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"Pioggia d’estate" - Morte a Gaza, nel silenzio

Publie le venerdì 21 luglio 2006 par Open-Publishing

Dazibao Guerre-Conflitti medio-oriente

I raid israeliani anche in Cisgiordania. Uccisi 12 palestinesi. «Nessun limite» agli attacchi

Dal 25 giugno, 120 persone uccise da "Pioggia d’estate". La Chiesa intercede per Shalit

di Michele Giorgio Gerusalemme

Ieri in una giornata "qualsiasi", di quelle che non fanno più notizia di fronte alle decine di civili libanesi massacrati dai bombardamenti aerei e navali israeliani, almeno 12 palestinesi, sette a Gaza e cinque a Nablus (Cisgiordania), sono stati uccisi in raid delle forze di occupazione.

Proprio ieri mattina il ministero della sanità palestinese ha diffuso dati impressionanti che parlano di circa 120 palestinesi uccisi e dozzine di feriti da quando Israele ha lanciato la sua operazione militare a Gaza, «Pioggia d’estate», in seguito alla cattura di un soldato, Ghilad Shalit, da parte di un commando armato lo scorso 25 giugno.

Un bagno di sangue che non trova più spazio sulle pagine dei giornali e che si sta allargando anche alla Cisgiordania, teatro ieri di una incursione israeliana mirata a distruggere il quartier generale dell’Autorità nazionale palestinese, ora controllata dal movimento islamico Hamas.

Intanto il quotidiano israeliano Jerusalem Post ha riferito che la Chiesa cattolica ha tentato di convincere i gruppi armati palestinesi a rilasciare Gilad Shalit, senza però ottenere una risposta. A rivelarlo al giornale è stato lo stesso nunzio apostolico in Israele, monsignor Antonio Franco.

Quest’ultimo, allo stesso tempo, ha rilasciato dichiarazioni che mostrano «comprensione» per la devastante offensiva israeliana in Libano. Ha detto, ad esempio, che «l’uso della forza può essere compreso nella presente situazione, ma deve prevalere la ragione».

A proposito di un possibile viaggio del Papa in Israele e Territori occupati, Monsignor Franco ha detto che «le difficoltà nell’area potrebbero rappresentare un’opportunità, non necessariamente un ostacolo» e ha respinto l’idea che il pontefice rinvii la visita perché il governo palestinese è in mano ad Hamas.

Il campo profughi di Al-Maghazi, nel centro della Striscia di Gaza, non è uno di quelli noti per le attività dei gruppi armati dell’Intifada. In questi anni è rimasto in disparte, almeno rispetto a campi roccaforte dell’Intifada come Jabaliya, Burej, Khan Yunis e Rafah. Ieri invece è stato invaso da reparti corazzati israeliani ed ha subito due incursioni aeree.

Tre palestinesi, membri delle Brigate Ezzedin al-Qassam secondo la versione del portavoce militare israeliano, sono stati colpiti mentre trasportavano tubi di lancio per i razzi rudimentali Qassam, mentre decine di persone scese in strada a protestare sono state ferite dal fuoco dei blindati.

Nel corso della giornata il numero dei morti palestinesi è salito a quattro e in serata, dopo un nuovo raid aereo a Maghazi, ha toccato quota sette. Altri cinque palestinesi sono stati uccisi durante le incursioni israeliane in Cisgiordania, a Nablus, alla caccia di militanti dei Martiri di al Aqsa (Al-Fatah).

I primi tre sono stati uccisi durante un conflitto a fuoco con i soldati scoppiato nei pressi della sede della Muqata e almeno 100 poliziotti palestinesi sono stati arrestati perché si sono rifiutati di lasciare l’edificio. Altri due sono morti in tarda serata durante una nuova incursione israeliana

Nulla ferma le offensive militari israeliane. Il gabinetto di sicurezza ha deciso di proseguire gli attacchi «senza limite di tempo» in Libano ma anche a Gaza. Il premier Olmert va avanti senza problemi anche perché nessuno muove passi concreti per fermarlo. Lui stesso ieri ha sottolineato che la comunità internazionale non esercita pressioni su Israele e che, anzi, attende che lo Stato ebraico raggiunga i suoi obiettivi mentre gli Stati uniti sostengono il suo governo «incondizionatamente».

In una giornata di morte e di distruzione l’unica notizia positiva è stata l’apertura per il secondo giorno consecutivo del valico di Rafah, tra Gaza e l’Egitto, che ha consentito ad altre centinaia di palestinesi bloccati da settimane alla frontiera, chiusa di fatto dall’esercito israeliano sin dal 26 giugno, di poter far ritorno a casa. Continuano invece ad essere negative, anzi disastrose, le notizie riguardanti l’economia palestinese.

Tra le vittime dell’assedio di Gaza ci sono anche le fragole e con loro i circa seimila manovali che hanno perduto il posto di lavoro. Basem Khoury, direttore della Federazione dell’industria palestinese, sottolineando che già in passato il settore è stato danneggiato dai blocchi all’export imposti da Israele, ha riferito che l’intera stagione di raccolta di quest’anno è andata perduta e la società nata per le esportazioni del frutto ha dichiarato fallimento.

L’anno scorso i palestinesi avevano esportato circa 20mila tonnellate di fragole per un valore di oltre 20 milioni di dollari. Alle fragole di Gaza era stato dedicato perfino un punto nell’accordo di Rafah, firmato anche dal Segretario di stato Condoleezza Rice, che prevede esplicitamente il divieto per Israele di porre ostacoli alla esportazione del frutto.

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