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Ritrovare lo slancio del femminismo

Publie le lunedì 28 giugno 2004 par Open-Publishing

Dazibao

di Christine Delphy

Si parla spesso delle conquiste del movimento femminista. Ma nessun
progresso sociale, anche quando diventa legge, è garantito per
sempre.

La storia contemporanea lo dimostra ampiamente. Le conquiste del
femminismo, particolarmente fragili, sono esposte a rischi di vario
tipo: gli attacchi «maschilisti», il «baquelache (1)» ideologico la
cattiva volontà politica; il martellamento del mito
dell’ «eguaglianza realizzata». La controffensiva patriarcale è
attiva in tutti i paesi. Ovunque, sono soprattutto donne quelle che
vengono mandate in prima linea ad affermare che il femminismo non
passerà o non è passato; non è o non è più utile; è sempre stato
dannoso o lo è diventato. Tra loro, ex femministe o simpatizzanti,
le cui parole vengono assaporate con quella golosità un po’ oscena
un tempo riservata alle «confessioni» degli ex stalinisti. Gli
argomenti, spesso presi in prestito dagli Stati uniti, sono sempre
gli stessi: le femministe esagerano perché ormai le donne non sono
più oppresse, le molestie sessuali non esistono, lo stupro coniugale
neppure (2). Il tutto è accompagnato da vibranti espressioni di
sdegno.

Anche nel campo dei costumi esisterebbe una «eccezione francese
(3)»: i rapporti tra i sessi sarebbero idilliaci. In Francia il
sessismo grossolano degli stranieri lascerebbe il posto alla
raffinata «seduzione» gallica. È lecito chiedersi come persone, per
altri versi intelligenti, possano credere, malgrado le inchieste, le
cifre, i tanti fatti che mostrano la straordinaria somiglianza tra
un paese e l’altro, che l’oppressione delle donne si blocchi
all’improvviso, come a suo tempo la nube di Chernobyl, ad Annemasse
e a Port-Bou.

Quando le convenzioni internazionali o le direttive europee restano
lettera morta; quando le leggi nazionali che vietano la
discriminazione sessuale, così come quelle che proibiscono la
discriminazione razziale, non vengono applicate, si è obbligati a
parlare di collusione, non detta e pur tuttavia reale, tra tutti i
protagonisti: datori di lavoro, sindacati, apparato giudiziario,
stato, media. In Francia, la legge del 1983 sull’eguaglianza nel
lavoro non è mai stata messa in pratica.

Era del resto pensata per questo, dal momento che non veniva
prevista alcuna sanzione; solo la legge «Génisson» del 2001 ne ha
introdotte alcune, mentre il capo dello stato, alla vigilia delle
elezioni regionali, ha annunciato che intende farla applicare (4).
Una promessa che vale una confessione, visto che riconosce la
necessità di un intervento presidenziale perché una legge sia
considerata qualcosa di diverso da un pezzo di carta straccia. Anche
la legge sull’aborto è violata mattina, pomeriggio e sera da
ospedali, capi servizio, servizi sociali e stato che non realizzano
i centri per l’Interruzione volontaria della gravidanza (Ivg),
previsti dai decreti applicativi. Bisogna condurre una battaglia
quotidiana per impedire che, tra «disfunzioni» e lavoro sotterraneo
delle lobbies anti-aborto, l’Ivg, puramente e semplicemente
scompaia. Il compito è reso ancora più difficile dal fatto che le
lobbies «maschiliste» in Francia, come peraltro a livello
internazionale, sono fortemente organizzate e molto ricche. Giorno
dopo giorno, anno dopo anno, i gruppi di pressione depositano sulle
scrivanie di ministri e deputati proposte che rimettono in
discussione le leggi sull’aborto, sulle molestie sessuali, sul
divorzio. Le azioni spettacolari e pubbliche, come quelle dei
commandos anti-aborto, sono in realtà delle eccezioni.

Più spesso, questi gruppi si muovono in modo sotterraneo,
formano «esperti» che poi andranno a testimoniare nei tribunali,
scrivono libri di «psicologia» da cui avvocati difensori di maschi
violenti e padri incestuosi, ma anche scrittori che si ispirano
al «baquelache», trarranno ispirazione ed argomenti (5). Oltre al
diritto all’aborto, essi prendono di mira le leggi che puniscono la
violenza maschile contro donne e bambini. Ne consegue che buona
parte dell’energia del movimento femminista è impegnata a far
adottare certe leggi e poi a farle applicare. Ma questo non può
essere il suo unico scopo. Infatti, la palese diseguaglianza tra
donne e uomini sul mercato del lavoro parte dallo sfruttamento del
lavoro domestico che le donne garantiscono al 90%. È uno
sfruttamento che fa parte dell’ossatura del sistema, come la
divisione in classi sociali. E la struttura sociale non può essere
modificata dalla legge - al contrario, ne costituisce il fondamento,
anche se rimane nascosto.

Come rimettere in discussione questo aspetto dello sfruttamento
economico delle donne, che sembra interessare solo la relazione
interpersonale di coppia, mentre costituisce il fondamento
dell’organizzazione patriarcale delle nostre società? Trovare
l’esatto punto d’attacco è una sfida che il movimento femminista non
ha ancora raccolto, anche se alcuni suggerimenti cominciano ad
arrivare (6).
Il fatto che due o tre generazioni di giovani donne, che avrebbero
dovuto prendere il testimone delle femministe degli anni ’70, si
siano invece tenute lontane dal movimento, ne ha confinato discorsi
e lotte in ambiti ristretti. I media hanno fatto la scelta
dell’antifemminismo con campagne che propongono un’immagine negativa
delle femministe «racchie e frustrate», «anti-uomini», «tutte
lesbiche»... Ma l’arma più efficace è il martellamento sull’idea
che «tutto è ormai risolto, non resta altro da fare»...salvo
rimboccarsi le maniche e dimostrare che si è degne della conquistata
uguaglianza (7). E se le donne non ci riescono, la colpa è loro - e
non della società. E loro si colpevolizzano.

Parlare di «eguaglianza realizzata» non è solo una menzogna, ma un
veleno che entra nell’animo delle donne e distrugge la loro stima in
se stesse, la convinzione spesso fragile di essere individui
completi - e non a metà. Una delle sfide del femminismo attuale
consiste nel fare chiarezza su questo punto, nel dimostrare che in
nessun paese e in nessun rapporto sociale chi domina rinuncia di
buon grado ai propri privilegi. Bisogna spingere le donne alla
lotta, e per questo - ed è forse la cosa più difficile - convincerle
che valgono. Ovunque nel mondo sono state innalzate barriere
ideologiche contro qualsiasi azione a favore di un’uguaglianza
sostanziale... in nome della stessa uguaglianza. In Francia, la
classe politica - sinistra o destra non fa differenza - e una parte
dell’intellighenzia brandiscono il concetto di repubblica contro
qualunque rivendicazione dei gruppi che si sono costituiti in nome
di una comune oppressione, come le donne, gli omosessuali, gli
operai, le vittime del razzismo. Ogni riferimento a categorie o
gruppi è considerato contrario allo spirito della repubblica, e
dunque allo spirito dell’eguaglianza. Questo è il sillogismo usato
dal Consiglio costituzionale, nel 1982, contro la proposta di quote
per le donne (del 25%) nelle liste elettorali.

La campagna per la parità è stata attaccata in nome
dell’universalismo repubblicano, e certo le si poteva rimproverare
un certo essenzialismo, ma non di voler correggere un’innegabile
discriminazione nell’accesso alle cariche elettive. A volte, anche
gli omosessuali o i figli degli immigrati sono sospettati
addirittura di complottare contro i principi repubblicani, mentre
invece, uniti da un comune senso di esclusione, non chiedono altro
che entrarvi, in questa repubblica! Così, nella confusione non
casuale tra eguaglianza proclamata ed eguaglianza reale, alcuni
finiscono col trasformare la repubblica in un’arma contro
l’eguaglianza reale. Ricordare che l’eguaglianza costituisce un
ideale da costruire, contro una realtà fatta di diseguaglianze è
un’altra importante sfida del femminismo.

Un movimento non si limita ad avanzare lungo un percorso, ma lo
traccia; la cartografia dell’oppressione e il disegno della
liberazione non finiscono mai. Più interno al movimento femminista,
uno degli obiettivi cruciali punta a ritrovare lo slancio legato
alla specificità dei suoi principi di separatismo. Questi ultimi
fanno del movimento femminista un modello di auto-emancipazione -
dove gli/le oppressi/e non solo lottano per la propria liberazione,
ma la definiscono. Le lotte femministe sono molte (per l’aborto, i
diritti delle lesbiche, contro le violenze, ecc.), diverse nelle
forme organizzative (gruppi locali, federazioni nazionali come
solidarietà-donne, coalizioni come il collettivo nazionale per il
diritto delle donne (Cndf), commissioni all’interno di leghe o
organizzazioni non governative (Ong) internazionali).

Gran parte dell’azione femminista si realizza in gruppi composti da
donne e uomini: sia che si tratti di gruppi misti per scelta - come
MixCité, il Collectif contre le publisexisme, la Meute - o di fatto,
come le commissioni femminili nei sindacati o nelle Ong, nei gruppi
o nei partiti. È una promiscuità necessaria alla diffusione
dell’azione femminista, alla sua presenza in un gran numero di
luoghi sia militanti che istituzionali - gli studi femministi, per
esempio, vengono portati avanti nella ricerca e nell’università. I
gruppi misti sono insieme sia la dimostrazione della capacità
dell’azione femminista di ottenere un ampio ascolto, che la
condizione per riuscire ad esercitare una sua influenza.
Ma il separatismo non è passato di moda. Tutt’altro. Quando è stato
inventato, nel 1970, quello del Movimento di liberazione delle donne
(Mlf) ha scioccato l’intera società, comprese le femministe della
generazione precedente. Perché il separatismo è nato da una rottura
teorica, che rimette in discussione le precedenti analisi sulla
subordinazione delle donne: non si parla più di una «condizione
femminile» di cui tutti, donne e uomini, patiremmo allo stesso modo,
ma dell’oppressione delle donne. Ottenere nuove leggi non era la
preoccupazione principale del Mlf.

Il suo scopo era più ambizioso, più utopico. Le leggi sono state il
positivo sottoprodotto di un lavoro gratuito, privo di finalità
concrete immediate, come la ricerca di base. E se un sottoprodotto è
nato, è anche perché non era lo scopo ultimo, o piuttosto perché si
mirava più in alto. Questa ambizione «irrealistica» - che si
permetteva di mettere tra parentesi la realizzazione immediata - ha
prodotto un tale slancio, che alcune cose sono poi state ottenute in
concreto.

La campagna per ri-criminalizzare lo stupro è nata in quegli anni
dalla riflessione dei cosiddetti gruppi di «auto-coscienza» in cui
le esperienze venivano messe in comune e condivise, permettendo così
alle donne di rendersi conto che i loro problemi non erano
individuali e che dunque una soluzione individuale non era
possibile. Allo stesso modo, la critica della sessualità ha permesso
le campagne per il diritto all’aborto, per la ri-criminalizzazione
dello stupro, contro la violenza maschile all’interno della coppia.
Attaccava senza mezzi termini le teorie erudite e di volgarizzazione
sulla sessualità, dichiarandole inesistenti, pure e semplici
razionalizzazioni della dominazione maschile. Oggi, questo tipo di
critica non si sente quasi più, a fronte di un vendicativo ritorno
ad un erotismo patriarcale che banalizza la prostituzione, la
pornografia, e naturalmente il sado-masochismo, loro comune
substrato. Trentatré anni dopo, il movimento femminista continua a
vivere sui capovolgimenti di prospettiva individuati nel corso dei
primi anni grazie alla pratica separatista. Separatismo ancora
necessario in quanto gli uomini non hanno lo stesso interesse - né
oggettivo né soggettivo - a lottare per la liberazione delle donne.

Ma soprattutto perché gli/le oppressi/e devono definire loro
stessi/e la propria oppressione e dunque la propria liberazione, se
non vogliono vedere altri definirle al loro posto. E questo non è
possibile farlo in presenza di persone che, da un lato, appartengono
al gruppo obbiettivamente oppressore e, dall’altro, non sanno, e non
possono sapere, salvo circostanze eccezionali, cosa vuol dire essere
trattati come una donna - o un-a negro/a, una checca, un-a arabo/a,
una lesbica - tutti i giorni della propria vita. Nessun livello di
empatia può sostituire l’esperienza. Compatire non è patire. Certo,
gli uomini hanno un ruolo nel movimento femminista, ma non può
essere uguale a quello delle donne. E invece il separatismo è
screditato, a volte anche visto come uno stadio arcaico del
movimento, ormai superato. Oggi anche nei gruppi di sole donne non
necessariamente si utilizza questo vantaggio, e il rispetto
dell’ordine del giorno prevale sul confronto di esperienze.

Risultato, molte donne tengono sulla propria oppressione un discorso
teorico. Ma la lotta politica, se non è alimentata dall’esperienza
vissuta, quasi carnale, della realtà dell’oppressione, diventa una
battaglia filantropica. E quando le donne diventano i filantropi di
se stesse e non ricordano più, o vogliono dimenticare, che sono loro
le umiliate e offese di cui parlano, perdono la loro forza.
Difendere, ritrovare le sorgenti di questa forza è un’altra delle
sfide del nuovo secolo per il movimento femminista. E per tutti i
movimenti che lottano contro l’oppressione.

note:

* Autrice di Pour sortir du liberalisme, (con Yves Salerse) e di
L’ennemi principal. Penser le gendre, Syllepse, Parigi, pubblicati
rispettivamente nel 2002 e 2001.

(1) Il ritorno del bastone, identificato e spiegato nel famoso libro
Blacklash di Susan Faludi, pubblicato nel 1991 negli Stati uniti.
Traduzione italiana, Contrattacco. La guerra non dichiarata contro
le donne, Baldini e Castoldi 1992.

(2) Interviste rispettivamente di Elisabeth Badinter nel l’Express,
24 aprile 2003, e di Marcella Iacub e Hervé Le Bras, in Les Temps
modernes, Parigi, 1° trimestre 2003. In risposta a queste tesi
leggere Gisèle Halimi «La dominazione maschile e il «complotto»
femminile», Le Monde diplomatique/il manifesto, agosto 2003.
(3) Dossier «femmes: une spécificité française», Le Débat, n°87,
novembre-dicembre 1995.

(4) «M. Chirac se penche sur l’inégalité homme-femme au travail», le
Monde, 27 febbraio 2004.

(5) Argomentano spesso sulle «false affermazioni» dei bambini o
sulla «sindrome dei falsi ricordi». Espressioni ormai divenute
popolari nei tribunali e nelle scuole di magistratura grazie
ad «esperti» quali, in particolare, Hubert Van Gijseghem e Paul
Bensoussan.

(6) Si legga «A contresens de l’égalité», e in particolare «Par où
attaquer le partage inégal du travail ménager?» Nouvelles Questions
feministes, Vol. 22, n°3, 2003.

(7) Marianne Bellens, «Deuxième sexe et feminisme...et la génération
montante?» in C. Delphy e S. Chaperon Cinquantenaire du Deuxième
sexe, Parigi, Syllepse 2002.

(8) «Nos amis et nous: fondements cachés de quelques discours pseudo-
feministes», in «L’ennemi principal, tomo 1, Économie politique du
patriarcat», Parigi, Syllepse, 1998.
(Traduzione di G. P.) aa qq Resistenze
I. R.

Le monde diplomatique