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L’assassinio di Spartaco Lavagnini

Publie le lunedì 26 febbraio 2007 par Open-Publishing

Dazibao Partito della Rifondazione Comunista Parigi Storia

di Giustiniano Rossi

Il 27 febbraio del 1921, una squadraccia fascista assassinava, in Via Taddea, a Firenze, Spartaco Lavagnini, segretario della Federarione fiorentina del Sindacato Ferrovieri Italiani aderente alla CGIL.

Il Circolo aziendale ferrovieri e la Federazione fiorentina del Partito della Rifondazione Comunista – Sinistra Europea, per ricordare l’attualità della figura di Spartaco Lavagnini, un comunista, un sindacalista, un ferroviere, organizzano, il 27 febbraio 2007, un dibattito con la partecipazione di rappresentanti dell’ANPI, di sindacalisti, del responsabile nazionale trasporti e del responsabile regionale lavoro del PRC-SE e di un rappresentante del Comitato contro il sottopasso AV di Firenze.

Ho militato anch’io nelle file dello SFI-CGIL per oltre vent’anni e ricordo come, all’inizio degli anni 70, nella generale indifferenza della sinistra storica – definizione allora riservata al PCI e al PSI – i neofascisti del MSI tentarono, in occasione di una campagna elettorale per le elezioni politiche, di riprendere l’uso delle piazze della città, in particolare di quelle dei quartieri popolari che erano stati protagonisti della resistenza al fascismo.

I compagni della sinistra extraparlamentare, quella galassia di forze, organizzate e non, prodotte dal movimento del 1968 che, sia pure confusamente, denunciavano la deriva del socialismo reale e la socialdemocratizzazione del partito comunista, decisero di negare ai fascisti l’uso delle piazze : io ero in piazza Dalmazia, nel quartiere di Rifredi, quello delle Officine Galileo.

Naturalmente, come negli anni 20, anche negli anni 70 le « forze dell’ordine » si scatenarono contro gli antifascisti per consentire ai nipotini del duce di fare la loro campagna elettorale, ignorando perfino quanto prescritto dalla Carta Costituzionale, che vietava e vieta, sulla carta, naturalmente, la ricostituzione del partito fascista.

Vi furono scontri con la polizia schierata a difesa dei fascisti ed arresti di compagni, non solo a Firenze : a Pistoia fu arrestato un compagno aiuto-macchinista, iscritto allo SFI-CGIL, con la classica accusa di resistenza e oltraggio (forse anche lesioni ?) ad un pubblico ufficiale.

Il Collettivo Ferrovieri di Firenze, gruppo che riuniva in un centro di dibattito e di iniziativa politico-sindacale elementi dei tre sindacati confederali di categoria ed altri ferrovieri senza tessera, diffuse un manifesto serigrafato in cui – ricorreva in quei giorni l’anniversario dell’assassinio di Lavagnini – sottolineava il rapporto fra l’antifascismo dei ferrovieri degli anni 20 e quello degli anni 70.

Ricordo che, con un altro compagno, ci munimmo di una lunga scala ed incollammo il manifesto sotto la lapide con la seguente iscrizione

IN QUESTA CASA
IL XXVII FEBBRAIO MCMXXI
LO SQUADRISMO FASCISTA UCCIDEVA
SPARTACO LAVAGNINI
SINDACALISTA COMUNISTA
LUMINOSO ESEMPIO DI DEDIZIONE ALLA CAUSA
DEL LAVORO DELLA PACE DEL SOCIALISMO

che ricorda, a una certa altezza, sulla facciata della casa allora sede dello SFI in Via Taddea, l’assassinio di Lavagnini.

Raccogliemmo qualche migliaio di firme sotto un documento che parlava del legame fra la militanza antifascista del passato e del presente negli impianti ferroviari di Firenze, ma chiedemmo invano ai dirigenti dello SFI fiorentino di fare pubblicamente lo stesso accostamento.

Approfittando del fatto che, nella ricorrenza dell’assassinio, in Palazzo Medici, sede della Provincia di Firenze, veniva celebrata la figura di Lavagnini, con un altro compagno ferroviere incollammo il manifesto su due fogli di compensato, dove praticammo due buchi per farvi passare uno spago per appenderci al collo i cartelli cosi’ realizzati.

Raggiungemmo la sala dove avveniva la commemorazione, al primo piano di Palazzo Medici, e ci piazzammo uno a sinistra e l’altro a destra dell’ingresso, con i cartelli appesi al collo. Sconcerto fra i presenti: ben presto gli stessi che ci avevano negato ogni sostegno nella campagna di denuncia dell’arresto del nostro compagno vennero a parlamentare.

Volevano sapere cosa volevamo : rispondemmo che volevamo che l’oratore ufficiale dicesse semplicemente che le idee di Lavagnini non erano morte con lui e che venivano sostenute da una nuova generazione di antifascisti, di cui uno, ferroviere come lui, si trovava in galera perché, allora come 50 anni prima, l’antifascismo militante era e restava d’attualità.

L’oratore cito’ nel corso del suo discorso di circostanza il nome del nostro compagno, sia pure storpiandolo leggermente e fummo quindi sbrigativamente accompagnati verso l’uscita da quattro energumeni timorosi di ulteriori sorprese.

Oggi, buona parte del PCI é diventato DS e il MSI é diventato Alleanza Nazionale. Qualcuno, fra i DS, si é spinto ad attribuire lo stesso idealistico entusiasmo giovanile a partigiani e repubblichini, a mettere sullo stesso piano i droni dello stato di Israele ed i sassi dell’Intifada palestinese.

Prova palese che, in tempi di falsificazione galoppante della nostra storia e della storia in generale, ricordare quanti dettero la vita per fermare la bestia immonda é più che mai importante : l’assassinio di Lavagnini fu uno degli episodi di quella settimana che vide, fra il 26 febbraio e il 3 marzo del 1921, il popolo di Firenze e dei suoi sobborghi, fino a Empoli, combattere contro gli assassini fascisti ed i loro alleati.

Riproduco qui di seguito la relazione tenuta in proposito dal mio vecchio compagno Aldo Serafini il 28 febbraio 2004, in occasione dell’iniziativa del Comitato antifascista-antimperialista di Firenze per ricordare Lavagnini e rievocare la rivolta di Firenze del 1921.

Contro il dilagante revisionismo storico, contro la quotidiana riabilitazione del fascismo e la denigrazione della Resistenza, contro l’intollerabile apertura di sedi neofasciste anche nella nostra città, il Comitato Antimperialista e Antifascista fiorentino «Spartaco Lavagnini» vuole stasera ricordare e onorare la memoria di quell’indimenticabile militante antifascista e rivoluzionario che fu Spartaco Lavagnini e rievocare la rivolta popolare antifascista di Firenze del 1921.

Nato a Cortona (Arezzo) il 6 settembre 1889, Spartaco Lavagnini, compì gli studi ad Arezzo e a Siena diplomandosi in ragioneria. Nel 1907 entrò come impiegato nelle Ferrovie dello Stato, aderendo alla Confederazione Generale del Lavoro e svolgendo intensa attività sindacale. Nel 1920 fu eletto segretario regionale toscano del Sindacato ferrovieri.Nel 1914 divenne membro del Comitato esecutivo della Federazione fiorentina del Partito Socialista Italiano. Nel 1915 fu candidato alle elezioni amministrative sulla base di una decisa opposizione alla prima guerra mondiale imperialista. Collaborò al settimanale della Federazione fiorentina del PSI La Difesa, su posizioni antinterventiste e rivoluzionarie.

Nel 1917-18 divenne direttore de La Difesa, battendosi contro la linea ufficiale del PSI sulla guerra, espressa dalla formula opportunista «né aderire né sabotare».Ammiratore di Karl Liebknecht, condusse sul giornale una forte battaglia politica internazionalista, per la netta separazione dei socialisti italiani dai socialsciovinisti e dai centristi europei. Su posizioni vicine a quelle di Lenin, aderì alla sinistra di Zimmerwald, e nel luglio 1917 affermò, sulle colonne de La Difesa, la necessità di una scissione della sinistra rivoluzionaria del PSI dal centrismo opportunista.

Dopo la fine della prima guerra mondiale, si battè per trasformare i moti di protesta per il caroviveri in una vera azione rivoluzionaria. Condusse poi una vivace campagna per la partecipazione al programmato sciopero rivoluzionario internazionale del 21 febbraio 1919.

Alla vigilia del Congresso di Livorno del 1921, scrisse su La Difesa: «Il Partito Comunista soltanto potrà guidare il proletariato verso i suoi immancabili destini». Aderì, sin dalla fondazione, al Partito Comunista d’Italia e fondò il settimanale della Federazione fiorentina del nuovo partito, L’Azione Comunista, di cui divenne direttore; e ne diresse i primi cinque numeri, fino al 27 febbraio 1921, giorno del suo assassinio. L’impegno politico e sindacale di Lavagnini fece di lui uno dei protagonisti della vita politica fiorentina e uno dei dirigenti più rispettati e amati dalla classe operaia e dalle masse popolari di Firenze e della provincia. Le sue capacità politiche, il suo coraggio e la sua grande energia ne fecero anche uno degli uomini più odiati dai fascisti, che più volte lo minacciarono di morte dalle colonne dei loro giornali.

Egli fu barbaramente e vigliaccamente assassinato in Firenze da una squadraccia fascista il 27 febbraio 1921, verso le ore 18, mentre - solo e disarmato - al n. 2 di Via Taddea (sede del Sindacato ferrovieri, della Lega proletaria dei mutilati, invalidi e reduci di guerra, della Federazione provinciale comunista e della redazione del settimanale L’Azione Comunista), era intento alla revisione del sesto numero del giornale. Due colpi alla testa sparati a bruciapelo, un colpo al petto e un quarto alla regione lombare posero fine alla sua esistenza.

"Il giorno prima" - ricordava molti anni più tardi un suo compagno - "avevamo tentato di dissuaderlo dal recarsi in ufficio, dato il clima di scatenata violenza, ma Spartaco non volle desistere dal compiere il suo dovere". Alcuni giorni dopo la sua morte, L’Ordine Nuovo, nel suo numero dell’11 marzo 1921, scriveva: "Spartaco Lavagnini, caduto come un capo, al suo posto di lavoro, ha forse giovato di più all’idea in cui credeva, ha forse insegnato maggiori cose al popolo con la sua morte, di quanto nessuno possa mai insegnare con la parola".

Diffusasi la voce dell’uccisione di Lavagnini, i ferrovieri interruppero spontaneamente il lavoro e proclamarono immediatamente uno sciopero di protesta. I treni vennero fermati alle stazioni di Rifredi, di Campo di Marte e di San Donnino. Furono subito costituiti due comitati di agitazione, d’accordo con la direzione nazionale dalla CGdL, e lo sciopero venne esteso a tutte le categorie e a tutta la provincia. Era la prima giornata della rivolta di Firenze, un grande episodio - superbo di generosità e di slancio - di lotta proletaria e popolare contro il fascismo e la reazione, che, iniziato come risposta alla distruzione della sede del giornale socialista La Difesa, compiuta il 26 febbraio dagli squadristi, durò ininterrottamente fino al 3 marzo, estendendosi dalla città fino ai paesi limitrofi, Scandicci, Empoli, Bagno a Ripoli, Ponte a Ema, con erezione di barricate e con una lunga ed eroica resistenza contro le forze della repressione che vide protagonista, in Firenze, soprattutto il quartiere di San Frediano, insieme a quello di Santa Croce.
In quale clima, in quale momento politico avviene la rivolta antifascista di Firenze?

Dopo l’occupazione delle fabbriche, mentre prosegue in modo inarrestabile la crisi economica del dopoguerra e cresce nelle masse proletarie il fermento rivoluzionario, la scelta reazionaria dei gruppi dirigenti della borghesia capitalistica punta su una resa dei conti col movimento rivoluzionario. Entrano in scena, prima nelle zone agricole della Valla Padana, poi anche in Toscana e in altre regioni, le «squadre d’azione» fasciste, la cui prima impresa di risonanza nazionale è, a Bologna in occasione dell’insediamento del nuovo sindaco socialista, l’assalto a Palazzo d’Accursio (9 morti e un centinaio di feriti).. Dal 31 marzo al 31 agosto 1920 il numero delle sezioni fasciste passa da 317 a 1001, e gli aderenti ai Fasci passano da 80 000 a 187 000. Nel giro di sei mesi vengono saccheggiate o incendiate 59 Case del popolo, 119 Camere del lavoro, 107 cooperative, 83 leghe contadine, 28 sindacati di categoria, 141 sezioni e circoli socialisti e comunisti.

Le violenze e le «spedizioni punitive» dei fascisti si scatenano in tutta Italia, con la tolleranza e, in certi casi, con l’aperta complicità delle autorità statali, e proseguono per tutto il 1921 e il 1922 fino alla Marcia su Roma e oltre. Nelle loro azioni, i Fasci assumono sempre più l’aspetto e la funzione di «braccio punitivo» dello Stato contro le lotte dei lavoratori; il movimento operaio è impreparato inizialmente a fronteggiare questo attacco, anche e soprattutto per la direzione politica incerta e compromissoria del Partito Socialista Italiano, che tende ad assumere un atteggiamento di «pacificazione» nei confronti della violenza fascista. Non mancano, tuttavia, a Milano, ad Ancona, a Bari, a Sarzana, a Roma (nel quartiere di S. Lorenzo), episodi di resistenza e di lotta popolare contro lo squadrismo.

La battaglia più conosciuta contro l’offensiva fascista è quella che si combatte, e si conclude vittoriosamente, a Parma, dove gli Arditi del Popolo, comandati con audacia e perizia dal deputato socialista Guido Picelli (che nel 1923 aderirà al P.C.d’I), mettono in fuga nell’agosto 1922 gli squadristi di Italo Balbo, che lasciano sul terreno 39 morti e 150 feriti. La rivolta antifascista di Firenze del 1921 è, invece, molto meno conosciuta, e per questo noi compagni del Comitato Antimperialista e Antifascista «Spartaco Lavagnini» vogliamo rievocarla questa sera, perché essa è ancora ricca di insegnamenti per l’antifascismo militante di oggi.

Come ha inizio e come si sviluppa la rivolta di Firenze?

Sabato 26 febbraio

Gli squadristi, dopo aver tentato un primo assalto alla Camera del Lavoro in Corso dei Tintori, andato a vuoto perché la trovano presidiata, incendiano la sede del settimanale socialista fiorentino La Difesa in Via Laura. La risposta proletaria è immediata. Viene proclamato uno sciopero generale senza limitazione di tempo; durante la notte cominciano i primi scontri fra la popolazione e i fascisti.
Domenica 27 febbraio

Nella mattinata si tengono due manifestazioni politiche: presso la Camera del Lavoro un convegno indetto dall’Unione Anarchica, e presso la Camera di Commercio (all’interno del Palazzo della Borsa) una manifestazione promossa dal Gruppo studentesco di azione giovanile liberale. I partecipanti a quest’ultima manifestazione si incolonnano in uno sparuto corteo, formato da meno di cento persone, scortato da una sessantina di carabinieri e da due ufficiali, il quale si immette in via Tornabuoni.

Ore 12: all’altezza di piazza Antinori, viene lanciata sul corteo - dall’attiguo vicolo Antinori - una bomba sipe: 2 morti (fra cui un carabiniere) e numerosi feriti. Poco dopo, un altro carabiniere uccide - presso la Loggia del Bigallo - il capotreno delle ferrovie Gino Mugnai, che stava tranquillamente leggendo l’Avanti!. Le indagini della Questura per l’attentato di piazza Antinori si indirizzano subito in direzione della «pista rossa».

Ore 14. Gli squadristi, al comando del loro caporione, il marchese Dino Perrone Compagni, si radunano in Piazza Ottaviani, ritrovo abituale dei fascisti fiorentini, e di lì scatenano i loro assalti contro varie sedi. Attaccano, fra le altre, la sede della sezione comunista di S. Croce, in Via dell’Agnolo, ma sono respinti.

Ore 18. In via Taddea 2, gli squadristi uccidono Spartaco Lavagnini al suo tavolo di lavoro.

Appena avuta la notizia della morte di Lavagnini, i ferrovieri lasciano in massa il lavoro, fermano i treni e proclamano lo sciopero di protesta. Lo sciopero si estende a tutte le categorie e a tutta la provincia. Autoblinde presidiano i viali di circonvallazione. Mitragliatrici dell’esercito piazzate sui tetti tengono sotto tiro i ponti sull’Arno. In Piazza Duomo e in piazza Vittorio Emanuele, quattro cannoni da 75 millimetri dominano le strade principali del centro cittadino. Per tutta la notte la città è percorsa da autoblindate e le vie del centro sono pattugliate da drappelli di guardie regie e di carabinieri, mentre i fascisti continuano indisturbati la loro caccia all’uomo.

Lunedì 28 febbraio

Sono in sciopero tutti i servizi: luce, acqua, gas e tram; le linee telefoniche sono interrotte. Un’ordinanza del Prefetto vieta cortei, comizi e assembramenti di ogni genere. Da via dei Serragli, trecento popolani di S. Frediano si dirigono incolonnati in Via dei Fossi per dare l’assalto alla sede degli ex Combattenti in piazza Ottaviani. Si formano gruppi di Guardie rosse e nel quartiere di S. Frediano vengono erette barricate in Via del Leone, in Via dell’Orto, in piazza del Carmine, in Via della Chiesa e in altre strade. Si accendono scontri anche in Piazza Signoria e in Piazza Santa Maria Novella. La città è presidiata da pattuglie di guardie regie e da soldati di cinque reggimenti di stanza a Firenze.

I fascisti fiorentini pubblicano un loro infame manifesto, che è un vero e proprio invito al linciaggio, e gli squadristi organizzano delle spedizioni punitive in S. Frediano. Dalle 14 alle 17, l’intero quartiere di S. Frediano è un campo di battaglia fra proletari, squadre fasciste, carabinieri e reparti di fanteria e cavalleria. Dopo tre ore di battaglia, la rivolta popolare volge al termine, sopraffatta dal massiccio impiego delle truppe e dell’artiglieria, ma l’improvvisato esercito di proletari e sottoproletari (che, per una giornata, avevano abbandonato i loro mestieri di carbonai, renaioli, carrettieri, fabbri, fonditori e cenciaioli, per rispondere come era necessario alle violenze fasciste) ne esce con onore. Duecento insorti vengono arrestati in S. Frediano; mentre altri conflitti a fuoco si svolgono in Piazza Cavour, Via Palazzuolo e Via della Spada. Anche a Varlungo e a Compiobbi sorgono barricate e si formano gruppi di Guardie rosse.
Ore 17,30: sul Ponte Sospeso transita lo squadrista Giovanni Berta, il cui cadavere viene ritrovato poco dopo nelle acque dell’Arno.

Martedì 1° marzo

Prosegue compatto lo sciopero, esteso ormai a tutta la provincia. Durante la notte, una barricata era stata eretta nel quartiere operaio del Bandino. La Società di Mutuo Soccorso del Bandino viene attaccata, dopo le 11, da carabinieri, guardie regie e reparti di artiglieria, con un’autoblindata e cannoni. Più tardi, arrivano i fascisti che sparano con delle mitragliatrici. Viene arrestato il sindaco di Bagno a Ripoli. Nuove barricate a Bagno a Ripoli, a Ponte a Ema e in località Le Panche. Nel pomeriggio, nuovo assalto fascista alla sezione comunista di via dell’Agnolo. Scontri in tutto il quartiere di S. Croce fra dimostranti - radunatisi in piazza Beccaria al canto dell’Internazionale - e carabinieri, reparti di fanteria e bersaglieri. La sera, i fascisti devastano e incendiano la Camera del Lavoro e la sede della FIOM. Vengono diffusi i manifesti dei deputati liberali e del Partito Popolare, che invitano alla «pacificazione».

Mercoledì 2 marzo

Mentre a S. Frediano si accendono le ultime scintille della rivolta popolare, un manifesto dell’arcivescovo invita anch’esso alla «pacificazione». I ferrovieri deliberano la ripresa del lavoro. L’incidente di Empoli: alcuni marinai in borghese, armati e scortati da carabinieri, vengono inviati su camion da La Spezia a Firenze per sostituire i ferrovieri fiorentini in sciopero. Da molti giorni i fascisti avevano indirizzato minacce all’amministrazione comunale di sinistra empolese, e la popolazione si era mobilitata. Giunti a Empoli, i marinai vengono scambiati per fascisti e accolti a fucilate: nove morti e quindici feriti.. I fascisti organizzano una dura spedizione punitiva a Empoli.

A Scandicci si erigono barricate e viene costruito il «trincerone». Le guardie regie vengono costrette ad abbandonare un camion carico di materiale incendiario con cui si dirigevano verso il paese, e il camion viene dato alle fiamme e gettato nel fiume. Alla fine, una colonna militare dà l’assalto al trincerone con autoblindate, cannoni e mitragliatrici, e pone termine alla resistenza popolare. Vengono arrestati il sindaco di Scandicci e oltre 150 persone.

I fascisti rientrano a Firenze da Empoli e sfilano trionfanti per le strade cittadine.

Il PSI e il Partito Comunista d’Italia pubblicano i loro manifesti. Il riformismo socialista proclama: «Violenza chiama violenza. Sangue chiama sangue. […] Bisogna cessare da ambo le parti. Bisogna rientrare tutti nel grembo della civiltà». Il manifesto comunista riconosce «l’inferiorità proletaria» dovuta alla mancanza nel proletariato di un inquadramento rivoluzionario, ma afferma la necessità di «accettare la lotta sullo stesso terreno su cui la borghesia scende», la necessità «di rispondere colla preparazione alla preparazione, coll’organizzazione all’organizzazione, coll’inquadramento all’inquadra-mento, colla disciplina alla disciplina, colla forza alla forza, colle armi alle armi». Siamo ormai quasi all’epilogo di quelle straordinarie giornate. Quasi tutti i lavoratori riprendono il lavoro. Polizia e fascisti iniziano l’opera di rastrellamento: i quartieri popolari vengono setacciati casa per casa, con arresti in massa. La piazza rimane in mano agli squadristi. Ultimo episodio di violenza fascista: viene aggredito in piazza Antinori l’esponente socialista Gaetano Pieraccini.

Bilancio della provocazione fascista e della rivolta popolare: 17 morti, centinaia di feriti e oltre 1500 proletari arrestati.
Quattro sono gli elementi di riflessione politica che è possibile trarre dalla rievocazione delle «giornate fiorentine» del 1921:

• La risposta unitaria di massa dei proletari e dei popolani alla provocazione fascista, una risposta che viene data nei modi e con i mezzi richiesti dal legittimo diritto di autodifesa contro la violenza squadristica.

• Il coraggio e la determinazione dei proletari e dei popolani, a cui fa riscontro la durezza della repressione: le cifre che ho sopra ricordato parlano da sé.

• Il massiccio sostegno dato ai fascisti dai due quotidiani fiorentini Il Nuovo Giornale e soprattutto La Nazione, forcaiola ieri come oggi, che definiva «baldi giovani» i provocatori fascisti e parlava di una «santa reazione» dei «gruppi nazionali» contro l’estremismo. La Nazione era arrivata a scrivere il 30 gennaio 1921: «Il fascismo non è che un riflesso di uomini che hanno un senso di responsabilità e anche di umanità superiori a quelli della media dei politicanti».

• L’aperta complicità degli ufficiali e della truppa con i fascisti: gran parte delle armi in possesso degli squadristi proveniva dalle caserme regie, e in alcuni casi, i militari stessi prendevano parte direttamente alle spedizioni fasciste.

• L’appoggio entusiastico dato ai fascisti, dopo le «giornate di Firenze», dall’apparato burocratico dello Stato e dalla maggioranza delle classi medie fiorentine. Il prefetto di Firenze, Carlo Olivieri, in una sua comunicazione ufficiale al Ministero dell’Interno, dopo aver rilevato che i fascisti fiorentini erano «largamente sovvenzionati, per i fondi che industriali, proprietari e commercianti versano», aggiungeva: «E’ da avvertire che truppa, Carabinieri, Guardia regia, Municipio e la stessa Magistratura simpatizzano pienamente coi fascisti, all’unisono in questo col sentimento della maggior parte della popolazione».

Ma a commento delle «giornate di Firenze» credo che valgano, meglio delle mie parole, due articoli pubblicati - alcuni giorni dopo la conclusione della rivolta popolare - da L’Ordine Nuovo, di cui leggerò alcuni estratti. Nel primo articolo, del 9 marzo 1921, intitolato Episodi della guerra civile in Toscana, il giornale comunista scriveva:

«Chi è stato il primo a Firenze? Si è incominciato con l’episodio della bomba lanciata in piazza degli Antinori contro un corteo nel quale, secondo un loro costume, le autorità avevano inquadrato, fra i carabinieri e i fascisti, l’infanzia degli asili e delle scuole elementari, tanto per far numero, o non si era invece incominciato con gli assalti e con la distruzione della Difesa, giornale dei socialisti fiorentini incendiato dai fascisti? […] La bomba degli Antinori non si sa chi l’ha tirata […] - sono troppi gli esempi di atti simili compiuti per provocare e per giustificare la reazione successiva, perché si debba dare a quella bomba il valore che i nemici nostri le danno, e non invece proprio l’opposto. L’incendio della Difesa, invece, pubblicamente i fascisti hanno detto e stampato di averlo compiuto essi, non solo, ma di averlo compiuto come primo di una serie di atti la quale doveva culminare nella uccisione dei capi del movimento proletario fiorentino. Basta prendere il numero della Riscossa, organo dei fascisti di Firenze, del 26 gennaio, per trovarvi affermato, in un titolo su sei colonne, che la Difesa è stata distrutta dal Fascio di combattimento; basta scorrere il numero del 29 gennaio dello stesso libello per vedere come in esso si indichino a nome i capi che sono già stati condannati a morte. E primo tra di essi figura Spartaco Lavagnini».

Più avanti, l’articolo così continua: «I fatti di Bologna, di Ferrara, di Modena, il terrore instaurato in questa o quell’altra regione, hanno contribuito e contribuiscono a creare in tutte le regioni, in tutta Italia, le premesse e le condizioni dello stato di guerra civile aperta tra le classi. […] Se ci si mette da questo punto di vista, se si pensa che questo è il momento dello scatenarsi della guerra civile e che la guerra civile assume in un primo tempo una forma speciale, quella dello sviluppo del fascismo come forma della resistenza violenta della borghesia, allora tutto si capisce, allora tutto si vede sotto una luce nuova, tutto si colloca al suo posto e la lotta combattuta dal proletariato di Firenze e di Toscana nei giorni passati rientra nel quadro storico normale della vita italiana dell’oggi, e non può essere indicata ai proletari delle altre regioni se non a questo modo, come un esempio dal quale tutti debbono trarre norme e insegnamenti. […] E’ giunto il momento per i proletari di impugnare con freddezza le armi per difendere se stessi e la classe loro, per salvare ciò che essi hanno creato in tanti anni di lotta, per salvare il loro avvenire. Rendiamo ai proletari di Toscana questo primo merito: il merito di avere avuto questa freddezza, il merito di essersi gettati nel combattimento senza fare nessuna riserva».

L’esempio di Firenze è il titolo del secondo articolo de L’Ordine Nuovo, che l’11 marzo così sviluppava la sua analisi politica degli avvenimenti:
a Firenze, «dove la prima provocazione ha fatto scoppiare, spontanea, violenta, irresistibile, la risposta della sommossa proletaria, lo Stato ha svelato il proprio giuoco in un modo brutale. Il fascismo è scomparso dalla scena per lasciar posto alle forze di repressione e di attacco dell’esercito e della polizia». Non ci ricorda, tutto questo, Napoli? Non ci ricorda Genova, nel momento in cui è imminente, da parte della Procura della Repubblica di quella città, il deposito della richiesta di rinvio a giudizio di trenta funzionari e agenti di polizia, accusati del rivoltante pestaggio alla Scuola Diaz e di altri gravi reati?

La tattica seguita dalla forza pubblica« - continuava l’articolo - «è stata uguale dappertutto e si può esporre schematicamente in questo modo. Primo tempo: i fascisti attaccano e fanno ciò che possono, coll’appoggio indiretto della guardia regia, ecc. Secondo tempo: per la reazione spontanea, violentissima.del proletariato, i fascisti sono costretti a «sparire».Terzo tempo: allora la forza pubblica agisce da sola, senza ritegni, senza rispetto di alcuna legalità esteriore. […] Il popolo ha capito immediatamente come bisognava reagire. Ha capito che quando si attaccano gli istituti proletari con la violenza si attacca tutto il proletariato. Ha capito che il proletariato non deve mai dare esempio di viltà».

« […] La rivolta del proletariato fiorentino è stata completa, superba di generosità e di slancio. Chi ne farà la storia dovrà dire come per due giorni il popolo fu padrone dei suoi borghi e delle sue case e le difese con le armi in pugno. […] La rivolta fu completa, si estese a tutti i borghi, strinse in una cerchia di ferro e fuoco la città. Il fascista che fu gettato in Arno lo fu mentre cercava, precedendo una pattuglia armata dei suoi, di rinnovare l’attacco al rione popolare: morto in guerra, dunque, e non più da compassionare di tutti gli altri morti, anzi, non degno di compassione perché a capo e promotore del movimento fascista cittadino; con piena coscienza, dunque, eccitatore della sommossa e giustamente punito. […] Di fronte alla sommossa vittoriosa, le autorità parvero perdere la testa. Le pattuglie ebbero l’ordine di girare sparando all’impazzata, contro tutte le case, contro tutte le finestre, contro tutte le persone. Ogni muricciolo di mattoni diventò una barricata e richiese l’uso del cannone; ogni Casa del popolo fu considerata come un fortilizio; ogni abitazione privata di operai come un deposito di armi».

L’Ordine Nuovo così concludeva: «Si era ottenuta da parte nostra, in modo spontaneo, la saldatura dell’azione della città con quella dei borghi e delle campagne; si aveva la dimostrazione continua che nessuno era scoraggiato, avvilito o stanco, si aveva, lo stesso giorno della cessazione dello sciopero, la prova della freschezza e della combattività inalterata della massa, disposta a scendere immediatamente di nuovo in lotta, alla notizia di nuove provocazioni».

Questo esempio di combattività, di coraggio, di fermezza, noi dobbiamo saperlo raccogliere oggi per portare avanti la nostra lotta antifascista nelle nuove condizioni in cui opera attualmente, in modo ancor più insidioso di allora, il fascismo del nostro tempo.

È alle più avanzate esperienze di lotta popolare antifascista degli anni Venti che si ricollegò la lotta partigiana dopo il 1943. E proprio al nome di Spartaco Lavagnini si intitolò, nel corso della Guerra di liberazione contro il nazifascismo, una Brigata garibaldina operante nelle province di Siena e di Grosseto.

Voglio concludere questa mia introduzione nel ricordo di tutti i partigiani caduti in Toscana durante la Resistenza, e soprattutto nel ricordo di Aligi Barducci ("Potente"), comandante della gloriosa Divisione garibaldina "Arno", caduto nelle due prime settimane di lotta per la liberazione di Firenze.

A suo nome desidero associare quello del compagno Angiolo Gracci ("Gracco"), comandante della Brigata partigiana "Sinigaglia", che, per ragioni di salute, non può essere qui stasera insieme con noi. Ma col suo cuore, e col suo entusiasmo di sempre, egli è qui con noi, e noi tutti gli rivolgiamo il nostro fraterno saluto.

Viva la Resistenza!

Viva l’antifascismo militante fiorentino!

Oltre a chiudere per sempre l’epoca del socialismo reale, il crollo del muro di Berlino ha aperto quella della denigrazione sistematica dei comunisti, degli antifascisti, dei partigiani, di quanti hanno sbarrato la strada al nazifascismo nel corso del XX secolo accompagnando questa operazione a quella della « riabilitazione » del fascismo.

La memoria dei Lavagnini, dei Matteotti e di quanti sono morti combattendo il fascismo e la reazione serve, fra l’altro, ad impedire che questo disegno politico revisionista abbia successo.
Giustiniano Rossi

Parigi, 26 febbraio 2007