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21 mag 08:02 Indonesia: 200mila in piazza chiedono processo contro Suharto

Publie le domenica 21 maggio 2006 par Open-Publishing

Dazibao Manifestazioni-azioni Movimenti Internazionale

GIACARTA - Duecentomila persone sono scese in piazza a Giacarta, in Indonesia, per chiedere il rinvio a processo dell’ex dittatore Suharto, decaduto otto anni fa. A distanza di tutti questi anni, la popolazione locale e’ ancora divisa sull’operato dell’ormai 84enne leader supremo, considerato da molti come il fautore del regime piu’ corrotto e brutale della storia recente. (Agr)

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SUHARTO E’ UN UOMO LIBERO

La procura generale chiude il caso per l’accusa di corruzione contro di lui

di Emanuele Giordana

Le accuse di corruzione contro l’ex presidente indonesiano Suharto sono ormai lettera morta. “E’ un uomo libero”, ha dichiarato ieri il procuratore generale indonesiano Abdul Rahman Saleh. Nel 2000, due anni dopo le sue dimissioni forzate dal governo del paese sull’onda di una forte protesta popolare, era stato incriminato per 600 milioni di dollari sottratti, secondo l’accusa, attraverso le sue numerose fondazioni “umanitarie”. Ma dopo una serie di attacchi di cuore il dittatore era sempre riuscito ad evitare, esibendo certificati medici, persino le apparizioni in tribunali. La vicenda è rimasta sotto traccia sino all’ultimo ricovero, una settimana fa, per problemi intestinali.

Con la sensazione che per il vecchio rais indonesiano si avvicinava la resa dei conti, la polemica sul suo passato è tornata in auge.

E l’attuale presidente Susilo Bambang Yudhoyono, un ex generale, fondatore del neonato Partito democratico, aveva fatto capire che sarebbe stato saggio soprassedere, rinviando la decisione sul futuro giudiziario dell’ex dittatore. La procura, con l’idea di mettere a posto tutti i birilli e di levare il presidente dall’imbarazzo, ha deciso per la chiusura del caso, invocando ancora la salute di Suharto. Caso chiuso? Scelta oculata? In Indonesia non la pensano così. A leggere gli editoriali della stampa locale si capisce che la ferita non è chiusa se c’è chi ha persino proposto che, come avvenne per Sukarno, il presidente andrebbe giudicato e poi riabilitato riconoscendogli alcuni meriti. Ad esempio quello, per altro dubbio, di aver fatto uscire l’Indonesia dal sottosviluppo.
Suharto è stato il padre padrone del paese per 32 anni. E liberarsi di questa ingombrante eredità, frutto di oltre sei lustri di dittatura militare, non sarà facile.

Il vecchio dittatore di 84 anni, che si trova adesso circondato da medici e parenti nell’ospedale Pertamina della capitale, è stato uno dei più abili attori di quello che, durante il regime dei Marcos nelle Filippine, venne definito crony capitalism: capitalismo di parentela. Oltre a reprimere i suoi detrattori, ad aver condotto in prima persona un cambio di regime negli anni ’60 che, secondo le stime, ebbe un bilancio di almeno un milione, se non due, di vittime, Suharto aveva costruito un impero economico finanziario che, beneficiando l’esercito, aveva come capisaldi i suoi numerosi figli, i loro più stretti parenti e alcuni amici della diaspora cinese. Queste relazioni consolidate nel tempo si sono mantenute anche dopo la dittatura. Né è del tutto riuscita l’operazione che, pur avendo ridotto la potenza dell’esercito nell’economia, avrebbe dovuto ridimensionare il ruolo economico e politico dei generali. Tutti, chi più chi meno, legati al vecchio regime.

Adesso che la procura vuole chiudere il caso, che il dittatore è un uomo libero, che, insomma, può morire senza macchia, resta il dubbio che la sua mancata incriminazione rischi di perpetuare, più che il mito del padre padrone buono, le relazioni oscure che per 32 anni fecero dell’Indonesia uno degli esempi più brillanti di maneggio clientelare e famigliare di un intero paese. Qualche giorno fa, all’età di 81 anni, è morto il suo più feroce oppositore, Pramoedya Ananta Toer, lo scrittore cui il dittatore regalò qualche lustro di prigionia nell’inferno insulare di Buru, un’isola dove si viveva cacciando vermi e blatte per integrare la magra dieta servita dagli scherani del regime. Forse, ancor prima di mettere mano al dossier giudiziario di Suharto, sarebbe stato il caso di rivedere i processi a carico di “Pram”, coetaneo del dittatore e condannato al carcere solo per le sue idee. E’ morto nel suo letto senza questo conforto cui avrebbe avuto senz’altro più diritto che non Suharto.
*Lettera22

Pubblicato oggi su il manifesto

http://www.lettera22.it/showart.php?id=4866&rubrica=4


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