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Intervento introduttivo del Bologna Social Forum

Publie le domenica 8 febbraio 2004 par Open-Publishing

Forum Sociale

Intervento introduttivo del Bologna Social Forum
all’Assemblea Nazionale del movimento dei movimenti
Bologna, Teatro Polivalente Occupato, 7 e 8 febbraio 2004

Quando i compagni del Gruppo di continuità del Forum Sociale Europeo ci hanno chiesto di
organizzare l’Assemblea nazionale del movimento dei movimenti a Bologna abbiamo accettato questa proposta
perché pensiamo che l’esperienza del nostro Social Forum possa essere utile, se si vuole lanciare
una nuova fase costituente del movimento, ridefinendo modalità dello stare assieme, percorsi
comuni, forme di organizzazione e di coordinamento.
Una parte di queste questioni le avevamo già affrontate, sempre a Bologna, lo scorso 19 ottobre,
quando il BSF aveva organizzato un incontro nazionale dei fori sociali locali. In quell’occasione,
una trentina di forum territoriali aprì un confronto costruttivo sull’esperienza dei social forum,
sulla natura, la composizione, le modalità del loro funzionamento, i rapporti tra componenti
organizzate e singoli/e, i rapporti tra le diverse generazioni di attivisti/e, i rapporti con il Gruppo
di continuità nazionale, la dimensione globale e le iniziative locali, i rapporti con le
istituzioni municipali. La discussione fece emergere anche la crisi e lo sgretolamento dei fori sociali
nati nello spirito di Genova 2001.
Certo, in un movimento dove l’orizzonte globale rappresentava il suo maggior punto di forza, i
fori territoriali non potevano raffigurare un punto esclusivo di riferimento, ma rimanevano un
elemento strategico, per dare autonomia, motivazioni, capacità attrattiva e radicamento sociale
all’insieme delle lotte contro il neo-liberismo.
Del resto, è in questa prospettiva che il BSF era nato prima del G8 di Genova, in continuità con
l’esperienza della Rete NoOcse del giugno 2000. E da allora, pur con alti e bassi, tra errori e
momenti di difficoltà, ha continuato a rappresentare uno spazio pubblico di discussione in cui
diverse componenti e tante singolarità riescono a confrontarsi e a camminare insieme. Questo senza voler
rappresentare o perimetrare tutto quello che si muove in città all’interno di un’unica cornice.
Non sappiamo se esista una "particolarità bolognese", ma riteniamo che il nostro metodo di lavoro
abbia permesso al movimento di costruire partecipazione e coinvolgimento (lo si è visto nelle
mobilitazioni contro la guerra, nelle campagne contro i CPT e per i diritti dei migranti, nelle
occupazioni di spazi di aggregazione sociale, nelle lotte per la casa, nella mobilitazione antifascista).
Abbiamo probabilmente contaminato e ci siamo fatti contaminare dalla lotta dei metalmeccanici
(Bologna è la provincia dove si è firmato il maggior numero di pre-contratti); è nato in città il
primo Coordinamento a favore del Tempo pieno che ha prodotto tantissime iniziative in difesa della
scuola pubblica coinvolgendo migliaia di persone.
Abbiamo tenuto saldo un orizzonte globale, ma abbiamo cercato anche costantemente un terreno da
calpestare quotidianamente.
Per questo abbiamo organizzato Bologna-Alegre, per tenere insieme aspetti globali e locali,
proponendo una nostra carta degli intenti per la città, discutendo di ambiente e di risorse, di
sostenibilità sociale e ambientale (temi centrali per evidenziare l’insostenibilità del modello liberista,
purtroppo ancora sottovalutati dal movimento e che dovrebbero invece trovare spazio e
legittimazione all’interno dei suoi percorsi). Abbiamo anche parlato di un modello economico che contrasti le
privatizzazioni dei beni pubblici, costruendo un nuovo welfare che preveda, ad esempio, il reddito
di cittadinanza e reti di economia solidale.
Il nostro è un tentativo, attuale e in evoluzione, di coinvolgere la parte viva della città,
interessata a sviluppare alternative che portino a una nuova municipalità.
Far partire progettualità complesse non è però semplice, è un cammino pieno di domande che deve
coinvolgere altre soggettività per essere effettivamente incisivo.
Non siamo rimasti stritolati dalla lunghissima campagna elettorale per il nuovo sindaco, ma
sicuramente anche noi ne abbiamo risentito.
Abbiamo, però, ritenuto che l’autonomia del movimento rispetto al quadro politico-istituzionale
fosse una necessità e, al tempo stesso, abbiamo cercato di coniugarla ad un processo di radicamento
sociale.

Per questo pensiamo che, anche a livello nazionale, il movimento vada rilanciato preservandone la
sua autonomia, la sua radicalità e la sua unità. Queste sono le tre prerogative che ci hanno
permesso di affrontare il dopo Genova, di organizzare il Forum Sociale Europeo di Firenze e di arrivare
alla grande manifestazione del 15 febbraio a Roma.
Oggi però, accanto a queste tre caratteristiche, il movimento ha la necessità di sperimentare
nuove relazioni sul piano delle vertenze sociali e della conflittualità diffusa, in primo luogo nella
battaglia alla precarietà per contrastare la nascita di una cittadinanza incerta e instabile.
La concretezza dei contenuti riguarda anche il punto delle forme di lotta. Si è aperta in
quest’ultimo periodo una discussione politica che a partire dal tema violenza/non violenza investe molti
aspetti e perciò si può offrire a diverse letture ed obiettivi. Può essere una discussione
importante se non viene vista come modo per delineare dei confini e stabilire delle regole, ma piuttosto
come capacità collettiva di affrontare il tema centrale della natura del potere oggi, nell’epoca
del liberismo dispiegato e della guerra permanente, e di quali siano gli strumenti, culturali e
politici, più efficaci per combatterlo.
Stiamo parlando del come il movimento, nella sua costruzione sociale, debba conquistare spazi e
risultati, sul piano delle politiche, contro un potere che si nutre del binomio guerra-terrorismo.
Questa discussione va promossa a partire dai territori e deve attraversare tutto il movimento
anche per rapportarla alle esperienze reali (noi come BSF cercheremo di farlo); la questione delle
pratiche e delle forme di lotta, che pure esiste, ne sarebbe solo una parte, nè la più importante, né
quella iniziale, semmai ne verrebbe come arricchimento e logica conclusione.
Per noi le forme di lotta vanno rapportate ai bisogni sociali, alle situazioni, all’efficacia e
alle soggettività che le interpretano: il Ministro degli Interni può anche dire che le occupazioni
di case o di contenitori dismessi, le occupazioni delle fabbriche, i picchetti operai, i blocchi
stradali, le occupazioni dei binari o degli areoporti, lo smontaggio di un CPT, gli stessi scioperi
selvaggi degli autoferrotramvieri sono azioni violente, ma per noi rappresentano un diritto
inalienabile al conflitto sociale.
Semmai il problema vero del movimento è che abbiamo evocato tante volte il conflitto sociale e,
invece, abbiamo avuto una scarsa capacità di praticarlo. E, addirittura, abbiamo dimostrato anche
una scarsa propensione a riconnetterci a forme di conflitto sociali esistenti.

LA QUESTIONE SOCIALE

In questi mesi nel nostro paese, così tartassato da una politica ultraliberista condita coi
reiterati conflitti di interessi di Berlusconi, si sono prodotte, sul terreno sociale, diverse istanze
che hanno messo in scacco i sindacati della concertazione e che sono riuscite, con la radicalità
delle rivendicazioni, a scompaginare schieramenti politici consolidati. Parliamo della resistenza
dei metalmeccanici, della lotta di Scanzano, della mobilitazione a difesa della scuola pubblica,
della rivolta degli autoferrotramvieri.
Proprio la riuscita del recente sciopero di questi ultimi, convocato dai soli sindacati di base,
si carica di significati che investono contemporaneamente la sfera sociale e quella politica. La
rabbia degli autoferrotramvieri ha fatto venire a galla, con forza, l’emergenza salariale e la
questione della rappresentanza e, al tempo stesso, ha contribuito a una affermazione d’autonomia che ha
cancellato gli ultimi colpi di coda delle letali politiche concertative.
Prima degli autoferrotramvieri, anche i metalmeccanici della FIOM non hanno accettato un contratto
al ribasso e, con le vertenze fabbrica per fabbrica per i pre-contratti, hanno cercato di uscire
in avanti dalla scellerata logica del "Patto per l’Italia", con una piattaforma che aveva al centro
il salario, la lotta alla precarietà e i diritti dei lavoratori migranti e il rapporto democratico
coi lavoratori.
Oltre a questa ripresa di lotte operaie, abbiamo assistito, a cavallo dei mesi di novembre e
dicembre, a due eccezionali settimane di lotta a Scanzano Jonico, dove si è prodotta una delle
esperienze più significative contro la devastazione sociale e culturale imposta dalle logiche
neoliberiste.
La mobilitazione contro le scorie nucleari non è stata solo una iniziativa di difesa, per
"proteggere" i cittadini del Metapontino, ha aperto la strada ad altre lotte per la tutela dell’ambiente e
della salute che oggi sono partite a Civitavecchia e alla Maddalena, non a caso il 15 febbraio,
proprio a Scanzano, ci sarà il primo incontro delle realtà di lotta del sud Italia.

Le lotte sull’ambiente e per la difesa del posto di lavoro pongono all’attenzione anche la
questione del come e cosa produrre. Da questo punto di vista il consumo è al centro del nostro vivere
quotidiano e spesso in forme diverse appare strumento di selezione, di identificazione di gruppi,
fattore di inclusione ed esclusione.
La cultura del consumo è funzionale a questo sistema economico, lo sostiene e grazie ad esso si
alimenta rafforzando le strutture di potere economici e gli effetti della globalizzazione. Essere
nel movimento significa porsi il problema dei consumi e diffondere il consumo critico come forma di
lotta generalizzata in grado di bloccare nel breve periodo le strutture di potere e le dinamiche
di sfruttamento transnazionali causa della competizione al ribasso alle spalle dei diritti dei
lavoratori e della tutela ambientale. Il boicottaggio della Esso è stato un primo tentativo che va
esteso ad altri settori puntando su maggiore coordinazione e pervasività. Nel medio periodo è
necessario estendere la trasformazione dai consumi all’intera sfera economica inserendo nelle iniziative
di movimento la ricerca di processi di economia solidale che in Argentina e Brasile è ampiamente
praticata come forma di resistenza e di lotta all’emarginazione.

Straordinaria è stata anche la vicenda che ha investito la scuola, il settore che da più tempo sta
resistendo ai violenti attacchi del neo-liberismo, mettendo in campo ora gli insegnanti, ora gli
studenti, ora il personale ATA, ora i genitori, come sta avvenendo in questo momento contro il
decreto Moratti. Il movimento cresciuto dal basso, in questi mesi, in difesa del tempo pieno e della
scuola pubblica, che ha prodotto centinaia di assemblee, raccolte di firme, mobilitazioni di tutti
i tipi, le grandi manifestazioni di Bologna e Roma del 29 novembre e poi ancora a Roma il 17
gennaio, oggi chiede, con forza, lo sciopero generale della scuola da svolgersi entro febbraio. E’
evidente che la proclamazione unitaria dello sciopero della scuola renderebbe esplicito, per i numeri
e per la qualità della protesta, il rifiuto di una contro-riforma e di un decreto che smantellano
la scuola pubblica.

Altra questione fondamentale che dovrebbe attirare l’attenzione del movimento (fino ad ora, per la
verità, abbastanza distratto) è la mobilitazione contro la legge 147 sulla fecondizione assistita
(che vede, proprio in questi giorni a Bologna, diversi momenti significativi, paralleli alla
nostra assemblea, tra cui, il più importante, è la manifestazione di oggi pomeriggio a cui
parteciperemo).
Questa legge oscurantista, recentemente approvata dal Senato, offende le donne, lede la loro
libertà e i diritti di tutte le persone, invade la sfera più intima di scelta sulla quale lo Stato non
deve entrare, non tutela la salute riproduttiva; mira a rimettere in discussione
l’autodeterminazione femminile sancita nella legge sull’interruzione volontaria di gravidanza. Imbriglia la
scienza, ferma la ricerca e toglie così la speranza di guarigione per malattie oggi incurabili.
Anche come movimento e come fori sociali dobbiamo contribuire ad estendere e tenere viva una rete
di mobilitazione nella società, con il mondo della cultura e della scienza, per far vincere i
valori di laicità e di responsabilità individuale raggiunti in passate stagione di conquiste dei
diritti civili.

LA LOTTA CONTRO I CPT PER I DIRITTI DEI MIGRANTI

Dopo la vergognosa sanatoria del 2002, che ancora dispiega i propri effetti in termini di
ricattabilità e sfruttamento dei lavoratori migranti in questo paese, nel quadro della Legge Bossi Fini
ormai entrata a pieno regime, i centri di permanenza temporanea si rivelano oggi il fulcro stesso
della gestione delle politiche migratorie della fortezza di Schengen. Istituzioni normali che
costituiscono una tappa obbligata o una minaccia costante non solo per i clandestini che attraversano il
nostro paese, ma anche nel quadro più generale di quei processi di clandestinizzazione che la
Bossi Fini vuole.
Non bisogna smettere di denunciare le aberrazioni e le violenze che i CPT rappresentano e agiscono
sui corpi e sui desideri dei migranti, ma è pure fondamentale comprenderne la funzione specifica
all’interno di quei processi che le politiche migratorie e quelle del lavoro vogliono realizzare a
livello italiano ed europeo, attraverso i migranti, contro i migranti e contro il lavoro. Bologna
ha costituito negli ultimi anni uno dei teatri principali delle lotte dei migranti e del movimento
in Italia; per noi, oggi, è necessario dare continuità alle molte esperienze che il movimento ha
sostenuto in questi anni, dalle lotte per la casa a quelle per la tutela legale, dallo smontaggio
del CPT allo Scalo Interrnazionale Migranti. Il Bologna Social Forum ha organizzato una settimana
di iniziative in vista della giornata europea di lotta del 31 gennaio, dove queste e altre
esperienze hanno trovato un contesto comune di lotta e iniziativa politica. La parola d’ordine della
chiusura dei CPT è stata così riportata al quadro più generale di quei processi di clandestinizzazione
e precarizzazione dell’esistenza dei migranti che sono la leva di un processo che investe tutti
rendendo evidente la connessione tra la Bossi-Fini e la legge 30 sul mercato del lavoro. Si tratta
oggi di costruire le condizioni perché la presa di parola del lavoro migrante s’imponga contro le
resistenze delle organizzazioni sindacali che, spesso appiattite sulle loro logiche concertative,
hanno opposto in questi anni veri e propri rifiuti alle prospettive di lotta di cui i migranti si
sono portatori: - opposizione alle forme di razzismo e discriminazione presenti sugli stessi luoghi
di lavoro, agendo affinché la centralità politica del lavoro migrante divenga consapevolezza di
tutti i lavoratori. - Individuazione di terreni comuni di lotta che attraversino ogni confine tra
lavoratori migranti e italiani, dalle lotte per la casa a quelle per le pensioni (la cui
ridefinizione era già presente, due anni fa, nella legge Bossi Fini), a quelle per la riappropriazione di un
welfare ormai compiutamente smantellato dalle politiche neoliberiste italiane ed europee. E’
necessario, ancora, che il movimento e le donne del movimento si facciano carico della costruzione di
uno spazio specifico in cui la presa di parola delle donne migranti e faccia finalmente splodere le
contraddizioni che attraversano sia le comunità di appartenenza, che quello stesso movimento che
rivendica per sé l’eredità dei femminismi.

NO ALLA GUERRA NO AL LIBERISMO

La questione della guerra rimane punto centrale della lotta contro il liberismo. La "guerra
globale e permanente" esplicita nel modo più evidente e nei suoi versanti esterni/interni il "salto"
compiuto dal liberismo e dagli USA a fronte di una crisi sempre più evidente di sviluppo e di
credibilità. Con la guerra viene messa in campo la logica imperiale e violenta del puro rapporto di
forza, logica non immediatamente battibile, ma che oggi appare nei fatti "impantanata" dalle tante e
forti resistenze incontrate prima e dopo l’inizio della guerra, a partire da quella del popolo
iracheno. La giornata di mobilitazione del 20 marzo ripropone con forza ed a livello mondiale
l’obiettivo del fermare la guerra ed è importante che questa scadenza ci sia stata proposta da un movimento
americano, prima in difficoltà ed oggi più forte e radicato (questo dovremmo continuamente
sottolinearlo). Lo straordinario movimento contro la guerra, una volta iniziata l’invasione dell’Iraq,
non è scomparso né ha cambiato idea, mille prove e sondaggi lo confermano, non ha però saputo
trovare le forme più idonee ed efficaci per restare in campo, anche perché non apparivano del tutto
chiari obiettivi immediati da raggiungere. Il 20 Marzo ridà a tutto il movimento un respiro planetario
ed obiettivi chiari: fermare la guerra permanente, ritiro immediato di tutte le truppe occupanti,
dall’Iraq come dalla Palestina e dalla Cecenia, diritto dei popoli all’autodeterminazione ed
all’autogoverno attraverso garanzie e sostegno internazionale e dell’ONU, con l’esclusione delle truppe
oggi occupanti. Il 20 marzo può essere una tappa decisiva nella lotta contro la guerra permanente
ed il liberismo, tappa però per niente scontata e tutta da costruire con percorsi che attraversino
tutti i territori e con la capacità di coinvolgere ed includere tutte le forze contrarie alla
guerra.

La guerra permanente significa anche rilancio degli armamenti e taglio delle spese sociali,
restrizione dei diritti e delle libertà. All’occupazione militare del tutto illegale dell’Iraq si
accompagna oggi un’espropriazione istituzionale ed economica altrettanto illegale. L’Italia è pienamente
coinvolta: al seguito delle truppe italiane si muovono già interessi ed aziende, mentre Berlusconi
scodinzola ad ogni gesto di Bush ed il centro-sinistra si appresta ad avallare di fatto la
presenza di truppe occupanti in Iraq.
Il Tavolo contro la guerra di Bologna, formatosi fin dall’ottobre 2002 su proposta del BSF con
tutte le forze contrarie alla guerra senza se e senza ma, nonostante un ridimensionamento delle
iniziative, ha continuato ad essere presente sulla Palestina, con la manifestazione dopo Nassirya; per
il 20 marzo abbiamo definito un percorso di base, che coinvolga l’intero territorio ed entro il
quale possano essere collocate altre e differenti iniziative. Il 20 marzo, deve attraversare tutte
queste dimensioni, per andare oltre il "ripudio della guerra" come "testimonianza", per quanto la
più alta e radicale. Torna perciò centrale la domanda: "come inceppare/fermare la macchina della
guerra?". Rispondere significa trovare i nessi tra lotte sociali, per il salario ed il reddito e
disarmo, tra difesa dei beni comuni e dell’ambiente, smilitarizzazione dei territori e chiusura delle
basi, tra economia solidale e diplomazia dal basso, tra smilitarizzazione delle menti, educazione
alla pace, ripudio della guerra e del terrorismo e netta opposizione all’uso strumentale della
lotta al terrorismo per giustificare le guerre, criminalizzare i movimenti e restringere le libertà
civili. In questi due giorni dovremo discutere sul come tenere assieme tutto questo, sul come
rispondere efficacemente a quella domanda con la stessa radicalità e unità di cui siamo stati capaci in
passato, sul come costruire in ogni territorio Comitati, azioni, eventi per estendere il
movimento, anche utilizzando le carovane promosse dal Comitato nazionale che attraverseranno da nord e da
sud tutta l’Italia, sul come infine opporci da subito al voto parlamentare.

IL "FRONTE INTERNO"

Con la guerra preventiva permanente i più crudeli strumenti di controllo e di segregazione (in
primo luogo le carceri etniche) utilizzati contro i migranti, si estendono all’intera società con una
forte accelerazione di tutti i provvedimenti e di tutte le norme che, con enormi forzature, sono
stati accreditati come "strumenti di lotta al terrorismo". Il sistema giuridico europeo sta
assimilando sempre di più la legislazione eccezionale americana. La libertà delle persone e le garanzie
sono ormai considerate ostacoli all’esercizio della giustizia. Controllo, militarizzazione e
repressione diventano i principi regolatori delle società contemporanee. Per quanto riguarda il nostro
paese, oltre che la legge contro i migranti, l’emblema di questo processo è la nuova legge
proibizionista che prende anch’essa il nome da Fini e si concretizza in una ossessione securitaria con una
carcerizzazione esasperata dei consumatori. A tal proposito, ricordiamo "ConFiniZero", la grande
manifestazione contro la legge proibizionista che si sta preparando per sabato 21 febbraio a Roma.
Ma il cosiddetto "fronte interno" sta producendo una fase di nuovo emergenzialismo in cui nel
mirino finisce il conflitto sociale. Sempre più di frequente vediamo il Ministro degli Interni
sostenere un improponibile corto circuito: lotte sociali, violenza politica, terrorismo. E’ sulla base
dello stesso concetto che si ispirano, di conseguenza, l’indagine di polizia e l’azione giudiziaria.
Così mentre venivano arrestati Nunzio D’Erme e i compagni di Action a Roma, Pisanu dichiarava
"illegale" lo sciopero degli autoferrotramvieri di Milano. E, qualche settimana prima, erano state
assimilate ad associazione a delinquere le lotte dei disoccupati di Napoli e le occupazioni di case a
Roma, mentre nel nord-est venivano ripristinati confini, allontanamenti e misure di polizia da
ventennio fascista contro compagni disobbedienti. Inoltre, dopo Napoli e Genova, si è fatta strada,
sempre più spesso una concezione cupa e sbirresca della gestione dell’ordine pubblico, che vede
come "sediziose" ormai quasi tutte le manifestazioni di protesta: lo si è visto alcuni giorni fa a
Roma con le cariche e gli arresti a un corteo di senza-casa o con la proposta di legge di Forza
Italia di vietare la partecipazione ai cortei dei ragazzini per frenare il movimento contro la
Moratti. L’attacco portato ai movimenti, alle garanzie democratiche, alle libertà individuali si
intreccia sempre di più con la guerra globale permanente, la legittimità formale è sempre più schiacciata
nella spirale guerra-terrorismo. Diventa, quindi, necessario che, nella preparazione delle grandi
scadenze collettive contro la guerra, si tenga conto anche degli effetti che essa produce sul
"fronte interno". Pertanto, proponiamo di accogliere l’appello lanciato da Haidi Giuliani per una
giornata di mobilitazione per il 2 marzo, data di inizio del processo contro i manifestanti di Genova
2001.

CONTRO LA FORTEZZA EUROPA PER UN’EUROPA SOCIALE

La costruzione di "un’altra Europa" ha per noi un valore strategico come possibile risposta al
dominio imperiale USA e come terreno di costruzione di una globalizzazione alternativa. Essa può
procedere solo dal basso, muovendosi con il passo di una vera dimensione europea dei movimenti. Non
possiamo puntare su percorsi brevi, né tantomeno caricare di aspettative eccessive gli ambiti
istituzionali (che pure possono avere un valore simbolico-comunicativo e politico). L’esperienza della
giornata europea contro i CPT ha dato spinta e forza a questo percorso comune; Costituisce una
tappa da valorizzare ed estendere ad altri terreni: dalla questione della guerra il cui rifiuto deve
essere l’articolo uno della Costituzione, alla unificazione delle lotte sociali, a partire da
quelle dei migranti, dalla introduzione del reddito di cittadinanza alla sostenibilità sociale ed
ambientale dello sviluppo, individuando modi e percorsi concreti di collegamento, anche senza rinviare
tutto ai prossimi FSE.

AVVIANDOCI ALLE CONCLUSIONI

Vogliamo ricordare che il fallimento del WTO a Cancun ha rappresentato un’importante vittoria del
Movimento mondiale contro la globalizzazione. Ma questa vittoria rischia di essere parziale visto
che i problemi dell’agricoltura della privatizzazione dei servizi e della mercificazione dei
diritti e delle risorse sono ben lontani dall’essere risolti ed il WTO si riorganizza nei palazzi
chiusi di Ginevra. Il Quarto Forun Sociale Mondiale di Mumbai, però, ha dimostrato che il movimento dei
movimenti ha ancora risorse da attivare. Ad ogni suo appuntamento il movimento si rivela più ricco
ed eccede la sua stessa percezione con la consapevolezza di essere un movimento veramente globale.
La finestra di Mumbai ci ha fatto vedere altri soggetti, altre priorità ed altre modalità di
lotta. Non saremo più come prima, non saremo più la stessa cosa e fra un anno saremo ancora diversi. Ci
piacerebbe pertanto che questa assemblea, che noi riteniamo molto importante per il movimento
italiano, non fosse solo un luogo di libero confronto, permeato di astrattezza e retorica. Vorremmo
che in questo incontro nazionale si aprisse una nuova fase nella vita del movimento, individuando
gli appuntamenti, le scadenze e le campagne, tracciando un percorso che vorremmo comune a tanti
altri, generando una "disponibilità alla mobilitazione" che la semplice somma delle reti organizzate,
dei sindacati o dei partiti non può raffigurare. Ma vorremmo anche discutere le forme nuove dello
stare insieme, i tavoli tematici, i Forum sociali, la funzione del Gruppo di continuità nazionale,
le modalità decisionali e di quali strumenti orizzontali di comunicazione il movimento si deve
dotare.