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Katrina è figlia del nostro modello di sviluppo.

Publie le martedì 6 settembre 2005 par Open-Publishing

Dazibao Governi Catastrofe USA

Cambiare si può, basta volerlo. Il nostro pianeta è sempre più a rischio. Dobbiamo fermarci

di Giorgio Nebbia

Si scrive Katrina, si legge riscaldamento globale. Gli uragani nel Golfo del Messico e nel Pacifico sono eventi "normali", ma l’aumento della frequenza e dell’energia di tali fenomeni e la frequenza e il potere devastante delle altre catastrofi "naturali" - piogge intense e improvvise, avanzata dei deserti, erosione delle coste, alluvioni - indicano che il nostro pianeta è davvero esposto a fenomeni "non normali" dovuti ad azioni provocate dagli esseri umani nella loro corsa sfrenata verso l’aumento del consumo di merci e dello sfruttamento delle fragili risorse naturali.

Se ci fossero stati ancora dubbi, gli eventi degli ultimi anni dimostrano che effettivamente lo spostamento del calore da una zona all’altra degli oceani e dell’atmosfera è dovuto a modificazioni del bilancio energetico del pianeta (variazioni fra energia solare in entrata e energia termica irraggiata dal pianeta verso gli spazi esterni), che a loro volta sono dovute a modificazioni della composizione chimica dell’atmosfera, che a loro volta sono provocate dalla rapida crescente immissione nella stessa atmosfera di gas provenienti dalle attività antropiche: consumo di combustibili fossili, processi industriali, modificazione delle pratiche agricole, alterazione degli ecosistemi forestali, aumento della popolazione, urbanizzazione.

I governi e le compagnie di assicurazioni si piangono addosso per i soldi - decine e centinaia di miliardi di euro - che devono essere spesi per risarcimenti e ricostruzioni (i dolori umani non vanno contabilizzati nelle economie correnti), ma nessuno ha il coraggio di affrontare azioni per evitare ancora più grandi costi futuri. Citerò solo i titoli di tali azioni che un governo potrebbe utilmente inserire nei propri programmi.

Uno. Modificazione dell’uso delle fonti di energia con graduale diminuzione dell’uso dei combustibili fossili. Valutazione dei costi energetici, cioè della quantità di energia (calore e elettricità) richiesta per produrre una unità di merce (una tonnellata di cemento o di carne in scatola) o una unità di servizio (un chilometro percorso da una persona; un’ora di funzionamento di un computer, eccetera).

Leggi e finanziamenti dovrebbero essere diretti a incentivare i trasporti, l’edilizia, i processi produttivi industriali ed agricoli, che forniscono merci e servizi con minori costi energetici.

Due. Politica delle coste. I recenti eventi "non normali" mostrano che le zone più colpite e danneggiate sono le coste, ecologicamente più fragili. Le coste sono state disegnate lentamente, nel corso di milioni di anni, dal mare e dal vento, e proteggono le zone retrostanti con dune, paludi, vegetazione. Ma le coste sono anche le zone più pregiate dal punto di vista finanziario e sono state modificate e occupate e invase da fabbriche, città, attività turistiche, porti, strade. Le modificazioni climatiche coinvolgono per primi i movimenti dei mari che si scaricano in maniera violenta sulle coste.

Le coste dovrebbero essere restituite alla proprietà pubblica, con divieti di ulteriori modificazioni e rimozione graduale delle opere esistenti.

I francesi avevano edificato la nuova Orleans, d’oltre oceano, sulle parti un po’ più alte del delta del Mississippi, che hanno avuto meno danni; gli speculatori hanno costruito nelle paludi, che costavano meno, la città proletaria che è stata spazzata via dall’alluvione.

Tre. Governo dei fiumi, sia dei grandi fiumi planetari sia dei fiumiciattoli, ancora più fragili, come quelli italiani - Po, Tevere, Arno, Adige, o i torrentelli come Piave, Volturno, Basento, eccetera - (i diminutivi si riferiscono al confronto con fiumi più seri, e altrettanto fragili, come Mississippi, Danubio, Reno, o i grandi fiumi asiatici). Anche qui l’alveo, le golene, gli argini sono stati disegnati nel corso dei millenni dal moto alterno delle acque e gli antichi governanti avevano vietato l’occupazione delle terre vicino ai fiumi. Anche qui le rive dei fiumi si sono rivelate le zone finanziariamente più pregiate dove si sono concentrate città, fabbriche e strade.

Le modificazioni climatiche, provocando rapide alternanze di siccità e piogge intense, spingono le acque dei fiumi a recuperare quegli spazi che la natura gli aveva riservato e a spazzare via città, ponti, strade e opere umane. Gli argini artificiali, sfondati dal peso dell’acqua crescente, non hanno salvato dall’alluvione i quartieri di New Orleans costruiti sotto il livello del Mississippi
La salvezza va cercata nel controllo del trasporto, in ciascun fiume, dei detriti dell’erosione delle valli; le modificazioni climatiche provocano piogge intense; le piogge accelerano l’erosione dei suoli non protetti dalla vegetazione e i prodotti dell’erosione fanno diminuire la capacità dei fiumi di ricevere piogge intense.

Quattro. Politica agricola e forestale. Invece di pensare a miserabili finanziamenti per risarcire i produttori di pomodori che costano tre volte di più di quelli importati dalla Cina, si dovrebbe pensare al ruolo della biomassa forestale e agricola, vendibile o no, ai fini della difesa del suolo contro l’erosione e le frane (che comportano costi monetari privati e pubblici) e ai fini dell’eliminazione dell’anidride carbonica dall’atmosfera.

Il contributo dell’Italia - una macchiolina sul mappamondo, rispetto alla superficie dei continenti e degli oceani - può essere piccolo, ma l’effetto negativo della distruzione delle vegetazione e della alterazione della superficie del suolo è in proporzione maggiore.

Qualche giorno fa su queste pagine mi sono permesso, presuntuosamente, di suggerire ai futuri governanti di leggere qualche buon libro di ecologia, di quella seria, non da salotto, per elaborare un programma elettorale capace di mobilitare speranze e voglia di fare, e aspirazione al bonum publicum, che si realizza principalmente con una politica dell’ambiente e dei beni naturali.

Non è stato forse Marx a dire che è la natura è la fonte della vera ricchezza?

http://www.liberazione.it/giornale/050904/LB12D709.asp