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Adda passà a’ nuttata

Publie le mercoledì 14 giugno 2006 par Open-Publishing
3 commenti

Dazibao Estrema destra

Un uomo del vibonese, ucciso e poi incendiato insieme alla sua auto. Un uomo che come VIncenzo Grasso, come Fortunato Correale, aveva avuto il coreggio di denunciare coloro i quali gli chiedevano "’a mazzetta"... gente senza scrupoli, indegna.

A Mazzara del Vallo è stata danneggiata una lapide posta in ricordo di Peppino Impastato. Un gesto che si commenta da solo.

Prima o poi riusciremo a rivedere il mattino in questo nostro Sud? Come nelle sabbie mobili, più ci si muove e più si affonda... e a volte anche a noi sembra di affogare... a volte anche a noi sembra che il nostro impegno non potrà porre fine alle ingiustizie. Ma forse l’alba è vicina... Adda passà a’ nuttata.

www.ammazzatecitutti.org

Messaggi

  • Era un uomo coraggioso, Fedele Scarcella, duro come le balze dell’Aspromonte dove era nato e cresciuto, ma anche generoso come quel mar Tirreno sulle sponde del quale aveva deciso di creare la sua impresa, a Gioia Tauro.

    Duro e generoso, come i migliori calabresi, come i fichi d’India che sono difficili da cogliere e pungenti per chi li conosce solo da fuori, ma dolci più di qualsiasi altro frutto quando si impara a conoscerli dentro.

    Fedele Scarcella lavorava sodo, come un mulo, e quando quel giorno entrarono nella sua azienda due "picciotti" del boss di Gioia Tauro per chiedergli conto di una parte dei suoi sudati guadagni, la "mazzetta" o "pizzo" per intenderci, andò su tutte le furie, ma riuscì a mantenersi apparentemente calmo perchè bisognava affrontarli con intelligenza, non con la forza quegli animali.

    Senza alzare la voce, con calma, disse loro che quel lavoro era la sua vita, e che per mandarlo avanti aveva rinunciato a tutto: alle ferie, alle auto di lusso, ai bei regali per la moglie... e che quello che aveva lui se l’era sudato lira su lira, tra lacrime, cambiali e tanto, tantissimo lavoro.

    Perchè doveva condividere con loro la sua azienda? Perchè non si mettevano anche loro, che erano giovani e forti, a lavorare e a faticare invece di vivere come parassiti alle spalle della povera gente?

    Ma i suoi aguzzini non si fecero certo convincere dai suoi ragionamenti, e dopo qualche piccolo "avvertimento" tornarono in azienda per chiedere il saldo della "mazzetta".

    Di solito a questo punto l’imprenditore si piega, magari imprecando in cuor suo ed invocando ogni maledizione sui suoi aguzzini, ma si piega.

    Fedele Scarcella invece non si piegò.

    Prima rinviò con una scusa al giorno dopo gli estortori, poi andò in casa, si tolse gli abiti da lavoro, si mise il vestito buono, ed andò forse dai Carabinieri, o forse dalla Polizia, per denunciare il racket delle estorsioni con nomi e cognomi, senza paura.

    Un eroe?

    Ma no, un idealista forse.

    Un idealista che non ci stava a farsela sotto davanti a quattro vigliacchi che camminavano in Mercedes e vestivano Caraceni facendo il pieno con il sangue della povera gente per le loro auto di lusso e con i vestiti che se li spremevi grondavano sudore del lavoro altrui.

    Fedele Scarcella entrò subito nel programma di protezione per i testimoni di giustizia, e la legge antiracket gli rimborsò tutti i danni subiti.

    Poi però volevano trasferirlo al nord Italia, come prevede il programma di protezione, ma lui non accettò.

    Volle restare in Calabria, sia pure trasferendosi in un’altra provincia, quella di Vibo Valentia.

    Certo non sarebbero stati quella cinquantina di chilometri da Gioia Tauro a metterlo al sicuro, ma lui non accettava il fatto di darla comunque, in un modo o nell’altro, vinta ai suoi persecutori.

    E non solo rimase in Calabria, ma fu tra i fondatori dell’associazione antiracket di Gioia Tauro, nonchè membro dell’associazione "SOS impresa", che operava nell’ambito della Confesercenti.

    No, non era e non voleva essere un eroe, voleva solo essere un testimone, la testimonianza vivente che in Calabria ce la si può fare a non piegarsi ai ricatti della mafia.

    Fedele Scarcella sapeva bene di essere un bersaglio, sia per quello che aveva fatto a Gioia Tauro che per la sua attività di divulgatore dell’antimafia, ed aveva chiesto anche, più volte, la concessione del porto d’armi che però la Prefettura gli aveva negato.

    Così lo hanno trovato massacrato, bruciato all’interno della sua Punto blu.

    Forse sono stati così umani da sparargli alla nuca prima di bruciarlo, o forse l’hanno bruciato mentre era ancora ferito a morte, magari ridendo mentre si contorceva negli ultimi spasimi dell’agonia, prendendosi pure il gusto di chiamare il 112 per avvisarli che c’era puzza di bruciato vicino alla spiaggia di Briatico, che andassero a vedere che forse avevano incendiato una carogna...

    Loro ridevano, perchè in fondo era come se anche lo stato avesse partecipato a quel massacro.

    Ancora uno di noi, uno dei calabresi fieri ed onesti, è stato ammazzato.

    Ancora uno di quelli che combattiamo a mani nude un mostro che ha armi da guerra, killer da imbottire a volontà di cocaina, milioni e milioni di euro per pagarsi quello che vuole.

    Qui siamo in guerra, e quelli mandano i soldati in Iraq, in Afghanistan, in Kossovo...

    Noi siamo i veri resistenti, i veri partigiani, e moriremo tutti con onore.

    O per strada o nei nostri cuori.

    Stato assassino, complice della mafia!

    Non ti basta che uccidano i tuoi figli migliori, vuoi uccidere anche la speranza in chi resta?

    Poveri ragazzi nostri, che volevate lanciare una sfida alla mafia con quello striscione "e adesso ammazzateci tutti!", e invece rischiate di aver issato la più sinistra delle profezie!

    Giovanni Pecora

  • Perché non ci siano morti di serie A e morti di serie B
    by africota Monday, Jun. 19, 2006 at 6:23 PM mail:

    Perché non ci siano morti di serie A e morti di serie B, ieri Mario Congiusta, papà del giovane commerciante Gianluca assassinato la notte del 24 maggio 2005 a Siderno, ha dato vita ad una singolare protesta. Ha parcheggiato a fianco del Palazzo Tribunale a Locri una Volkswagen maggiolino tappezzata con le foto del figlio Gianluca recante scritto che nonostante sia passato un anno dalla sua uccisione "ancora nessuna risposta". La protesta di Congiusta si è verificata nel mentre in Procura, il procuratore capo, dottor Giuseppe Carbone, stava effettuando un incontro di lavoro, "per fare il punto della situazione e nel contempo mettere a punto nuove e più idonee strategie atte a contrastare la criminalità organizzata", con i comandanti le compagnie dei Carabinieri di Locri, Roccella e Bianco. Papà Mario, che già in occasione delle ultime elezioni in segno di protesta e per "sensibilizzare" lo Stato, aveva restituito al prefetto il proprio certificato elettorale,a distanza di un anno dalla barbara uccisione del figlio, astro nascente dell’imprenditoria sidernese nel campo della telefonia, con il suo clamoroso e pacifico gesto di ieri mattina ha inteso ancora una volta gridare a voce alta che lo Stato, attraverso le istituzioni preposte, deve a lui, ed a tutti i cittadini, una risposta. Mario Congiusta, un padre affranto dal dolore, non si stanca di ripetere che "la mafia assoggetta" e che lui non si rivolgerà mai ai mafiosi per sapere chi e perché ha assassinato suo figlio. E’ lo Stato, con tutte le sue articolazioni, che deve dare risposte, ed in tempi certi, alle attese di giustizia dei cittadini che vivono realtà difficli. Anche per questo Mario Congiusta ribadisce che per quanto lo riguarda lui continuerà "a chiedere giustizia per Gianluca e per tutti quei morti ammazzati, (ormai in quest’ultimo anno nella Locride hanno raggiunto il numero di 30), i cui familiari attendono di conoscere la verità".
    Pino Lombardo

    ARTICOLO TRATTO DA IL QUOTIDIANO DELLA CALABRIA DEL 17 GIUGNO 2006

    www.gianlucacongusta.org

  • Asi como los pueblops tienen DERECHO a matar al tirano, o hacer una revolucion, los meridionales italianos tienen DERECHO de hacer lo mismo con los mafiosos. La Justicia hasta ahora ha hecho mucho pero la Mafia sigue existiendo. Debeis tomar en vuestras manos eso, y aniquilar a los mafiosos. El pueblo unido vence siempre. No solo llorar los mueros, sino evitarlos para siempre. Coraje, amigos!