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LETTERE DAL SAHARA

Publie le lunedì 4 settembre 2006 par Open-Publishing

Dazibao Cinema-video - foto Enrico Campofreda

di Enrico Campofreda

Si parte dall’Africa bisognosa e povera ma si torna in Africa perché “se qui bisogna sempre fuggire che vita è?” E in Italia - dove il giovane senegalese Assane è giunto rischiando la pelle dopo esser stato gettato in mare insieme ad altri clandestini - bisogna sempre fuggire. Dalla polizia che ti rimpatria, dai vigili che ti sequestrano la merce, dai razzisti che ti picchiano e cercano d’ucciderti. E’ l’Occidente perverso che continua a sfruttare il popolo nero, come ricorda il vecchio maestro di Assane a tanti bambini riuniti a lezione quando lui tornerà in patria.

Torna stremato e segnato dalla terribile esperienza del pestaggio subìto da ragazzi come lui, cui politici e ministri della Repubblica italiana che si chiamano Bossi e Fini, hanno insegnato il razzismo. E la televisione pubblica, la stessa che trasmette ipocriti spot contro la discriminazione, rilancia un’aria di generica convivenza coi razzisti riprendendo spesso senza commenti né censure gli stadi calcistici del Belpaese dove s’inneggia ai forni per ebrei e negri.

E’ in questo paese che Assane inizia la peregrinazione sperando di trovare l’Eldorado. La comincia in Sicilia, dove l’unico calore che incontra è quello delle baracche dei connazionali date alle fiamme dai picciotti al servizio di caporali che lo fanno lavorare nei campi a ventisette euro al giorno per un numero imprecisato di ore. Dodici, quattordici ? A Firenze, ospite della cugina Salimata, trova calore e affetto veri.

Ma lì Assane si fa scrupoli, il suo rigido credo religioso non gli permette di accettare le scelte laiche della cugina che fa la modella e convive con un uomo. Riparte. A Torino incontra la solidarietà dei connazionali che s’aiutano come una grande famiglia. Conosce la fabbrica e il supporto morale e materiale di volontari (ci sono anche italiani democratici) che sostengono l’inserimento degli extracomunitari con l’istruzione e varie iniziative sociali e umanitarie.

Nonostante quest’incontri Assane non ce la fa. Viene preso dalla sindrome dell’emigrante che non riesce né vuole integrarsi. Ha nostalgia per i colori, i suoni, gli odori, i ritmi, l’energia che la sua magica terra sa offrire. Vuole risentire la naturale sequenza degli affetti di madre e sorelle d’una comunità rurale che non ha perso valori profondi e che sa soprattutto condividerli. Evitando l’individualismo sfrenato che produce l’isolamento e la solitudine tipiche delle città immerse nel consumismo occidentale. Questa testimonianza si sente di dare ai giovani che sognano di fare il balzo in Europa: quella vita sarà dura e chi magari tornerà anche con denaro avrà sofferto e forse, come lui, non cancellerà mai le profonde ferite che porta sul volto e nel cuore.

E’ una fiction recitata che in molti passaggi ha l’impronta e il rigore del vero documentario. E cosa meglio della realtà riesce a testimoniare eventi drammatici come quelli narrati? Narrati con l’occhio e il sentimento d’un immigrato clandestino, nella cui testa e anima noi non sappiamo entrare. Perché pur non razzisti siamo però silenti o presi da tutt’altri affari che comprendere i drammi di quella parte del mondo - cinque miliardi di persone - che deve dividersi il 17% del reddito planetario. Noi siamo quegli 800 milioni che dispongono dell’83%. Siamo in quest’immorale Paradiso e dobbiamo e vogliamo continuare a consumare.

Regia: Vittorio De Seta
Soggetto e sceneggiatura: Vittorio De Seta
Direttore della fotografia: Antonio Gamboni
Montaggio: Marzia Mete
Interpreti principali: Djibril Kebe, Paola Ajmone Rondo
Musica originale: Mauro Tronco
Produzione: Luce
Origine: Italia
Durata: 123’