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Il declino di una nazione: il saccheggio argentino

Publie le domenica 25 giugno 2006 par Open-Publishing

Dazibao Cinema-video - foto America Latina

de Pasquale Colizzi

Certe volte serve una prospettiva storica per riuscire a capire, accorgersi di quanto marcio stava scorrendo sotto i piedi e se ne aveva solo un vago sentore. Per l’Argentina del grande cineasta Fernando Solanas nemmeno questa è servita a molto. Nel ’68 fece uscire L’ora dei forni, un’opera militante complessa e articolata, un "film-saggio" come lo definì lui stesso. Per oggetto la sua patria, i programmi neocolonialisti delle multinazionali, la violenza rivoluzionaria liberatoria e un omaggio al Che morto nei giorni delle riprese.

Poi l’autore nel ’73 intervenne, in questa opera aperta, per inserire una finestra su Peròn e su quella che doveva sembrare una nuova stagione per l’Argentina. Che non si realizzò. La corruzione politica e le sue bugie e il saccheggio delle risorse nazionali da parte di banche e gruppi stranieri stava continuando.

Dopo l’esilio in Europa e opere più nostalgiche, il regista sudamericano è tornato a raccontare il suo paese senza lo schermo di una storia di fiction. L’Argentina ha vissuto cinquant’anni di situazioni sempre più difficili, disperate, inconcepibili. Diario del saccheggio, presentato a Berlino nel 2004 (e una seconda parte, Argentina latente, ancora in lavorazione) è un resoconto-denuncia-saggio divulgativo di folgorante chiarezza. Dalla dittatura del generale Vileda alla rivolta popolare del 2001, passando per De La Rua e Menem, racconta le trame occulte (ma poi quanto?) della "mafiocrazia", l’alleanza tra potere politico, forze sindacali, giudici corrotti, banche straniere, multinazionali e istituti finanziari internazionali che ha portato alla privatizzazione forsennata, alla svendita delle imprese, al tracollo economico e alla fame di un paese che era definito "il granaio del mondo". Un crimine contro l’umanità in tempo di pace, ha detto Solanas.

Come è potuto accadere? Continue promesse politiche disattese e sporche connivenze con i potentati economici stranieri. Che hanno speculato sulla "invenzione" del debito pubblico (oggi per metà è in mano a banche straniere) e al momento buono si sono dichiarate insolvibibili. Requisendo i risparmi di milioni di argentini. Mentre multinazionali e aziende estere - complice il Menem grande festaiolo e intrattanitore del popolo - hanno acquistato a 1/10 del prezzo i gioielli statali. Le francesi Vivendi e Suez l’acqua (lasciando 800mila persone a secco), l’Iberia ha rilevato la compagnia aerea di bandiera, ha scaricato i debiti sullo stato argentino, poi l’ha svenduta. E ancora le ferrovie, privatizzate, oggi non funzionano più: da 36 a 8mila kilometri di rete, crollo occupazionale sempre a carico dello stato. Infine il fiore all’occhiello, il petrolio della Y.P.F. Mentre Messico e Venezuela nazionalizzavano le risorse di idrocarburi, Menem ha regalato un patriomonio nazionale alla Repsoil che, per un canone di 25 anni, paga quanto l’azienda riusciva a ricavare in 9 mesi di attività.

Genocidio sociale, ripete la voce narrante di Solanas, perpetrato sulle spalle degli argentini che ogni anno in 35mila morivano di fame mentre la disoccupazione diventava dirompente e le tariffe le più alte del mondo. Una realtà capovolta, incoraggiata però dalla Banca Mondiale e dal Fondo monetario internazionale e gestita da Menem, per ultimo, che alla vigilia del suo ritiro fece approvare una riforma costituzionale che dava enormi poteri al capo dello stato. Ma il documento non è pessimista. Lo dimostrano le immagini del dicembre 2001, la rivolta popolare fatta di disperata violenza (e decine di morti) ma anche di coperchi battuti a tempo, di voglia di pulizia, di equità, di giustizia. Una inchiesta giudiziaria ha sfiorato molti e assolto tutti. Solanas vuole essere ottimista: è possibile riprendersi alcune aziende statali, mettere al centro della politica i bisogni primari degli argentini, correggere la politica di privatizzazioni e liberismo forsennato che ha causato una devastazione sociale senza precedenti. Del resto il doc di Avi Lewis e Naomi Klein, The take, dimostrava che anche l’autogestione era una risposta allo Stato predatore e latitante. Adesso si spera di voltare pagina con il presidente Néstor Kirchner. L’auspicio è che nella prospettiva storica, ancora una volta, non accada che sia il popolo a pagare il prezzo più alto.
pasquale.colizzi@fastwebnet.it

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