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Intervista a Walden Bello: "Il Movimento italiano contro la guerra indica la strada"

Publie le giovedì 12 maggio 2005 par Open-Publishing
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Questa intervista è stata rilasciata il 9 maggio da Walden Bello al Comitato Nazionale per il ritiro delle truppe dall’Iraq come breve bilancio di un suo recente giro di conferenze contro la guerra in Canada, Malesia, India, Olanda e Italia.

Il Movimento italiano contro la guerra indica la strada

intervista a Walden Bello*

Qual è la condizione del movimento contro la guerra?

Bene, attualmente continua ad avere un potenziale enorme. È vero che le manifestazioni del 19 e 20 marzo nel 2004 e 2005 in corrispondenza dell’anniversario dell’invasione dell’Iraq sono state più piccole delle manifestazioni del 2003. Vero è che molte persone sono scoraggiate dopo che le manifestazioni del 2003 non sono riuscite a impedire l’invasione dell’Iraq, ma le persone stanno lavorando per una resistenza di lunga durata e si muove in nuove direzioni in termini di tattica. Se noi guardiamo la situazione come ad un match di box di 10 round, siamo solo al secondo.

Che cosa vuoi dire?

Guarda gli USA. È vero che quest’anno non ci sono state grandi manifestazioni il 20 marzo, ma ci sono state iniziative contro la guerra in più di 700 città. La gente sta aumentando gli sforzi per educare gli americani ordinari contro la guerra. Questo aiuta a fare la differenza: tra gli americani la richiesta del ritiro dall’Iraq si sta consolidando.

Guarda l’Italia, dove la disaffezione pubblica alla partecipazione dell’Italia nella guerra è alle sue punte massime a causa dell’uccisione di al check point dell’agente italiano Nicola Calipari: Il movimento contro la guerra sta indicando la strada al resto del mondo. Sta portando la guerra a casa, per usare un’espressione del Vietnam.

Un movimento di cittadini, tra i quali c’era il parlamentare italiano Mauro Bulgarelli, ha con successo evitato che le autorità italiane offrissero l’aeroporto di Rimini a Washington per servire da supporto logistico alla guerra in Iraq.

Per segnare il 25 aprile, giorno della liberazione dal fascismo, circa 300 persone hanno protestato davanti a Camp Darby, vicino Pisa, chiedendo la chiusura della base. Ho appena concluso un giro a Sassari e Cagliari in Sardegna, dove si sono tenuti due importanti incontri pubblici, dove è emersa la richiesta urgente della chiusura della base americana nucleare della Maddalena. La Sardegna è un punto critico, essa contiene il 60% dello spazio italiano occupato dalle masi americane. È come Okinawa rispetto al Giappone. Un incidente ha coinvolto un sottomarino nucleare due anni fa mettendo in evidenza quanto sia vulnerabile la Sardegna. Questo ha aiutato la formazione di un più grande movimento contro il mantenimento della base militare nell’isola. E ora questo movimento si sta rafforzando e dà un importante contributo al movimento contro la guerra in Italia. Questo è quello che io intendo quando dico “portare la guerra a casa”: una battaglia continua del movimento contro la guerra in Italia.

L’Italia è un caso dove una delle non intenzionali conseguenze della guerra in Iraq è stata rendere noto agli italiani quanto massiccia sia la presenza americana nel loro paese, quanto compromessa sia la sovranità del proprio paese. Io spero che questo esempio darà forza ai movimenti contro la guerra anche ai due paesi asiatici che hanno basi americane, Giappone e Corea del Sud.

Quali sono le priorità del movimento contro la guerra?

Ovviamente la fine immediata dell’occupazione in Iraq. Ma per ottenere questo molte cose devono essere fatte. Per il movimento della pace europeo, la priorità è portare Italia e Gran Bretagna fuori dalla guerra. La partecipazione di questi due governi, nonostante le grandi opposizioni popolari, continua a lasciare all’occupazione americana legittimità.

Tu dici che ci vogliono nuovi sistemi per combattere gli Stati Uniti. Quali sono?

Come dico sempre, primo dobbiamo superare i confini. secondo, è necessario portare nuove tattiche di lotta come chiudere gli uffici della Hulliburton in giro per il mondo e iniziare una grande disobbedienza civile di massa. Dobbiamo andare al di là delle marce e delle manifestazioni. Terzo, dobbiamo portare la guerra a casa, legare la guerra a situazioni locali come le basi americane. Quarto, dobbiamo legare il movimento contro la guerra globale e i movimenti delle società civili del mondo arabo e del medio oriente, che significa reagire all’accusa di terrorismo che Washington muove ai movimenti arabi e lavorare insieme. Dobbiamo farlo perché il medio oriente è strategico per le prossime decadi e non vinceremo se non cooperiamo con gli attivisti di quella parte del mondo.

Qual è la situazione in Iraq a questo punto?

Gli stati Uniti non stanno vincendo. Non ha convinto nessuno il tentativo di far apparire con le elezioni l’inizio un nuovo gioco in Iraq chiamato democrazia. Una elezione boicottata da milioni di persone - nei fatti, la maggioranza dei sunniti - e tenuta sotto occupazione militare è difficile poi venderla al mondo come legittima. Militarmente gli USA hanno 135.000 soldati, ma ne sarebbero necessari altri 500.000 o un milione per sconfiggere la guerriglia. Portare altri soldati provocherebbe scioperi e reazioni negli USA, questo è il motivo per cui gli USA disperatamente pressano Gran Bretagna e Italia a non lasciare la “coalizione dei volenterosi” e mantenere le truppe in Iraq. Con Ungheria e Olanda che hanno ritirato le truppe e la Polonia che ha detto di volerlo fare, il Pentagono parla sempre meno dei suoi alleati come di una coalizione e parla di forza multinazionali.

Quali saranno i prossimi target dell’intervento americano?

In effetti gli Stati Uniti sono meno capaci oggi di portare all’esterno un intervento militare rispetto al 2003. Essere inchiodati in Iraq per gli USA significa non avere in campo altre forze per lanciare una nuova avventura militare in Iran, Corea del Nord, Siria o Venezuela. Sono possibili bombardamenti chirurgici ma non interventi di terra e occupazioni.

Nel tuo libro Dilemmas of Domination parli della crisi di sovraestesione degli USA. Cosa significa?

La resistenza irachena ha di fatto reso molto difficile per gli Stati Uniti intervenire in altri luoghi e ha esacerbato la condizione di sovraestensione degli USA globalmente. Mai sottostimare l’imperialismo americano ma nemmeno sovrastimarlo. Guarda: gli USA stanno perdendo la cosiddetta guerra contro il terrore, l’alleanza Bush-Sharon non sta vincendo in Palestina, La NATO è morta, il governo Karzai appoggiato dagli Stati Uniti controlla una o due città in Afganistan e forze anti-americane e anti-neoliberali hanno preso il potere attraverso elezioni e con l’appoggio popolare in America Latina. La correlazione globale di forze è contro gli Stati Uniti, questo non significa che il potere degli USA finirà presto. C’è da fare un duro lavoro da parte nostra. Come ho detto prima, siamo solo al secondo round in una partita di 10 rounds. Ma questo significa che l’impero non è onnipotente.

a cura del COMITATO NAZIONALE PER IL RITIRO DELLA TRUPPE DALL’IRAQ

Viadalliraqora@libero.it

*Direttore Esecutivo del “Focus on the Global South”, basato a Bangkok, e Professore della Sociologia e l’Amministrazione Pubblica presso l’Università delle Filippine

Traduzione di Cinzia Della Porta

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