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Un’unica scelta: fermare la guerra

Publie le martedì 26 luglio 2005 par Open-Publishing

Dazibao Guerre-Conflitti Attentati-Terrorismo Governi

di Raniero La Valle

La gente muore. A Sharm el Sheik, a Londra, a Bagdad, a Falluja, in Palestina, inglesi e stranieri, europei ed arabi, americani e iracheni, cristiani, musulmani e agnostici. Si muore in modo diverso, omicidi e suicidi, bombe d’aereo e ordigni fatti in casa, carri armati e kamikaze. E’ la guerra, ed è un’unica guerra. Che sia un’unica guerra è una decisione che abbiamo preso noi, in Occidente, quando abbiamo cancellato tutte le singole cause, e abbiamo tutto riassunto nella guerra contro il terrorismo, tra uomini e non-uomini, come ha detto il presidente australiano a Londra. Non c’entra niente l’invasione dell’Iraq, e non esiste più la causa palestinese, non ci sono più milioni di morti per Aids, non raggiunti dalle medicine, né le guerre per il gas e per il petrolio, né le stragi per miseria e per fame, non c’è più niente di cui l’Occidente debba rendere conto, c’è solo il terrorismo che spiega tutto, che giustifica tutto, che fonda ogni potere.

Come ha detto il ministro degli esteri israeliano Silvan Shalom, "Per molti anni il mondo ha creduto che il terrorismo fosse solo un problema di Israele, ma adesso si inizia a capire che riguarda tutti e può essere diretto contro tutti", e che combatte contro ciò che c’è di più bello al mondo: "L’idea di democrazia delle società occidentali, il valore del rispetto dei diritti umani, la supremazia della legge". Messa così, non c’è più bisogno di analisi chiare e distinte, tutto il mondo è Israele, la guerra non deve più essere giustificata, l’imperativo categorico è solo vincere, vincere, vincere.

In questo modo non si decide solo per l’oggi, ma si decide del futuro, e non solo di una singola società nazionale, ma del mondo intero. Mai la politica ha avuto una tale responsabilità, a cui è del tutto inadeguata.

Di questa guerra siamo solo all’inizio. La vera posta in gioco è l’accaparramento delle risorse, in un’epoca di crescente scarsità. Si combatte per la spartizione dell’eredità della terra; se questa guerra non si concluderà presto con un negoziato globale, è destinata a durare fino alla fine. Se oggi l’Islam basta a identificare il nemico, e a fornire rivestimenti ideologici al conflitto, domani entreranno in gioco altri protagonisti, e già ci si attrezza per la Cina.

La guerra in corso è stata concepita all’inizio degli anni Novanta, dopo la fine del comunismo, per decidere del nuovo governo del mondo. La scelta è stata di buttare a mare il sistema delle Nazioni Unite. Da allora la progressione è stata inarrestabile: il primo conflitto del Golfo, il ripristino della guerra già ripudiata, i nuovi Modelli di difesa che già prefiguravano nell’Islam il nuovo nemico, il conflitto iugoslavo, il mutamento della natura, dell’estensione e dei compiti della Nato, e infine il potere della spada attribuito ai soli Stati Uniti, che dopo l’11 settembre l’hanno usato per dichiarare la guerra preventiva e perpetua intitolata al terrorismo.

Ma quando la guerra è stata concepita non si pensava affatto che essa dovesse risolversi in questa tragedia anche per l’Occidente. Infatti si pensava a quattro condizioni della guerra che non si sono verificate.

1) Anzitutto la guerra doveva essere esternalizzata. Essa doveva essere combattuta solo in casa del nemico, Medio Oriente, Asia od Europa che fosse. Invece la guerra è rientrata ben presto nella sua figura abituale. Il nemico, combattuto a casa sua, viene a combattere a casa nostra. Spesso, dato il pluralismo delle società occidentali, sta a casa nostra. E’ come noi. Dopo l’11 settembre non ci sono più santuari e città di rifugio. Anche geograficamente la guerra è mondiale, e potevamo saperlo anche prima.

2) La guerra doveva essere asimmetrica; dato l’enorme squilibrio militare e tecnologico delle forze in campo, doveva essere una guerra dove si morisse da una parte sola. Così non è stato. Le nuove armi suscitano sempre nuove armi, in una spirale inarrestabile. Dalle spade ai fucili, dalle bombe convenzionali alle atomiche. Qui la variante strategica è stata introdotta dagli attentati suicidi. Finora, non si è trovato l’antidoto: quello di uccidere prima che il suicida agisca, come si è visto a Londra, non è praticabile; anche se si uccidessero tutti i soggetti "di pelle olivastra o di fattezze asiatiche e mediorientali", come ci raccontano in questi giorni i nostri giornali, e tutti i musulmani ad eccezione di quelli che non frequentano le moschee, non se ne verrebbe a capo.

3) La guerra doveva essere senza informazione o con l’informazione manipolata.
Invece si sa tutto; ci sono ancora giornalisti indipendenti in Occidente, ci sono le televisioni arabe, e c’è Internet; non c’è bisogno di imam che incitino alla lotta, basta mettersi davanti a un computer, ci ricordano da Londra, per vedere scorrere "le immagini dei corpi senza vita di musulmani massacrati da americani, britannici e russi oppure le fotografie per amatori di sado-porno scattate ad Abu Ghraib".

4) La guerra non doveva essere di civiltà o di religione; ma gli uomini, quale che sia la loro causa, combattono con la loro civiltà e la loro religione. Si può anche distinguere tra "islamici" e "islamisti", come ha tentato di fare Pisanu, ma sempre di Islam si tratta. Né, nel nostro campo, si potrebbe distinguere tra "cristianisti" e "cristiani", per discernere tra Bush che chiama Dio dalla sua parte, e i cristiani che lo votano o gli mettono a disposizione i soldati per farsi difendere o patrocinare da lui. Basta leggere le cronache quotidiane, la descrizione dei sospetti, dei nemici, l’identificazione dei luoghi di culto come serbatoi di possibili terroristi, per vedere che a livello simbolico siamo ormai nel pieno di una guerra religiosa. E nessuno che si ponga una domanda sulle ragioni dell’altro. Come ha detto l’imam Omar Bakri, che a Londra è considerato un pericoloso sobillatore: "Quando un uomo decide di sacrificare se stesso facendosi esplodere, o si va alle radici di quello che si agita nella testa e nel cuore di quell’uomo, o non esisterà più un solo luogo sicuro sulla faccia della terra".

Dunque questa guerra ha già contraddetto tutte le sue premesse. Essa deve finire. Chi dice che finirà solo con la vittoria, mente e, se è al potere, deve essere mandato a casa. Se finisse con la sconfitta, sarebbe una catastrofe. Dunque, può finire solo con un negoziato. Non su piccole tregue, non di quelli che fanno i Servizi Segreti, che sono la più grande sciagura della politica moderna. Ma un grande negoziato sul futuro del mondo, sulla ripartizione delle risorse energetiche in via di estinzione, sulla convivenza giuridicamente garantita tra civiltà, religioni, ordinamenti politici e sistemi economici e sociali diversi. Si tratta di riprendere il cammino della pace e del diritto, bruscamente interrotto e rovesciato nell’ultimo decennio del secolo appena trascorso.

http://www.liberazione.it/commento.asp?tutto=1