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> LA GUERRA: dalla parte delle Donne

1 giugno 2006, 12:58

MONDO. NATASHA WALKER: DONNE IN IRAQ
Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59@libero.it) per
averci messo a disposizione nella sua traduzione il seguente articolo di
Natasha Walker, apparso sul quotidiano "The Guardian" dell’8 maggio 2006.
Natasha Walker, prestigiosa intellettuale femminista, e’ editorialista del
"Guardian"

Le donne in Iraq stanno vivendo un incubo nascosto all’occidente. Una di
esse e’ diventata regista proprio per aprire a noi una finestra su cio’ che
le donne sopportano.
Rayya Osseilly, ad esempio, e’ una medica irachena che si prende cura delle
altre donne nell’assediata citta’ di Qaim. Non e’ sorprendente che la sua
testimonianza non sia felice. "Non provo mai la sensazione che l’oggi sia
migliore di ieri", dice nel filmato. Guardando ai resti bombardati
dell’ospedale in cui lavora, e’ chiaro contro quali difficolta’ stia
lottando.
Non e’ usuale che sia dia uno sguardo piu’ da vicino a cosa accade alle
donne in citta’ come Qaim, che ha subito un pesante attacco dalle truppe
americane l’anno scorso. L’accesso ai media occidentali e’ severamente
ristretto. Ora, tuttavia, abbiamo uno squarcio di questa realta’ grazie ad
una donna irachena che ha viaggiato per l’intero paese e ha parlato con
vedove e bambine, dottoresse e studentesse, cercando la verita’ delle vite
delle sue connazionali.
*
La regista vive a Baghdad e vuole mantenere segreta la propria identita’ per
timore di ritorsioni, percio’ la chiamero’ Zeina. Quando le ho parlato al
telefono, la prima cosa che le ho chiesto era proprio perche’ sentiva il
bisogno di nascondere il suo nome, e nella sua risposta non ha fatto alcuna
distinzione fra il governo e gli ’insorgenti’, nel modo in cui noi la
facciamo. "Temo il governo e le milizie settarie", ha detto, "I pericoli in
Iraq vengono dagli statunitensi, dalle milizie settarie, e naturalmente
anche dai criminali, le gang, i rapitori".
Zeina ha deciso di realizzare questo film perche’ le cose che lei vede ogni
giorno non sono viste dal resto del mondo. "Nessuno si accorge di cosa
stiamo passando. Tutti gli iracheni sono psicologicamente traumatizzati da
cio’ che sta accadendo. Conosco bambini che cominciano a tremare se solo
sentono il suono di un aeroplano o vedono un soldato. Ho visto intere
famiglie smembrate. Ho visto donne costrette a prostituirsi a causa della
miseria delle loro famiglie".
Zeina non era una sostenitrice del regime di Saddam Hussein. Durante quel
periodo, lavorava come giornalista e traduttrice di critica letteraria. "A
livello politico, prima della guerra, non ero contenta. Molte cose erano
ingiuste. Non avevamo liberta’ di parola o di espressione. Ma non avrei mai
immaginato che le cose cambiassero in peggio in questo modo. Non avevo mai
immaginato una situazione del genere".
Sin dall’inizio delle riprese, la cinquantenne regista sapeva che si sarebbe
assunta dei rischi. "Viaggiavo in compagnia di altre due o tre persone, in
un’automobile modesta. Quando viaggiavamo verso Qaim dovemmo attraversare il
deserto, perche’ gli americani avevano bloccato la strada. Era buio quando
arrivammo a destinazione, e proprio di fronte a noi si gonfiava una nuvola
di polvere attraversata da lampi. Stavamo andando giusto incontro ai fucili.
La guidatrice si butto’ fuori dalla strada cosi’ in fretta che per poco non
ci rovesciammo. Poi, mentre stavamo filmando l’ospedale bombardato ed
eravamo saliti sul tetto, gli statunitensi cominciarono a spararci. Penso
che non volessero ucciderci, ma solo spaventarci. Volevamo mostrarci chi
comandava".
Le riprese del gruppo che trova rifugio dalle fucilate in un ospedale
distrutto sono nel film. Invero, il film che e’ il risultato del viaggio di
Zeina non e’ un prodotto ripulito, ma piuttosto una serie di sguardi
parlanti che entrano in profondita’ nelle vite delle donne. Spesso lo
spettatore si sente frustrato, desideroso di maggiori spiegazioni di quel
che succede, ma data la situazione in cui sono costretti i giornalisti, e
che ha reso la maggior parte dell’Iraq invisibile, si perdonano volentieri
alla pellicola tutti i suoi limiti.
Il film e’ particolarmente efficace nel catturare la struttura della vita
familiare in condizioni di totale insicurezza, ed una delle sezioni si
concentra sulla storia di una bambina di otto anni, sopravvissuta
all’attacco dell’automobile in cui viaggiava con suo padre, sua madre ed
altri iracheni. Fu trasportata a un ospedale militare, e per tre mesi se ne
perdettero le tracce. La sua famiglia non fu informata di dove si trovasse,
e nel frattempo la bambina subiva interrogatori in cui le mostravano
fotografie di cadaveri chiedendole di identificarli. Il nonno riusci’ infine
a rintracciarla a Baghdad, e quando nel film la vediamo singhiozzare in
grembo all’uomo, sentiamo quasi fisicamente la frustrazione della famiglia:
non vi e’ un’autorita’ che risponda di cio’ che e’ accaduto, e che possa dar
risposta alla loro rabbia.
*
Zeina mostra anche, e in un modo che sicuramente dovrebbe suscitare una
pausa di riflessione anche in coloro che qui in Gran Bretagna sostengono la
guerra, come le vite delle donne siano state colpite dalla crescita dei
fondamentalismi religiosi che hanno preso piede nel vuoto di potere
imperante. "Alla tv e sui giornali c’e’ una propaganda continua sulle
donne", racconta Zeina, "E’ disgustosa, e non ha nulla a che fare con
l’Islam, ma solo con il rinchiudere le donne nelle case e privarle dei loro
diritti". Per mostrare gli effetti negativi di questi sviluppi, Zeina ha
viaggiato sino a Bassora. Per chi ha seguito l’evolversi della situazione
nel sud dell’Iraq, il fatto che le donne vi vengano costrette ad indossare
l’hijab e si impedisca loro di vivere liberamente le loro vite, non e’ una
novita’. Ma il significato di questo stato di cose lo capisci veramente
quando vedi giovani donne e i loro familiari narrare di minacce di morte e
di pallottole inviate a scopo intimidatorio perche’ una ragazza faceva
sport, o non indossava la sciarpa in testa.
Come Zeina sottolinea, questo tipo di esperienza e’ nuovo per la maggioranza
delle donne irachene, che hanno goduto maggior liberta’ economica e sociale
prima dell’occupazione. "Qualche tempo fa stavo riguardando le foto di mia
zia al college, negli anni ’60. Indossa calzoncini corti e canottiera, e fa
sport nei campi della scuola. E poi ho guardato le foto delle studentesse di
oggi, nello stesso college, coperte di nero dalla testa ai piedi, con le
facce nascoste".
Zeina non ha dubbi nel ritenere l’occupazione la maggior responsabile di
queste situazioni: essa ha dato ai settarismi l’opportunita’ di fiorire.
Ride, semplicemente, quando le chiedo se si sente grata per la democrazia
irachena. "Democrazia? Quale? Non abbiamo democrazia, qui. La democrazia di
cui parla Bush e’ una struttura completamente vuota, che ha le sue basi su
interessi settari ed etnici. Che democrazia hai quando temi che la tua vita
sia in pericolo, o che tuo marito venga ucciso, se solo esprimi te stessa
liberamente? Questa democrazia e’ una brutta barzelletta".
Rispetto all’occupazione, i pareri delle donne irachene sono divisi quanto
quelli degli uomini, e nell’Iraq occidentale ho sentito io stessa donne
inneggiare alla guerra statunitense. Ma e’ difficile resistere alla forza e
alla passione con cui Zeina descrive il caos in cui la guerra ha precipitato
l’Iraq.
E desidera molto continuare a documentare la situazione in cui si trovano le
donne, nonostante gli strettissimi limiti in cui e’ costretta a lavorare.
"Mi sento molto impedita. Voglio davvero raccontare delle intere famiglie
arrestate, dei corpi trovati, delle torture. Ma se non sei un giornalista
che lavora con gli americani, con il loro permesso, la tua vita e’ in serio
pericolo quando dai testimonianza su questi fatti". Nonostante i pericoli,
Zeina e’ ansiosa di comunicare la realta’ che vede, e vorrebbe che noi la
ascoltassimo: "Vorrei che le persone in Gran Bretagna capissero che
l’occupazione dell’Iraq non fa gli interessi ne’ del loro paese ne’ del
nostro. I vostri soldati muoiono, e nulla migliora per il popolo iracheno.
Al contrario, la situazione sta andando di male in peggio, in special modo
per le donne".