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CESARE BATTISTI : e Frankenstein fabbricò la sua creatura (seconda puntata)

Publie le venerdì 2 aprile 2004 par Open-Publishing

Dazibao


L’ORRORE DELLA STAMPA ITALIANA RIVELATO DAL CASO CESARE BATTISTI

di Valerio Evangelisti

Processo al serial killer

Sul Corriere della Sera del 22 febbraio 2004, PAOLO MIELI in
persona spiega a
un lettore di Firenze la vicenda processuale di Battisti: “Cesare Battisti
ha quasi cinquant’anni; nel 1978 fu condannato qui da noi a due ergastoli per
quattro
omicidi e tre ferimenti
”. Non è affatto vero. Battisti fu arrestato nel
1979
(e non nel 1978) nell’ambito delle retate che seguirono all’omicidio Torregiani,
e che portarono in carcere decine di giovani, per lo più legati al milanese Collettivo
autonomo della Barona.

Le imputazioni iniziali, per Battisti, erano relativamente leggere: detenzione
di armi e simili. Ma in quegli anni si finiva in carcere per reati minori, e
via via l’imputazione si allargava o addirittura si modificava (ne sanno qualcosa
gli imputati del 7 aprile 1979) a seconda delle confessioni
strappate nel frattempo ai coimputati. Quando si giunse al processo, la richiesta
del Pubblico Ministero Corrado Carnevali fu per Battisti di
13 anni, e non già l’ergastolo. Non lo si
accusava dell’omicidio Torregiani, bensì di avere fatto parte del gruppo che
lo aveva premeditato. Gli accusati dell’esecuzione materiale erano altri quattro
giovani, che in effetti furono condannati a pesanti pene detentive. Prima di
proseguire oltre, chiediamoci perché Paolo Mieli menta (non
c’è altro verbo possibile: mi quereli, se crede) al lettore che, fiducioso, gli
chiede delucidazioni. Probabilmente
non ha avuto la possibilità di informarsi compiutamente; forse ha attinto da
articoli di suoi colleghi, in un momento in cui la carta stampata sembra colta,
circa Battisti, da delirio collettivo. Certo è paradossale che il direttore di
un giornale, che ha a disposizione archivi molto più ricchi del mio, su Battisti
raffazzoni alla meglio quattro stupidaggini (chiamiamole col
loro nome) e le propini ad alcune centinaia di migliaia di lettori come se fossero
verità.

Si obietterà che in fondo si tratta di dettagli: che importa se Battisti sia
stato arrestato nel 1979 e non nel 1978, che le condanne all’ergastolo siano
state di molto successive, che abbiano riguardato due omicidi e non quattro.
Visto che Battisti è comunque un assassino tra i peggiori, Paolo Mieli è legittimato
a servirsi di fonti di seconda mano e a confondere le date. Tocca a Battisti
stesso abiurare, una buona volta, e fissare la cronologia dei suoi delitti. Mi
sento di obiettare – mi si perdoni, con sdegno – che qui sono in gioco la vita,
la libertà e l’onore di un uomo. La consapevolezza di questo dovrebbe indurre
anche il pacato Paolo Mieli a qualche scrupolo, quando fornisce le sue informazioni.
O no?
Visto che rinuncia a farlo, lo metto sullo stesso piano (ahimé, molto basso)
di quell’ANDRE BERCOFF, direttore di France-Soir, che
sul Quotidiano
Nazionale
(Il Resto del Carlino, La Nazione, Il Piccolo) del 6 marzo
2004 scrive che Battisti
fu condannato a due ergastoli “per avere personalmente ucciso un gioielliere,
ferito suo figlio, oggi paraplegico, e per l’omicidio di un agente di custodia
e di un poliziotto
” (Bercoff mette questa frase tra virgolette, come se
l’avesse
tratta da qualche atto ufficiale, ciò che non è).
L’articolo di Bercoff si intitola “Ma Battisti non è Dreyfus”. Più che
d’accordo.
Però mi chiedo da che parte sarebbe stato Bercoff, ai tempi di Dreyfus. E da
che parte sarebbe stato Mieli, vista la disinvoltura con cui raccoglie e trasmette
informazioni errate.

La procedura giudiziaria secondo Collodi

Ma riprendiamo l’iter di Battisti, dato che non c’è giornale che sembri conoscerlo.
Lo abbiamo lasciato che aveva 13 anni di galera sul groppone. Evade nel 1981
dal carcere di Frosinone, aiutato da alcuni compagni travestiti da carabinieri,
sotto il peso di questa condanna.
Su L’Unità (versione on line) del 9 marzo 2004 il magistrato ARMANDO
SPATARO
,
all’epoca membro dell’ufficio del Pubblico Ministero diretto da Corrado
Carnevali
,
sostiene la regolarità di questo processo (in cui Carnevali pronunciò la requisitoria
più lunga che si ricordi: tredici ore) e dei successivi che riguardarono Battisti.
E’ vero, sotto un profilo formale, ma di che norme si trattava? Quelle, per esempio,
che permisero la condanna a tre anni e mezzo di prigione di un imputato minore, S.B.
Il PM lo accusò di “partecipazione a banda armata” perché frequentava un
presunto “covo” di via Calmieri, a Milano. In realtà il “covo” era una sede del
PDUP (partito non più esistente, ma allora perfettamente legale) messa a disposizione
di un collettivo di quartiere. Successivamente il PM addebitò a S.B. anche il “concorso
morale” negli omicidi Torregiani e Sabbadin. Un “pentito” di Prima Linea apparso
nel 1982, Pietro Mutti, lo avrebbe udito pronunciare parole
d’approvazione per
i due delitti. Nient’altro. Tre anni e mezzo di prigione. Illegale? No, quando
esiste nel codice (ed esiste solo in Italia) un reato di “concorso morale”. A
S.B. andò anche peggio. Portato in questura, uscì dagli interrogatori con un’otite
traumatica e lesioni a un testicolo.

Denunciò torture, ma il sostituto procuratore Marra sostenne
che ciò non veniva confermato dagli agenti e dagli ufficiali di polizia. Carnevali
affermò anche che ulteriori dodici denunce di tortura, causa di un duro intervento
di Amnesty
International
contro la gestione italiana della giustizia, avrebbero
fatto parte di un piano degli imputati per screditare la magistratura. In pratica,
si sarebbero
picchiati da soli.
Ciò è quanto Antonio Spataro considera un uso “normale” della giustizia. “Normale” è forse
anche il fatto che nel suo articolo annunci pressioni sui colleghi francesi,
attraverso le associazioni internazionali dei magistrati, perché concedano l’estradizione
di Battisti. Il concetto di “normalità” caro a Spataro, devo dire, non coincide
col mio. Ma torniamo a Battisti, uno dei tanti imputati del processo Torregiani.
Si trova ormai in Messico quando un latitante dello stesso procedimento, il già citato Pietro
Mutti
(non dei PAC, ma di Prima Linea), viene finalmente catturato,
e
subito si pente. Solo ora Battisti, scagionato dall’omicidio Torregiani persino
dal “pentito”, si trova a essere accusato di altri tre delitti, di alcuni ferimenti
e di una sessantina di rapine. Non voglio anticipare troppo ciò che scriverò la
settimana prossima; dico solo che si trova in buona compagnia. Assieme a lui,
grazie alla loquacità del pentito, siede sul banco dei rei persino Yasser
Arafat
.

Mi limito a una domanda: avete finora trovato tracce di questa storia su qualche
giornale italiano?

da Carmilla

30.03.2004
Collettivo Bellaciao