraina e la rivoluzione cosiddetta arancione (ovvero la cosiddetta rivoluzione arancione) e qui fu chiaro che Washington aveva precisamente messo Mosca nel suo mirino e stava sparando bordate molto pesanti.

La ritirata del Cremlino finisce esattamente nel momento in cui Janukovic è costretto a rinunciare alla vittoria (sicuramente rubata) e si ripetono le elezioni che porteranno alla vittoria di Jushenko. Da quel momento Vladimir Putin comincia la sua politica, silenziosa ma visibile, di roll back nei confronti degli americani. Insomma: oltre non vi lasciamo andare. Verrà l’inverno e Putin presenterà la bolletta del gas all’Ucraina, e tutto diventa improvvisamente più chiaro anche ai polacchi e ai baltici, che avevano soffiato (e ancora soffiano) nelle trombe per conto di Washington.

Nel frattempo, per gli ex paesi fratelli e cugini del Baltico, Putin preparava la seconda pillola amara. Il gasdotto sotto il mare, che consentirà di portare energia in Germania bypassandoli tutti in un colpo solo. Grande operazione strategica che libererà Mosca dalla necessità di chiedere permesso a vicini assai ostili e molto “americani” per portare il suo gas agli utilizzatori europei. I quali, a loro volta, ne hanno un bisogno assoluto, e non hanno nessuna intenzione di farsi trascinare in una prova di forza dai paesi minori appena entrati in Europa.

Per fare questa operazione Putin aveva bisogno di un partner: la Germania di Gerhard Schroeder. E l’ha trovato, anzi ne ha trovati due, Germania e Francia, entrambi preoccupati anch’essi della piega troppo antirussa e filo americana della cosiddetta “nuova Europa”, così battezzata da Donald Rumsfeld. Adesso al posto si Schroeder c’è Angela Merkel , ma i bisogni dell’industria tedesca sono gli stessi e l’amico Gerhard è diventato consulente principale del progetto, a riprova che la socialdemocrazia tedesca non è disposta a farsi trascinare dove vorrebbero Varsavia, Riga e Tallin.

Così si può concludere, sul primo fattore, dicendo che George Bush si è creato con le sue stesse mani, mettendolo con le spalle al muro, un antagonista sempre più riottoso. Tanto più riottoso perché non avrebbe voluto farlo. Per lo meno, non in tempi così ravvicinati.

E qui veniamo al secondo fattore. Putin ha fatto i suoi conti. Quelli energetici innanzitutto. La Russia è la seconda grande potenza energetica del mondo. La prima se si esamina il combinato composto di gas e petrolio. Gli altri grandi erogatori di energia sono sotto i governi arabi amici degli Stati Uniti, o sotto il dominio americano, se si eccettuano l’Iran e il Venezuela, che l’America non controlla. Ma la Russia è indispensabile all’Europa e sta diventando indispensabile alla Cina, la cui voracità energetica non ha al momento confini.

Questa posizione cruciale è ancora più decisiva se si tiene conto che siamo ormai nel “picco” del petrolio, il famoso momento in cui il suo prezzo, a causa della scarsezza crescente della merce, non discenderà più in base alle oscillazioni del mercato, ma continuerà a crescere fino a che non sarà sostituibile (ma quando e se non lo sa nessuno) da altre fonti, alternative e rinnovabili.

Così Putin si trova adesso a poter usare due piccioni con una sola fava: usare le immense risorse monetarie che sta accumulando per armarsi, ma anche per tornare a esercitare la sua influenza politica anche più lontano dai suoi attuali confini. Ovvio che questa linea va in rotta di collisione con quella dell’Impero, sia per ragioni geo-politiche che economiche. Una Russia di questo tipo non solo è pericolosissima dal punto di vista militare, ma lo è anche perché la sua azione indipendente può risolvere i problemi di altri partners mondiali. Vedi Europa, e soprattutto Cina. Quest’ultimo è un protagonista che agisce in completa autonomia rispetto all’Impero. L’Europa potrebbe diventare un altro giocatore assai più indipendente di quanto lo sia stato e lo sia oggi.

Brutte nuove per Washington che, a sua volta, ha tempi stretti per prendere decisioni, in una situazione in cui il suo debito estero è per quasi il 10% nelle mani della Banca di Stato cinese, mentre il deficit del suo budget sta toccando il tetto vertiginoso dei 9 trilioni di dollari.

Solo una bella guerra (contro l’Iran), con un bombardamento a tappeto delle strutture atomiche e delle infrastrutture industriali e con gli effetti dirompenti sugli equilibri mondiali, può rinviare la resa dei conti economici del maggior debitore mondiale. Ma per fare questa guerra bisognerebbe avere qualche alleato in più, oltre a Israele e al Botswana.

Putin ha ormai messo a punto la sua strategia e lo si vede. Non solo in Europa. L’Iran, sotto tiro di Washington, ha già avuto da Mosca missili cruise di nuova generazione, in grado di affondare tutte le petroliere che escono dal Golfo Persico. Il che significa che l’Europa si troverebbe senza benzina nel corso delle due settimane dopo l’inizio dei bombardamenti americani. Una prospettiva assai poco gradita a Bruxelles, sempre che abbiano fatto i loro calcoli. Sul piano diplomatico, Russia e Cina non permetteranno al Consiglio di Sicurezza di dare il via libera ad alcuna azione militare di Washington. Il che riprodurrà, nel momento in cui Washington deciderà l’offensiva, la stessa situazione di completa illegalità (oltre che di isolamento politico) che caratterizzò l’inizio della guerra irachena.

Il leader russo, che ha ormai sistemato a dovere i suoi oligarchi, trasformandoli da agenti dell’occidente in miti boiari che prosperano sotto la protezione dello zar, ha impedito con grande souplesse il rovesciamento di Lukashenko in Bielorussia e ha ricevuto al Cremino i nuovi governanti del popolo palestinese, eletti a furor di popolo nelle ultime elezioni di gennaio. Mosca torna a svolger un ruolo decisivo nella crisi medio-orientale. E bisognerà tenere conto dei suoi voleri, e dei suoi consigli.

E, sul fronte più orientale, oleodotti e gasdotti russo-cinesi stanno già attraversando le immense distese delle steppe siberiane, da ovest a est e da nord a sud. Aveva ragione Zbignew Brzezinski, nel 1987, quando scrisse, nella “Grande scacchiera”, che la supremazia dell’America sul mondo avrebbe dovuto passare, inesorabilmente, attraverso la demolizione della Russia (non dell’Unione Sovietica soltanto). E’ accaduto però che, nonostante tutti gli sforzi messi insieme da tre presidenti americani, Bush padre, Clinton, e Bush figlio, la Russia non è stata demolita. Il che significa che la supremazia dell’America sul mondo non è stata raggiunta. Brzezinski pensava che, liquidata la Russia , trasformata in una federazione “leggera” di tre stati - Russia Europea senza il Caucaso, Siberia occidentale, Estremo oriente - gli Stati Uniti avrebbero potuto omologare abbastanza agevolmente la Cina , inserendola nel sistema di dominio del “consenso washingtoniano”. Diciannove anni dopo la Russia è di nuovo un giocatore mondiale e la Cina è un gigante al di fuori del controllo di chiunque.

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